Samuele
"Melissa ha detto che è una carogna".
Mescolo le polpette nel sugo, rimetto il coperchio e poi mi volto verso Elia. "Non lo so ancora". Gli dico. "Sono passati solo tre giorni e a me sembra solo freddo".
Si avvicina e mi abbraccia. "Sei sicuro di voler lavorare là?". Mi sussurra all'orecchio.
Più volte mi ha proposto d'andare a vivere con lui con la scusa di risparmiare e farmi trovare il lavoro dei miei sogni, ma ho sempre rifiutato volendo continuare a mantenere una sorta di privacy. "Non mi sembra male al momento".
"Non guarderà mai i tuoi lavori".
E odio quando mi dice queste cose, quando al posto di tirarmi su mi butta giù. "Non oggi, ma magari tra un po' potrei provare ad accennare qualcosa". Mi faccio forza da solo.
Sbuffa tra i miei capelli e poi si allontana per aprire il frigo e prendersi una birra. "Esco con gli altri dopo cena, vuoi venire?".
Non mi piacciono i suoi amici, sono tutti troppo altezzosi. "No, vai pure". Sicuro che senza di me si divertirà di più.
"Io proprio non capisco come tu abbia accettato quel posto quando è chiaro che ti licenzierai". Continua a infierire.
Abbasso gli occhi e conto fino a cinque prima di rispondergli. Lo amo, ma ci sono giorni in cui lo amo di meno. "Sei stato tu a dirmi che si era liberato un posto". Gli ricordo, poi prendo i piatti dalla credenza e sotto il suo sguardo attento li riempio con la cena.
"Okay, ma non sapevo che fosse per diventare il pungi ball del capo redattore nonché socio della rivista".
Si siede al tavolo e continua il suo monologo sul mio lavoro come se all'improvviso fosse diventato padrone della mia vita.
Lo ascolto assecondandolo non avendo nessuna voglia di litigare e quando alla fine mi saluta ho la testa così piena delle sue chiacchiere che non ho più voglia di fare nulla. Carico la lavastoviglie, sistemo la tavola e quando sento l'arrivo di una mail vado al computer a controllare.
È la prima volta che vedo il suo nome sulla mia posta d'entrata e per qualche istate mi domando se io non abbia già fatto qualche sbaglio da essere licenziato solo dopo tre giorni. Clicco sulla sua icona e non appena appaiono quelle parole che lui stesso ha scritto mi affretto a leggerle.
Uno dopo l'altro scorro tutti quei compiti che mi aspetteranno il giorno dopo e mi rendo conto che ho dovuto leggerli più di una volta per riuscire a comprenderli sul serio. Passare in lavanderia, comprare un gioco per una bambina di due anni, ordinare la spesa da mandare direttamente a casa, cancellare due appuntamenti e riprogrammarli, radunare tutti i capi reparto per una riunione prima di pranzo oltre a tutto quello a cui mi sto abituando.
Sbatto le ciglia e mi domando se tutto questo possa essere vero per un mercoledì sera, ma a quanto pare dopo queste annotazioni non arriva altro che mi faccia pensare sia tutto uno scherzo per cui stringendo le labbra inizio le ricerche di quel giocattolo e a stilare una lista di alimenti che credo possano servirgli in casa, senza conoscere nessuno dei suoi gusti.
Jonhatan
Non mi convince, non mi convince per niente e so che devo solo trovare il suo punto di rottura per farlo vacillare, per capire quanto del mio carattere possa sopportare eppure una piccolissima parte dentro di me sembra non volerlo vedere andare via. Come se tenerlo al mio fianco, a guardia del mio ufficio possa sul serio essermi d'aiuto.
Ripenso alla mail che gli ho spedito ieri sera prima di lasciare l'ufficio e mi domando quanto di quello che gli ho chiesto sarà in grado di fare per tempo, soprattutto per quanto riguarda la riunione straordinaria che gli ho chiesto di organizzare sapendo molto bene che quasi nessuno accetterà con così poco preavviso.
Entro nel palazzo, salgo al mio piano salutando i soliti visi che ho imparato a riconoscere e poi mi dirigo nel mio ufficio.
"Buongiorno". Mi saluta quando gli passo davanti, senza aggiungere mezza parola su quello che gli ho chiesto di fare e sono quasi tentato di chiedergli se ha controllato la sua posta quando mi tappo la bocca rimandando la cazziata a più tardi.
"Buongiorno". Lo saluto e poi apro la porta del mio ufficio.
Appeso all'attaccapanni c'è l'abito che gli ho chiesto di passare a ritirare in lavanderia e sopra la scrivania un pacchetto rosa con dei fiocchi bianchi e un biglietto di auguri fuori dalla busta pronto da firmare.
Resto interdetto a guardare le due cose e incredulo esco dall'ufficio.
"La spesa?". Lo interrogo pensando di trovarlo impreparato.
"Questa sera alle otto la consegnano". Mi risponde alzando appena lo sguardo su quello a cui sta lavorando.
"I due appuntamenti?". Continuo.
"Entrambi domani nel pomeriggio. Ho chiesto loro di venire nella nostra sala riunioni così da risparmiarle tempo".
Lo guardo e mi domando se tutto questo sia reale. Molte volte ho chiesto esattamente le stesse cose alle segretarie precedenti senza però avere lo stesso risultato e ora un perfetto sconosciuto, che non ha mai fatto questo lavoro prima perché ho letto il suo curriculum, riesce a esaudire senza battere ciglio le mie richieste.
"La riunione?". Tasto dolente.
"Mi sto organizzando". Ed ecco che stacca i suoi occhi trasparenti dal monitor di fronte a lui per posarli nei miei, quasi a sfidarmi ad aggiungere qualcosa altro.
Ci guardiamo, nessuno dei due molla la presa, ma alla fine sono io a cedere consapevole che non sono riuscito a metterlo in difficoltà, non ancora almeno. "Non passarmi le telefonate".
Annuisce e poi torna al suo lavoro o almeno credo. Io entro nel mio ufficio e mi rintano dietro la scrivania crollando sulla poltrona girevole guardandolo da dietro il vetro trasparente che ci divide. Non so niente di lui a parte quello che ho letto attraverso quel suo biglietto da visita e mi indispettisce vederlo tenermi testa perché non ci sono abituato.
Scuoto la testa e lasciando perdere il mio nuovo segretario mi butto sul lavoro. Quando squilla il telefono sono quasi felice per avere una scusa per aggredirlo verbalmente per la prima volta, se non fosse che è il cellulare a suonare. Cazzo.
"Perché diavolo mi chiami qua?". Domando a Ludovico senza nemmeno salutarlo.
"Perché hai un mastino come guardia".
Alzo gli occhi e quando non lo trovo seduto al suo posto mi metto dritto sulla sedia cercandolo con lo sguardo nel suo ufficio fino a trovarlo davanti alla fotocopiatrice. "Hai già scommesso?".
"Tre mesi". Mi risponde.
"Perderai".
Ride e quando ritrova la voce mi chiede quello per cui ha chiamato. "Il motivo per una riunione oggi?".
"Sono il capo, basta questo".
E quando vedo Samuele sedersi saluto il mio amico e torno a lavorare.
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QUALCOSA IN PIÙ
RomanceL'amore che Samuele conosce e condivide con Elia è fatto di rinunce e accettazioni, portandolo a credere che quella sia la vera faccia di quel sentimento ambito da molti. Jonathan invece l'amore l'ha toccato con mano, ma l'ha anche perso per sempre...