21. Amerò chi delle insicurezze non ne farà debolezze ma punti da cui partire

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Samuele

Spingo la porta a vetri ed entro nel negozio di bomboniere in cui mi aspetta Elia. Attorno al cuore ogni volta che sono con lui ultimamente è come se ci fosse del filo spinato che a ogni battito che condividiamo assieme nello stesso istante, seppur di poco, lacera quel muscolo facendo sgorgare piccoli rivoli di sensi di colpa. 

Lo cerco con lo sguardo e non appena lo trovo mi avvicino. "Ciao". Trovo la forza per salutarlo.

"Finalmente". Mi accoglie così, ovviamente per farmi notare il ritardo. "Guarda questa". 

Tra le mani tiene un ampolla trasparente sebbene sia colorata in modo tenue a ricreare un arcobaleno. "Troppo gay". Rispondo prendendo in mano una saliera solo per tenerle impegnate.

"Noi siamo gay". Mi fa notare lui, come se non ne fossi a conoscenza.

Sbuffo e mi volto a guardare altre stronzate inutili che non servono a nulla. "Si potrebbe fare una donazione al posto di regalare un oggetto". 

"A un canile? A una casa famiglia? A qualche bimbo malato?". Nella voce tutto il suo sdegno per la mia proposta. 

E forse è proprio per come lo dice, per come denigra ancora una volta un mio pensiero che parlo. "Non so se voglio sposarmi". Butto fuori all'improvviso, senza nemmeno ragionarci ulteriormente, trovando il coraggio di dare voce a quei pensieri che ultimamente affollano la mia mente spingendo per uscire a tutti i costi solo per lasciare spazio vuoto per qualcosa di nuovo. In mano stringo una statuetta di un angelo con le ali chiuse come se volesse ripararsi. E più lo guardo e più mi chiedo se stia proteggendo solo il suo cuore. 

"Va bene. Possiamo fare entrambe". Sbuffa infastidito scambiando le mie parole per aria.

Continuo a guardare la statuina e come se sprigionasse energia ribatto sulle mie parole. "Non ci amiamo". Perché non posso e non voglio fare un passo indietro ora che vedo nitidamente ciò che ho tra le mani. 

E questa volta la sua attenzione si sposta su di me. "Cosa stai dicendo?". I suoi occhi pieni di confusione.

"Guardiamo bomboniere imbronciati, con una data fissata sul calendario che non ha nessun valore affettivo". Gli sbatto in faccia.

"Possiamo guardarle un altro giorno e la data la possiamo ancora cambiare. Ma è davvero solo questo?". Mi chiede appoggiando una candela sul ripiano cautamente, come se stesse mangiando i miei sentimenti. Solo che ora è troppo tardi per tutta questa cautela.

Abbasso lo sguardo. "Possiamo uscire e parlarne?". Gli occhi delle commesse puntati addosso. 

Annuisce e dopo aver salutato usciamo da quella porta che ci ha visti arrivare divisi. 

"Cosa succede?". Le mani in tasca e nella voce una nota di impazienza.

Alzo lo sguardo nonostante mi costi fatica, mostrando tutta la mia vergogna. "Quella sera al ristorante ti ho detto di sì, ma non l'ho fatto per la ragione giusta". Ammetto. 

È la prima volta che confesso anche a me stesso questo sentimento e il peso che portavo. Alla fine ha sempre avuto ragione Jonathan. Era abitudine e protezione. Ma l'amore, quello vero, è diverso e ha tutto un altro sapore. 

Sa di dolce, ma anche di salato. È neve e allo stesso tempo sole. È oggi una notte stellata e domani una nuvolosa. L'amore è un disco che gracchia, un viaggio con una bussola rotta e una mappa inventata. È un alluvione che ti investe e ti porta via lasciandoti alla deriva di un isola solitaria, ma è anche coraggio di salpare per nuovi mari senza protezione. È un viaggio di fantasia. È una notte che finisce troppo presto e un momento che vorresti all'infinito, un sorriso che, anche se si spegne, è sempre pronto a riaccendersi. È un lancio nel vuoto senza paracadute. Ma l'amore condiviso soprattutto è avere sempre con sé  l'ombrello giusto e non uno rotto, cosicché quando inizia a piovere  tu sia riparato.

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