Capitolo 17: Ab imo pectore.

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Ab imo pectore è una locuzione latina che significa letteralmente
"dal profondo del mio cuore."
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C'era puzza di bruciato.
Per la precisione, c'era puzza di farina bruciata.

Si erano svegliati, quel sabato, in tarda mattinata e con una fame da lupi, Bokuto aveva fatto un paio di battutine sul fatto che l'appetito fosse dovuto alla sua performance della sera precedente e che per quello dovevano recuperare le energie e lei gli aveva dato uno schiaffetto sulla spalla, per poi finire a ridere entrambi.
Avevano continuato a punzecchiarsi per un po', finché lo stomaco del gufo non aveva implorato pietà.

«Che cosa vuoi per colazione?»
L'allegro capitano della Fukurodani aveva staccato il suo telefono dal cavo della batteria e aveva preso a cercare locali con consegna a domicilio: lei, abitando in periferia, non era abituata a quel tipo di servizio.

«Sono le undici e trenta, Bokuto.»
Si era messa su un fianco e aveva appoggiato una guancia sulla spalla sinistra di lui, scorrendo con gli occhi il nome delle pasticcerie.

«Non è meglio se saltiamo e mangiamo direttamente a pranzo?»
Aveva fame anche lei, naturalmente, ma l'idea di rimanere sotto le coperte altre due orette non le dispiaceva: stava bene lì al caldo, accoccolata accanto al corpo muscoloso di Bokuto, senza doversi preoccupare di niente.

Un sabato come quello non lo aveva mai passato, né avrebbe immaginato di farlo: il risveglio con Ushijima era sempre stato ben diverso, dato che lui non c'era mai per via della sua solita corsa mattutina; con Kuroo, poi, non c'era neanche bisogno di paragonarlo, visto che non era mai esistita una notte passata con lui.
Quel pensiero le provocò un certo fastidio, ma il cuore non le sanguinava più: Kuroo Tetsuro aveva smesso di farle del male.

«Ma la colazione è il pasto più importante della giornata e-»
Non la stupì il fatto che Bokuto Kotaro non avesse intuito le sue intenzioni semi-romantiche: i suoi occhi erano già diventati languidi e il suo umore minacciava di oscurarsi già a quell'ora del mattino.
Lo interruppe immediatamente.

«Va bene, va bene.»
Si era alzata con il busto e si era messa a sedere, mettendo i palmi delle mani di fronte al suo viso in segno di resa: sia mai che diventasse il motivo del suo malumore.

«Ma cucineremo noi.»
La manager della Nekoma si sentiva strana: non le era mai successo, in tutta la sua breve vita, di aver voglia di fare cose così romantiche.
Che diamine le era preso, tutto a un tratto?

Era sempre stata allergica agli atteggiamenti da coppia, a quei comportamenti smielati di cui le parlava spesso Kaori e che le facevano venire la nausea se per caso guardava uno dei film romantici che tanto odiava.
Mentre adesso? 
Solo negli ultimi due minuti si era rintanata accanto a Bokuto per prima cosa, appoggiando addirittura il capo su di lui, poi aveva desiderato essere coccolata ancora un po' e rinunciare persino alla colazione e infine aveva proposto di cucinare insieme.
Era impazzita, non c'era alcun dubbio.

«Sai cucinare, Y/N-chan?»
Fortunatamente ci pensò lui a farle tornare il suo solito broncio contrariato: Bokuto si era messo di scatto a sedere, piegando la testa di lato e allargando ancora di più quegli occhi gialli, già enormi per natura.
A guardarlo, sembrava più che mai un gufo.

«Perché sembri tanto stupito?»
Sawamura Y/N non sapeva davvero cucinare, non l'aveva mai fatto e non le era mai importato di imparare, nonostante i continui rimproveri di sua madre riguardo il suo essere indisponente e ricordandole che non sarebbe mai stata una buona moglie.
Come se per essere una brava moglie bisognasse per forza diventare delle cuoche: lei aveva tante altre qualità.
Non sapeva bene quali, ecco, ma ce le aveva di sicuro.
E comunque Bokuto Kotaro era troppo scettico, per i suoi gusti.

Omnia vincit amor [BokutoxReader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora