42 - CHRIS

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"Ahu, fa male."

"Scusami, ci sono quasi. Tra poco ho finito," dissi.

"Mmmmh, fa in fretta."

"Aveva le unghie proprio lunghe quel gatto. I graffi sono molto profondi," commentai, sollevando la sua mano ferita nella mia e spruzzando il disinfettante.

"Per fortuna che qua, in laboratorio, abbiamo sempre tutto l'occorrente. Non puoi immaginare quanti incidenti capitano qui."

Dalla scatola del pronto soccorso presi anche alcuni cerotti e iniziai a posizionarli delicatamente.

"Grazie," mormorò Milo.

"Niente," dissi, stranamente imbarazzato. Sentivo che la tensione era ancora viva fra noi. "Quindi, mi avevi riconosciuto fin dal primo giorno?"

"Ci siamo incrociati nei corridoi. Stavi parlando con Larissa."

"Questo proprio non me lo ricordo. Ma mi ricordo benissimo, quando ti trovato nel bagno dell'ala vecchia. Non eri cambiato di una virgola."

"E allora perché non mi hai detto niente?" chiese Milo, mentre gli attaccavo l'ultimo cerotto.

"Non so. Forse aspettavo che mi facessi un cenno di riconoscimento. Invece tu, perché non hai detto nulla, se mi avevi già visto prima?"

"Lo stavo per fare, ma, quando mi sono accorto che non ti ricordavi chi fossi, mi è venuta paura."

"Paura?" ripetei, riponendo la scatola del pronto soccorso.

"Sì, avevo paura che ti saresti stato deluso, quando ti fossi reso conto che non ero più il bambino di una volta."

"No, non sei più un bambino. Ma quello che conta veramente è rimasto," dissi e avvicinai il mio volto al suo, socchiudendo le labbra.

Sentivo ancora il sapore del suo bacio nella mia bocca. Volevo ancora percepire le sue labbra soffici contro le mie.

"GIGI. Gigi, dove sei?"

Milo sussultò e l'incantesimo si infranse.

"È il custode. Temo che Gigi non sia ancora tornato a casa," dissi, ridacchiando.

"Perché c'è la luce accesa qui? C'è qualcuno?"

"Dobbiamo andare," esclamai. "Vieni. Facciamo piano."

Il custode iniziò a camminare tra gli scatoloni. Feci cenno a Milo di abbassarsi e lentamente ci dirigemmo verso la porta.

"Ehi, cosa fate qui? Non si può girare tra le aule di notte," gridò, quando ci vide.

Spinsi alcuni scatoloni che li caddero addosso, facendo inciampare.

"Maledizione, teppisti. Se vi becco, ve la faccio pagare," esclamò il custode.

Io e Milo scoppiammo a ridere e corremmo fuori.

"Fermo. Non da quella parte," dissi, afferrando Milo per un braccio, mentre si stava dirigendo verso le palestre. "È meglio che andiamo di qua."

Riprendemmo a correre e come aveva immaginato il custode si diresse verso la parte opposta.

"Da questa parte," esclamai, aprendo una porta di sicurezza. Corremmo fuori e finimmo all'aperto, nel cortile della scuola.

Finalmente ci fermammo a riprendere fiato. Ci scambiammo un'occhiata e scoppiammo nuovamente a ridere.

"Immagino che Gigi abbiamo preso il suo caratterino direttamente dal suo padrone," commentò Milo.

"Se ci avesse beccato, altro che qualche graffio," aggiunsi.

"Adesso come facciamo a tornare al ballo," chiese Milo, guardando la porta di sicurezza ormai chiusa alla nostre spalle che non si poteva aprire dall'esterno.

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