Capitolo 4. Infanzia immacolata

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Svegliarmi prestissimo per saltare sul treno era tedioso. Mi pareva di aver fatto un balzo indietro nel tempo ed essere tornata dietro ai banchi. Purtroppo, nel mio programma, avevo principalmente lezioni mattiniere. Aprii lo specchietto per dare un'occhiata al mio volto spossato: c'erano ancora i profondi segni lasciati da un pessimo sonno. Avevo dormito poco e male, lo si vedeva nitidamente, il mondo onirico in cui mi calavo ogni notte era infestato dai fantasmi di un passato che volevo dimenticare.

🥀

- Si è ammalata.

Avevo diciannove anni e, di ritorno dal veterinario, piangevo a dirotto. Erano quattro anni che ormai vivevo con l'unione dei villain, in mancanza di una vera famiglia a cui fare ritorno.

- Un anno di vita, massimo. - Singhiozzai. Stringendo la maniglia della gabbietta.

Shigaraki intanto stava rimuovendo con cautela la maschera, squadrandomi con aria sorpresa. - Di chi stai parlando? - Domandò.

Io, senza rispondere, accennai alla gatta dentro la gabbia, lasciando che le lacrime di tristezza continuassero la loro corsa sulle mie guance.

Il ragazzo posò lo sguardo sulla creaturina. I suoi lineamenti, solitamente piegati in espressioni corrucciate, si distesero. - Ah, - aveva sospirato, rimettendo sul viso la maschera, - allora ti prenderò un altro gatto, se è questo ciò che vuoi.

Un altro? Gli occhi mi si erano spalancati, tanto ero inorridita da quella sua assenza di empatia. Con lei ho trascorso la mia intera esistenza! Pensai, mentre appoggiavo delicatamente la cassettina. È tutto ciò che mi resta della mia vita prima di diventare un villain, della mia bella infanzia andata perduta. Io e lei siamo cresciute insieme, l'una accanto all'altra. È sempre stato così. Perché Tomura non lo capisce?
Afferrai un bicchiere da vino e glielo sferrai contro. - Sei un insensibile! - Gridai fra le lacrime. Il vetro, sfiorando i capelli chiari del giovane, si frantumò contro la parete.

Tomura balzò repentinamente in piedi, innervosito dal mio gesto.
- Sei diventata scema di colpo?! - Sbraitava, allargando le braccia. - Ho sempre accettato che tu avessi quella palla di pelo appresso con te, le ho pure dedicato un angolo per le sue robe, ora ti dico che ti prenderò un altro gatto quando questa non ci sarà... che cosa vuoi di più?

Stavo per urlargli contro quando mi fermai di colpo. Non posso costringerlo ad amare un gatto, è una di quelle cose che o vivi sulla tua pelle o non capirai mai. Avevo realizzato. Non ha mai compreso l'affetto fra me e la mia gatta, di sicuro non potrà capirlo ora con una mia sfuriata.

Mi ero chinata per prendere la gabbietta, stringendola protettivamente a me, come se potessi difenderla dall'insensibilità di chi non conosce quel tipo d'affetto... o da un morbo fatale.
- Niente. - Mormorai, trascinandomi verso la mia stanza.
- Scusa.

🥀

Era una giornata particolarmente cupa, i ragazzi non erano entusiasti e nemmeno io lo ero. Parevo un'altra persona rispetto alla me che il giorno prima aveva raccontato con passionale trasporto il Simposio.
- Socrate era ingiustamente stato condannato a morte, tuttavia lui non voleva fuggire. - Spiegavo, seduta dietro la cattedra. - Alcuni suoi discepoli gli avevano dato l'occasione di fuggire, ma lui non la voleva cogliere. Fuggire voleva dire rendere quelle false accuse reali e commettere un'ingiustizia. È meglio subire un'ingiustizia piuttosto che commetterla, diceva, ed è per questo che accettò di bere la cicuta. La morte può essere o un sonno senza sogni o un'occasione di visitare un mondo migliore con bravi interlocutori.

- Tsk, idiota. - Sbuffò Bakugo.

Io non avevo nemmeno le forze di ribattere, mi sentivo svuotata, una conchiglia senza vita approdata su una spiaggia arida, già sciupata da un viaggio verso il nulla e da un turbinio di pensieri.
I miei occhi stanchi vagarono fino alla porta che lasciavo sempre aperta. Quando notai Aizawa in piedi e con le mani nelle tasche, sobbalzai. Un raggio di sole aveva illuminato il mio sguardo, l'ombra di un sorriso si disegnò sul mio volto. Poi realizzai che la presenza di quel mio collega davanti alla soglia dell'aula poteva voler dire solo una cosa...
Accidenti, mi sono attardata di nuovo. Mi passai nervosamente una mano sul volto. Forse devo andare da un otorino perché continuo a non udire questa maledetta campanella.
Infilai le mie cose nella borsa, congedai in fretta i ragazzi e mi diressi fuori dall'aula.

Luna di Mezzogiorno | 𝓜𝔂 𝓗𝓮𝓻𝓸 𝓐𝓬𝓪𝓭𝓮𝓶𝓲𝓪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora