184- Mura

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Ho sempre pensato che "casa" fosse un posto fisico dove tornare:

un soggiorno-cucina nel quale qualcuno mi aspetta leggendo o guardando uno schermo,

un letto sfatto che profuma ancora di notte,

la scrivania in caoticamente ordinata,

le mie cose riposte nel mobiletto del bagno.


Non poteva essere altrimenti dopo che la vita mi ha resa Caino Ulisse,

lo sapevo mentre vagavo per le strade acciottolate con borse enormi per sentirmi sempre a casa

come una chiocciola che non vive senza la casa sulle sue spalle

arroccata nella paura del non avere e tacendo di sentire la mancanza.


La realizzazione è arrivata in un cigolante letto singolo alle prime luci dell'alba

palesemente non mio, condiviso, preso a rifugio per una notte

con un terrore nuovo solcarmi le vene: 

quello di essere scappata di casa.


Ma come potevo da apolide essere scappata di casa?

Lì me ne sono resa conto:


Io ero la mia casa

e per tutto questo tempo stavo fuggendo da me, non dagli altri intorno.


"Casa" non sono mai state quattro mura nelle quali essere rinchiusi come sardine

"Casa" non è mai stata la ricerca spasmodica di qualcuno che rinchiudesse il mio cuore nel suo;


"Casa" è sempre stata il sogno di tornare in un luogo 

dove poter spargere le mie ossa a mezzogiorno

senza temere che le fiere vengano a divorare anche l'ultima parte di me.


Le mura di casa non sono mai state in cemento e mattoni

per tutto questo tempo erano transenne di solida psiche,

rette dalla paura e dal finto orgoglio di non avere consistenza.

Non c'era, nemmeno una voltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora