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Se me lo avessero detto al tempo della mia laurea tre mesi fa, non ci avrei mai creduto, avrei riso come una matta pensando a una bellissima barzelletta. A ripensare oggi a tutto quello che ho affrontato, a come io sono cambiata e dove sono adesso... stento a credermi la stessa persona di allora.

Tra poche ore sarà l'alba e io mi ritrovo per strada a guidare con una calma apparente la BMW dei ragazzi. La maschera che sto cercando di tenere su è provata ancora dalle immagini e dalle mille emozioni che mi hanno travolta prima.

'Devo salvare Adriano.', me lo sto ripetendo da quando sono partita, come se fosse un mantra che mi possa aiutare a esorcizzare i fantasmi delle paure e del senso di colpa per aver lasciato Lupin e gli altri in questo modo; sono lì che aspettano nell'ombra, al mio minimo cedimento.

La strada semideserta e il silenzio che mi circonda a quest'ora rende l'atmosfera cupa e pesante, anche se il cielo che si dispiega all'orizzonte promette un tempo limpido e sereno dopo l'alba.
ʼLupin, spero mi perdonerai.ʼ, stringo forte il volante dell'auto e sento gli occhi farsi lucidi ma cerco di trattenermi; nessun cedimento deve prendere il sopravvento in questo momento. Lo sto facendo per mio fratello, questo è il mio pensiero per tutto il tragitto fino a che non arrivo all'edificio di Alexander.

Lascio la BMW distante dalla tana del lupo – potrei sempre averne bisogno chi lo sa – e mi dirigo all'entrata. Ad attendermi due uomini che a malapena mi degnano di uno sguardo, semplicemente mi aprono il cancello in ferro e mi lasciano proseguire all'interno del giardino privato.

Cammino come se stessi andando al patibolo, la mia gogna: Alexander. Quando giungo al portone in legno di ciliegio e finemente intagliato trovo un energumeno ad aspettarmi. Lo guardo bene e corrugo la fronte, so di averlo già visto prima, da qualche parte ma non riesco a ricordare dove.

«Il nostro capo ti attende nel salone principale.», quando sento la sua voce un flash mi pervade e le immagini del primo incontro tra me, Azzurra e Jack torna vivo in me. Ecco dove lo avevo visto! Era uno degli scagnozzi di Jack che ci aveva intrappolate la prima volta, a Roma. Quello che ho avuto piacere di buttare a terra.

Faccio un mezzo sorriso ironico e continuo a seguirlo senza rispondergli; non darò a nessuno la soddisfazione di vedermi in trappola.

Ci ritroviamo davanti la porta a due battenti della sala in cui già entrai giorni fa. La stessa in cui è custodito il quadro di Cagliostro con Clara Severini e il tizio poco più avanti a me fa il gesto di avvicinarsi alle maniglie, le afferra entrambe e spalanca senza troppi convenevoli l'entrata.
Sembra divertirsi un sacco quando si volta e, con un sorriso sarcastico che avrei tanto voglia di togliergli, mi fa cenno di entrare con un braccio teso in avanti.

«Prego.», lo fulmino con un'occhiataccia e faccio due passi, il necessario prima che la porta si richiuda alle mie spalle e senta il rumore della chiave girare. Sono in gabbia e Alexander si sta divertendo a giocare al gatto e al topo.

Il camino è l'unica luce in questa stanza adesso, la penombra che avvolge ogni dettaglio è quasi inquietante eppure affascinante allo stesso tempo; ammetto che quel pazzo ci sa fare in fatto di arredamento.

«Accomodati, Dalila.», la sua voce mi fa scorrere un brivido gelido lungo la spina dorsale ma cerco di sembrare calma. Resto ferma al mio posto e fisso quegli occhi d'acciaio che escono fuori dalla penombra, di fianco al camino e di fronte alla finestra.

«Dov'è mio fratello?» Glielo domando senza battere ciglio, me ne frego dei suoi convenevoli, tanto che resta a fissarmi con un piccolo cipiglio stupito, prima di mostrare di nuovo quel ghigno compiaciuto che vorrei tanto levargli dalla faccia.

La Ragazza Del Ladro [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora