Capitolo 42. L'armata

645 57 30
                                    

Ricordo che m'arrestarono davanti ai flash accecanti e ai numerosi agenti della polizia, tutti nascosti nelle ampie tute anticontaminazione.
Idioti. Come se quelle possano fermare il mio quirk. Mi pareva di avere davanti dei macchinari, tanta era la disumanità con cui m'afferravano e mi trattavano. Quello era l'inizio della disumanizzazione che avrei subito nei lunghissimi mesi successivi.

Non opposi resistenza: avevo bisogno delle cure e credevo pure di meritare qualche anno di prigionia a Tartaros. Avevo ben predicato sull'etica ma poi io m'ero sottratta a quegli stessi insegnamenti. La cosa migliore che potevo fare era accettare civilmente quello che per mesi avevo procrastinato.
Ma non subito.

La tentennante voce di un agente mi raggiunse: - Plague, ti dichiaro in arrest...

- Posso salutare Eraser Head un'ultima volta? - Mi ero voltata a domandare, interrompendo il poliziotto e squadrando il suo volto attraverso la plastica trasparente della tuta.

L'uomo sussultò, come impaurito, mentre mi ammanettava i polsi.
Sentii alcuni agenti mettere dei colpi in canna, altri levare la sicura o assicurarsi che le tute fossero ben chiuse, mentre le penne veloci di un paio di giornalisti correvano sulla carta e le macchine fotografiche scattavano a ruota.
Era come se tutti si stessero preparando al più sanguinario degli scontri, ciascuno mettendo mano alle proprie armi. Il vicolo s'era così riempito di ticchettii, rumori d'ingranaggi e voci concitate.
Io però ero ferma.

- No, temiamo la vicinanza con te possa infettarlo. - La sua voce era ferma eppure quella sua faccia paffuta pareva sgomenta nell'evitare accuratamente il mio sguardo.
Realizzai che quelle persone non avevano la più pallida idea di chi fossi o di come funzionasse il mio quirk, quindi quel timore era legittimo.

Sollevai un sopracciglio. Beh, passerò qualche annetto in prigione. Quando uscirò tutti si saranno già dimenticati di Pestilence e di questo calvario. Ragionai, mentre iniziavano a trascinarmi via, allontanandomi sempre più da Shota. Mettere da parte un po' di pudicizia non può danneggiarmi più di tanto ormai.

- Io e lui abbiamo scopato. Se fossi infettiva se ne sarebbe già accorto. - Ghignai.

- È il protocollo. - Intervenne un altro, trasalendo, tuttavia non osando avvicinarsi a me. Nel frattempo vidi un giornalista affrettarsi a scarabocchiare sul taccuino, reggendo goffamente il registratore con l'altra mano.
Fu quello il mio ultimo regalo prima della prigionia: un po' di sano gossip. Ma in quel momento non mi importava.

Protocollo un paio di palle. Rammento d'aver pensato mentre, evocando Pestilence, respingevo il cibo su per l'esofago dell'agente.
Approfittando della distrazione di quest'ultimo, intento a gestire il vomito incontrollabile che stava invadendo la sua stessa tuta, camminai ad ampie falcate verso Aizawa a mani legate dietro la schiena.

Un ultimo bacio me lo merito. Sorridevo, finalmente arresa alla giustizia.

Accostai il mio volto a quello dell'eroe, lasciando che lui mi stringesse al proprio corpo in un nostalgico abbraccio.
- Se ti accusano di essere mio complice, nega tutto e se ti chiedono perché mesi fa mi hai lasciata di' che lo hai fatto perché mi hai beccata a letto con un altro. - Gli sussurrai, sfiorando il suo orecchio.

- Non t'infangherei mai...

Lo interruppi, schiudendo le mie labbra sulle sue, allacciando le nostre lingue nel bacio più sensuale che ricordo d'aver mai dato a qualcuno.

Sentii la mano guantata di un agente posarsi pesantemente sulla mia spalla.
- Andiamo, Plague. - Notai con un sorriso il suo vano tentativo di sembrare tosto, smascherato dal tremolio della voce.

Mi lasciai portar via, lanciando un ultimo sguardo a Shota. - Non osare avere altre donne mentre sono a Tartaros, aspettami! - Gli ammiccai, più per le telecamere che per altro.

Luna di Mezzogiorno | 𝓜𝔂 𝓗𝓮𝓻𝓸 𝓐𝓬𝓪𝓭𝓮𝓶𝓲𝓪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora