23 - MILO

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"Dove sei? Ehi, Cora, ci sei?" scrissi per l'ennesima volta.

Ero seduto sul muretto di fronte all'ingresso della palestra da almeno mezz'ora ad aspettarla. Iniziavo a essere un po' stufo, considerato che la scuola era finita da un pezzo.

Mi alzai di scatto, quando sentii il rumore della porta aprirsi. Ero già pronto ad accogliere Cora con una sfuriata, quando sulla soglia apparvero Lapo e Diego.

Quando ebbero finito di salutarsi, Diego guardò nella mia direzione.

I nostri sguardi si incrociarono per un lungo istante. Poi Diego mi sorrise e io ricambiai. Mi venne incontro con il suo zaino in spalla e un casco nero in mano. Aveva i capelli ancora bagnati per la doccia.

"Ehi, Milo. Che ci fai qui?"

"Sto aspettando Cora."

"Le ragazze sono sempre lente in spogliatoio. Soprattutto se ad aspettarle fuori c'è un ragazzo."

"Anche tu sei uscito tardi," osservai.

Era praticamente la prima volta che Diego mi parlava da quando eravamo tornati dalla Settimana bianca. Dopo quello che avevamo condiviso in quei giorni, avevo pensato saremmo rimasti amici. Ma mi ero illuso.

"Il capitano esce sempre per ultimo," ribatté, facendomi l'occhiolino. "In ogni caso, temo che rischi di aspettare ancora a lungo. Il Mister non era molto contento di loro questa settimana. Ne avranno ancora per un po'."

"È l'ultima volta che le prometto di aspettarla fino alla fine degli allenamenti," sbuffai.

"Questo è un periodo impegnativo," disse Diego, infilandosi il caso in testa. "Beh, allora, buona serata."

Stava per saltare sulla moto lì vicino, quando esitò.

"Senti, ti va nell'attesa di fare un giro?" mi propose.

"Su quella moto?"

"È solo un 125. L'anno prossimo, appena avrò finalmente i 18 anni, mi prenderò una moto vera. Ti piace?."

Non avevo nessun'idea di cosa volesse dire "125".

"No, odio le moto," dissi, prendendolo un po' alla sprovvista. "Puzzano e fanno un sacco di rumore."

Non so esattamente, perché feci quel commento così acido. Forse ero molto più irritato di quanto potessi ammettere per il suo atteggiamento indifferente nei miei confronti.

"Le ragazze ne vanno sempre matte," replicò Diego, suonando per una volta un po' insicuro.

"Non sono una ragazza," mi sentii in dovere di precisare.

Diego mi fissò perplesso, avendo l'effetto di farmi sentire in colpa.

"Sei sicuro che puoi portare un passeggero su questo coso?" chiesi, staccandomi dal muretto.

"Per adesso la polizia non mi ha mai fermato," disse, facendomi l'occhiolino, poi, però, vedendomi preoccupato aggiunse: "tranquillo, è tutto in regola. Non hai nulla da temere. Ti vado a prendere il casco di scorta nell'armadietto."

Tornò in palestra e ne uscì con un secondo casco bianco per me. Me lo lanciò. Riuscii ad afferrarlo solo con una serie di acrobazie, strappando una risata a Diego.

"Dai, salta su," mi invitò, mettendosi a cavalcioni della sua moto o 125 come l'aveva chiamata lui.

Esitai ancora un attimo, infine, decisi di infilarmi il casco. Mi aggrappai aggrappai a una maniglia laterale e mi sedetti sul retro.

Afferrai entrambe alle maniglie di sicurezza e cercai di stare il più dritto possibile per evitare di anche solo sfiorare la schiena di Diego.

Anche se in montagna avevamo dormito attaccati, o forse proprio per quello, l'idea di stargli vicino mi creava imbarazzo.

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