37 - CHRIS

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"Tieni."

Sollevai lo sguardo dal pavimento e mi trovai davanti agli occhi una tazza di caffè.

"Grazie. Non dovevi," dissi, afferrandola.

"È il minimo che potessi fare. Sono io che devo ringraziarti," replicò Milo, prendendo posto sulla sedia di fianco a me.

"Ne avevo davvero bisogno," dissi, assaporandone il primo sorso. Tentai di sorridergli, ma non ci riuscii.

La sala d'aspetto del pronto soccorso era quasi vuota. C'erano solo una signora che scrollava frenetica lo schermo del suo telefono.

Era tutto silenzioso. Le luci bianche sul soffitto davano al locale un'aurea surreale. Era come essere sospesi in un sogno.

Tuttavia era difficile cancellare quell'inquietudine che mi stringeva lo stomaco e mi faceva temere che si sarebbe tutto trasformato in un incubo.

"Non avevo idea che tu e Lapo foste fratelli. Anzi, non sapevo proprio che avessi un fratello," disse, infine, Milo, rompendo il silenzio.

"Ufficialmente è il mio fratellastro. È il figlio del marito di mia madre. Ovviamente questo marito non è mio padre."

"Sembrate molto legati."

"Sì, è così." Non potei fare a meno di sorridere.

"Ho sempre sognato di avere un fratello. O anche una sorella."

"Sei figlio unico?" Mi sentii in dovere di chiedere, anche se sapevo già la risposta. Ma è vero che sono passati tanti anni e le cose cambiano.

Milo si limitò ad annuire.

"Non è sempre tutto rose e fiori. All'inizio non è stato facile. Quando io e mia madre ci siamo trasferiti a vivere nella casa di suo padre, Lapo non l'ha presa per niente bene. Non faceva che urlare e fare i capricci."

"Faccio molta fatica a immaginare Lapo come un bambino capriccioso."

"Oh, non lasciarti ingannare. Dietro quel suo volto sorridente, si nasconde ancora quella piccola pesta," esclamai, ridacchiando. "No, la verità è che venivamo tutti e due da situazioni familiari complicate. Entrambi i nostri genitori avevano divorziato da poco e noi ci siamo trovati in una convivenza forzata. Penso che in un certo senso ci davamo l'un l'altro la colpa di quello che era successo alle nostre famiglie."

Inspirai profondamente, cercando di venire a termine con l'amarezza che quei ricordi mi risvegliavano.

"Poi che cos'è successo?"

"Non so esattamente quando tutto è cambiato. È semplicemente successo," dissi, alzando le spalle. "Un'estate ho trascorso due mesi con mio padre. A quei tempi ci vedevamo ancora regolarmente. Quando sono tornato, Lapo mi è corso incontro, piangendo. Mi ha abbracciato con forza e tra un singhiozzo e l'altro diceva: non lasciarmi mai più, ti prego. Non lasciarmi."

Percepii i miei occhi inumidirsi.

"Probabilmente lui neppure se la ricorda questa cosa, però è stato in quel momento che ho capito che eravamo diventati fratelli. All'improvviso Lapo mi era apparso così piccolo e io mi sono sentito il suo fratellone."

"Vi volete davvero bene."

"Sì, ma forse avremmo dovuto parlarne più spesso. Oggi, quando mi è svenuto fra le braccia, per la prima volta ho sentito la paura di poterlo perdere sempre."

Milo annuii. "Sì, conosco la sensazione. Ma meglio sentirla adesso, quando avete ancora l'opportunità di parlare, che quando ormai è troppo tardi."

"Certe cose le diamo sempre per scontate. E tra queste soprattutto le persone a noi più vicine, a cui vogliamo bene. Anche se io e Lapo non condividiamo lo stesso sangue, sono convinto che siamo fratelli tanto e quanto chi è nato dagli stessi genitori."

Il rumore di qualcosa che cade a terra attirò la nostra attenzione.

