1. C'è un tramonto per tutto

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Jonathan

Guardo il progetto che ho davanti e per l'ennesima volta mi ritrovo a imprecare a denti stretti contro a quegli idioti che non hanno ancora capito un cazzo di quello che gli ho chiesto. Premo l'interfono e senza pensarci due volte la aggredisco. "Un grandissimo lavoro di merda. Ti avevo detto chiaramente di non far passare stronzate eppure tra le mani ho esattamente quello".

"Chiedo scusa". La vocina patetica, di chi non ha fegato per ribattere. "Credevo fosse all'altezza".

"All'altezza un par di palle. Vieni dentro a riprenderti questo obbrobrio e digli di rifare tutto da capo".

Lascio andare il pulsante e poi mi butto indietro sulla sedia esausto. Sono stato sveglio due notti per revisionare e sistemare la presentazione dell'articolo e loro non sono in grado di scattare due foto a tre modelli professionisti. Un leggero bussare preannuncia l'entrata della nuova segretaria, il viso imporporato per l'imbarazzo e gli occhi rossi di chi ha appena pianto, probabilmente a causa del mio sfogo, ma non me ne frega niente se non riesce a stare al passo con le mie idee, significa solo che a breve lascerà il posto a qualcun altro. "Mi sembrava di essere stato chiaro al riguardo".

"Mi dispiace". Ripete per la terza volta da quando ha aperto la porta.

Le passo la cartellina e mi soffermo a guardarla forse per la prima volta mentre esce. Non è molto che lavora qua, forse tre settimane e mi domando per quanto ancora riuscirà a sopportare il mio caratteraccio. Prima non ero così e in molti qui dentro lo sanno e forse è per questo che ancora restano al mio fianco sopportando le mie sfuriate in silenzio, in attesa di una mia guarigione dall'oggi al domani, come se fosse possibile.

Fisso lo sguardo su un punto sul muro, dove ancora si vede il segno lasciato dalla cornice che era appesa. È passato un anno, solo uno, eppure a me sembra una vita da quando quella sera ero tornato in ufficio perché avevo dimenticato un lavoro da controllare.

Chiudo gli occhi e stringo i pugni fino a lasciare il segno delle unghie impresso nella pelle e quando inizio a sentirne il dolore torno a guardare il mondo che ancora mi circonda.

Lascio andare uno sbuffo pregno di frustrazione e poi alzo la cornetta per chiamare l'ufficio creativo.

"Non va bene". Dico, questa volta più calmo.

"Chissà perché ma me lo aspettavo". La voce ironica di Ludovico che mi riempie la testa.

"Se lo sapevi perché le hai fatte passare?". Domando esasperato.

"Perché ho scommesso e non posso perdere".

"Cosa c'è in palio di così importante da farmi incazzare?". Butto fuori, una piccola nota di divertimento che si insinua dentro di me sebbene non ci sia niente di cui vantarsi.

"Una cena con Sara dell'amministrazione". Dice il mio amico. L'unico che lo è veramente almeno.

Ed è per questo che non mi incazzo, per questo che lascio correre il tempo perso ed è sempre per questo legame che ci lega fin dall'infanzia che sorvolo sul fatto che scommettano sulla durata delle mie segretarie.

"Non ti è ancora passata? Ti ha già rifiutato". Gli ricordo.

"Sono perseverante, lo sai".

Scuoto la testa, ma poi mi dimentico che non può vedermi. "Vedi di mandarmi qualcosa di meglio perché altrimenti non posso autorizzare la stampa".

"Stai tranquillo. Ho già tutto pronto".

E no, non mi incazzo con lui, ma lo faccio con me che ancora gli permetto di manipolarmi per i suoi giochetti.

Chiudo la chiamata e poi torno a controllare che tutti gli altri articoli siano pronti per essere spediti in tipografia per la prova generale.

Non guardo più che ore sono, ma non appena inizio a sentire fuori dall'ufficio quel via vai di auto che si muovono so che sarebbe arrivata l'ora di tornare a casa. Nessuno è mai rimasto oltre l'orario previsto e nessuno mi ha mai chiesto se avessi bisogno di qualcosa prima di andare via. Forse per timore di essere bloccati ancora in azienda quando l'unico posto in cui avrebbero voluto essere era altrove. Abbasso nuovamente il capo e torno al mio lavoro fino a quando non sento la testa troppo pesante per continuare. Il sonno arretrato bussa pesantemente dietro le palpebre chiedendo venia per la sua insistenza, e so che ha ragione per cui mi alzo, prendo la giacca e da solo esco dall'ufficio.


Samuele

Sono gentile, paziente, comprensivo, ho un'ottima istruzione, una bella presenza, ma nessuna esperienza lavorativa per quello che vorrei diventasse il mio vero lavoro. In pratica non importa a nessuno chi io sia realmente, vogliono solo nomi sulle riviste o citazioni dei miei lavori. In pratica posso presentargli il miglior scatto della loro vita, ma essendo trasparente non lo prenderanno mai in considerazione e questo ormai ha distrutto la mia autostima, spingendomi ad accontentarmi di qualsiasi lavoro mi dia da vivere.

"Arrivo subito". Dico per la centesima volta questa sera in direzione del tavolo che mi sta chiamando.

Non ne posso più sul serio di sentirmi umiliato da me stesso eppure allo stesso tempo non so cosa fare per migliorare questa situazione. Lascio l'ordinazione al bancone e, approfittando di un momento di calma, resto ad aspettarla. La serata scivola via lentamente e quando chiudiamo il locale ormai la luna ha già divorato parte della notte. Saluto i miei colleghi e poi cammino verso casa. Il mio buco, il mio rifugio.

Apro la porta, accendo la luce, lascio giù le chiavi. Tutti gesti automatici che non registro nemmeno. Sono un automa. Mi spoglio, faccio la doccia e con addosso una maglietta slabbrata entro in camera accorgendomi troppo tardi che non sono solo.

"Ehi". Una voce familiare e assonnata e un corpo che conosco fin troppo bene nascosto sotto le lenzuola. "Come stai?".

Non apre nemmeno gli occhi e mi chiedo dove trovi la forza per salutarmi alle tre di notte. "Bene. Dormi". Gli dico dolcemente, stendendomi accanto a lui e spegnendo la luce.

Le sue braccia forti mi prendono e mi stringono in un abbraccio caldo facendomi raggomitolare su di lui e con il suo odore che riempie la mia testa mi ripeto che anche se non riuscirò a realizzare il mio sogno, al mio fianco avrò comunque per sempre Elia.

"Cercano una segretaria personale al With us se vuoi provare". Biascica nel sonno, attirando tutta la mia attenzione però.

Innumerevoli volte ho immaginato di lavorare in quel grattacielo che sembra toccare il cielo e tante altre mi sono immaginato di passare il mio badge per poter accedere ai piani dell'azienda. Mi è sempre piaciuto puntare in alto e quella rivista è il top dei top, quindi inaccessibile per uno come me.

Eppure mentre chiudo gli occhi per scivolare in un sonno profondo mi interrogo sul perché io non possa almeno provarci, non avendo nulla di meglio da perdere.


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BENTORNATI per chi mi conosce già e BEN ARRIVATI per chi si aggiunge solo ora.

Vi scrivo questa piccola nota solo per dirvi che per questa storia ho deciso di mettere in ogni capitolo i due punti di vista dei protagonisti, spero possa farvi piacere.

Non sarà molto lunga e questa volta ho puntato su qualcosa di più leggero.

Spero possa farvi piacere.

Buon inizio,

Manuela

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