5. Abitudine, eppure la gabbia sembra aperta

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Samuele

Due settimane passate a fare di tutto per accontentarlo e cercare di anticipare e placare quello che mi era stato detto d'essere il suo caratteraccio per poi alla fine venire sbranato per una cosa che non mi riguarda. 

"Posso sapere cosa gli è saltato in mente a quella testa di cazzo?". Mi urla dietro e per quanto so che non ce l'ha con me è pur sempre umiliante. 

Non oso nemmeno ribattere, non servirebbe a nulla per cui resto in silenzio in piedi nel suo ufficio, mentre lui fa avanti e indietro con un plico di fogli in mano. 

"Perché non me lo hai detto?". Mi chiede sempre a voce alta, ma lo sappiamo entrambi che non avrei mai potuto sapere quello che stava succedendo nel reparto viaggi. 

Continuo a imitare un moai , fermo immobile sullo stesso punto mentre mi faccio scivolare addosso quante più parole riesco cercando di non farne entrare nessuna nella mia testa. 

"Credi che adesso trovare qualcuno sarà facile? Che riusciremo in una settimana ad avere un articolo da mandare in stampa che sia impeccabile?".

Sbatte sulla scrivania i fogli che teneva in mano e dopo essersi passato le mani sul viso un paio di volte abbassa il tono della voce. "Esci". Una sola parola, ma che mi colpisce di più di tutte quelle appena urlate. 

Volto le spalle e come mi ha detto torno alla mia scrivania. Lo osservo mentre va a sedersi e mentre prende il telefono in mano. Non so chi chiama e non sento quello che dice e non dovrebbe nemmeno interessarmi, ma per la prima volta da quando ho messo piede qua dentro mi sento parte di questo meccanismo che se inceppato blocca tutto il motore. 

Non posso fare molto, anzi, non posso fare nulla per lui perché non sono in grado di scrivere articoli, ma solo di fare foto e quello che gli serve ora è solo una buona penna. Sbuffo e incapace di starmene con le mani in mano mi alzo e vado a fare un caffè. E senza rendermene conto ho riempito due tazze. Le osservo e prima di pensarci troppo ingoio e vado a portargliene una. 

Busso piano per paura di disturbarlo e quando non mi risponde prendo il coraggio a due mani ed entro lo stesso. Mi avvicino alla scrivania senza dire nulla, appoggio il liquido caldo accanto a lui e poi come sono entrato, esco o almeno ci provo. 

"Grazie". Una parola, un altro colpo mortale. 

"Di nulla". Rispondo cauto e quando penso che non aggiunga altro eccolo che apre ancora bocca. 

"Ho bisogno di scopare". Butta fuori soffiando aria dalla bocca e stendendosi sulla poltrona. 

Mi gelo sul posto senza sapere cosa dire o fare. 

"Puoi chiamare tu l'hotel e Mauro?... No, Gianluca forse è meglio". 

Lo guardo, gli occhi spalancati e le ciglia aggrottate. Sta scherzando, vero? Non mi sta sul serio chiedendo di chiamare questo ragazzo per fissargli un appuntamento spero. Ma lui continua a fissarmi senza dire nulla e a me non rimane che annuire. 

"Dove trovo i numeri?". Chiedo cercando di sembrare naturale. 

"C'è un agenda rossa da qualche parte sulla tua scrivania". Mi informa e all'improvviso ricordo di aver già visto quello di cui mi sta parlando. 

Annuisco e poi lascio l'ufficio dietro di me, incredulo.

Jonathan

Sto male, mi sento male. Per la prima volta mi sento una merda per aver alzato la voce e non so nemmeno il perché dato che sono solito comportarmi così abitualmente. Sbuffo e dopo un paio d'ore da quel caffè esco e raggiungo Samuele alla scrivania. "Hai chiamato?". Gli domando. 

Le guance gli si tingono di un rosa più acceso e lo sguardo si abbassa all'improvviso. "Sì. Alle nove". 

Telegrafico come sempre, ma questa volta sembra quasi sbrigativo, come se volesse chiudere in fretta questo discorso, dandomi invece alimenti per la mia sfacciataggine. 

"Sei in imbarazzo?". Domando passando a un tono più confidenziale, abbandonato momentaneamente il lei abituale. 

"Affatto". 

"Tu non scopi?". Indago, appoggiandomi alla scrivania. 

Lo vedo impilare dei fogli e pinzarne degli altri. "Sì". 

Sorrido. "Quindi hai una ragazza?". 

"Un ragazzo". 

Lo guardo, ma lui non fa lo stesso preferendo continuare a ignorarmi e mi domando cosa gli passi per la testa in questo preciso istante, se sapesse già della mia bisessualità o dei miei continui cambi d'umore. Resto a guardarlo lavorare senza aggiungere altro e sebbene sappia che la mia presenza lì lo stia mettendo a disagio non mi sposto di un centimetro. 

Dopo Zac non ho mai più avuto altri ragazzi con cui condividere la mia vita o con cui lavorare a stretto contatto, salvo Ludovico e fino a oggi mia mamma ha sempre mandato delle donne pensando che forse era meglio così, quindi ora vedere Samuele seduto su questa sedia sta rimescolando dentro la mia testa un pensiero che era da troppo che non appariva.

"Lo ami?". Dico all'improvviso, senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo chiedendo. 

Lui si ferma e finalmente mi guarda. "È da un po' che va avanti". 

"Non è quello che ho chiesto". Tamburello le dita sulla scrivania. 

"Sì, lo amo". Si appoggia con la schiena sulla sedia. 

Lo osservo meglio, accarezzo il suo corpo con il mio sguardo provando a immaginare come possa essere il suo compagno. "È abitudine?". 

Sta in silenzio, pensa. "Centra anche quella credo". 

E ancora una volta sento un rumore nuovo nella mia testa. "Io ho amato solo una persona". E non so perché glielo dico, ma è come se tutto d'un tratto volessi farglielo sapere, come se fosse importante che registrasse questa nota nel suo cervello. 

"Amare è azzeramento". Dice infine.

Mi stupisce questa sua affermazione rendendomi curioso all'improvviso di lui. Faccio un passo verso l'uscita come se mi fossi appena scottato. "Sono nel reparto design se mi cerca qualcuno". 

E prima di sentirlo aggiungere qualcos'altro esco dal nostro ufficio affrettando il passo lungo il corridoio come se temessi d'essere raggiunto dal mio stesso pensiero, come se potesse fregargliene qualcosa del mio cuore e della mia mente. 

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