"Lapo," esclamai, balzando in piedi e correndo verso di lui.

Mio fratello fece una smorfia, mentre cercò di raccogliere una scatola di medicamenti che gli era appena caduta.

"Ehi, come stai? Ti fa male qualcosa? Ma stai piangendo?"

"No, no, il medico mi ha messo del... collirio negli occhi," tentò di giustificarsi, strofinandosi gli occhi con il torso della mano.

"Da quanto sei lì?" Chiesi, sorridendo.

"Sono appena arrivato," replicò lui. "No, non è vero. Sono qui da un po'." Gli occhi di Lapo brillarono nuovamente.

"Vieni qui," esclamai, tirandolo verso di me per abbracciarlo.

"Piano, Chris. Sono appena stato dimesso da un ospedale."

"Eheh, sì, scusami. Sono così felice di vederti nuovamente in piedi. Cosa ti ha detto il medico?"

"Niente di che, un po' di lividi, qualche contusione," fece una pausa. "E un paio di costole incrinate."

"Oh, Leo stavolta non la passerà liscia. Appena torniamo a scuola, vado dal preside e..."

"No, lascia stare. Alla fine sono contento di com'è finita... fratello."

"Quando vi si vede insieme, non c'è davvero dubbio che siete fratelli," disse Milo, guardandoci e sorridendo.

"Già, però, è lui quello più intelligente. Io sono quello sportivo," disse Lapo, cercando di gonfiare il petto e mostrare i muscoli delle braccia, ottenendo come effetto solo di farsi male.

"Dai, torniamo a casa," dissi, ridacchiando. All'improvviso mi sembrò che mi avessero finalmente tolto un peso dall'animo.

"No, è meglio che accompagni a casa Milo."

"No, perché? Tranquillo, io sto bene. Non è necessario," si affrettò a replicare Milo.

"Non posso lasciarti andare da solo in questo stato," ribattei.

"Ho già sentito il papà. Passa lui a prendermi. Era furioso." Lapo rise. "È meglio che Milo non torni a casa da solo. Leo e i suoi compari potrebbero ancora essere in giro. Anche se ammetto che in questo momento preferirei fronteggiare ancora loro, piuttosto che il papà e la mamma."

"Non credo che per questa sera ci daranno ancora problemi," replicai.

"Forza, fratello, non farmi rimangiare quello che è detto su chi è il più intelligente fra noi due," mi sussurrò nell'orecchio Lapo, facendomi poi l'occhiolino.

Spalancai gli occhi e mi irrigidii in preda all'imbarazzo. Cosa? Come?

"Sei tutto rosso, Chris. Ti senti bene? Forse anche tu dovresti approfittare che siamo qui e farti visitare," suggerì Milo, guardandomi tutt'a un tratto preoccupato.

"No, tranquillo. Il mio fratellone ha solo bisogno di una boccata d'aria. Vedrai che dopo quattro passi starà molto meglio. Andare pure. Il papà arriverà a breve."

Lapo ci spinse praticamente fuori dalla sala d'aspetto e io e Milo ci trovammo nuovamente da soli.

Tuttavia, quell'intimità che c'era stata solo qualche istante prima sembrava essere svanita e fra noi era calato un'imbarazzante silenzio.

"Eeeh, beh, bene, vogliamo andare?" Proposi, voltandomi e iniziando a camminare nella speranza di lasciarmi quel disagio alle spalle.

"Sì, ma io abito dall'altra parte," mi bloccò subito Milo, indicando alle sue spalle.

"Ah, hai cambiato casa?"

"Eh, no, abito lì fin da quando siamo tornati nuovamente qui." Milo mi lanciò un'occhiata interrogativa.

"Ah, sì, che scemo. Ovviamente non so dove abiti. Non ho mai visto casa tua," esclamai, passandogli a fianco a passo spedito.

Che diavolo mi è preso? Milo non si ricorda che conoscevo il suo vecchio indirizzo. Sembro davvero uno scemo.

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