18. L'amore non è possedere. L'amore è saper apprezzare

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Samuele

Rigiro tra le dita la piccola fedina gialla mentre sono seduto sul divano, accanto a me tre stecche di cioccolata lasciate aperte che al bisogno prendo a morsi. 

Continuo a osservarla e più lo faccio più sento che c'è qualcosa che stona. 

"Ancora non ci credi?". La voce di Elia mi giunge dalle spalle e l'attimo dopo me lo ritrovo seduto accanto sul divano. "Basta mangiare 'sto schifo". Dice prendendo la mia droga e buttandola sul tavolino di fronte. 

Guardo il suo gesto con un fuoco dentro e ripenso a quando Jonathan è passato con una scatola piena di cioccolatini solo per farmi tornare il sorriso. Sono entrambe forme d'amore?

"Perché vuoi sposarmi?". Gli domando, infilando di nuovo quella promessa al dito. 

"Stiamo assieme da tre anni, ti amo, possiamo eliminare un affitto". Alza le spalle. Come se fosse una domanda sciocca. 

"Pensi sia questo il motivo per sposarsi? Non potremmo semplicemente andare a vivere assieme?". Gli chiedo riprendendo una tavoletta di cioccolato dal tavolo. 

"Ti ho già chiesto di venire ad abitare da me, ma non hai accettato. E poi così saresti tutto mio". Mi toglie dalle mani di nuovo la cioccolata, come se lo infastidisse vedermi mangiarla. 

Vorrei alzare la voce per mandarlo al diavolo, ma resisto. "Pensi che una firma mi renderà solo tuo? Non credi che se volessi potrei trovare ugualmente qualcun altro?". Ho la testa che scoppia nel sentire il suo ragionamento. 

"E poi dici di non essere cambiato". Mi accusa. "Una volta non avresti mai fatto un discorso così". 

Lo guardo incredulo e mi chiedo quanto amore potrà sul serio darmi. 

"Ti amo". Mi dice infine. "Questo non può bastare come motivo per volerti sposare?". 

Siamo sempre stati così noi due, un amore che va su alle stelle e che precipita altrettanto velocemente. Spesso ho pensato a come sarebbe potuto essere condividere la mia vita con lui e ora che tutto si sta avverando mi ritrovo imprigionato dai miei stessi pensieri. 

"Se a te basta, sì". Gli rispondo. 

Il problema però è che a me sembra non andare più bene così e ora non so cosa fare. 

"Ordino del pollo". Mi alzo e prendo il telefono. 

"Facciamo sushi". 

Perché è sempre così. Ingoio e al posto di chiamare per l'ordine mando un messaggio. -Se io dico che ordino del pollo, tu cosa faresti?-. Premo invio e poi lasciando Elia davanti al televisore vado in cucina. 

La risposta arriva prima di quel che pensavo. -Mangerei pollo. Che domanda del cazzo è? Ora ho fame e sono ancora in ufficio :/ -.

Sorrido. Guardo l'ora e mi stupisco che sia ancora chiuso lì dentro. Butto un occhio al divano, mi mordo un labbro e con le mani che fremono per inviare quel pensiero che mi gira per la testa, mando a fanculo tutto. -Esci. Passo a prendere il pollo. Mandami l'indirizzo di casa tua-.

L'indirizzo arriva immediato e faccio fatica a trattenere una risata. Non dovrei, ma l'ho già fatto. 

"Eli, cambio programma. Devo tornare in ufficio". 

Mi guarda da sopra la spalla. "E la nostra cena?". 

Arriccio le labbra, ecco quello che lo preoccupa. "Ordina per te. Non so a che ora torno". 

Sbuffa e poi torna a guardare lo schermo. 

Stupido. 

Non mi guardo nemmeno allo specchio, prendo solo le chiavi dell'auto ed esco. 

Jonathan

Lascio tutto in disordine e mi precipito giù per le scale a piedi perché impaziente di aspettare l'ascensore. Salgo in macchina e guido velocemente fino a casa. So che sono comunque in vantaggio rispetto a lui, ma solo l'idea che suoni il mio campanello e io non sia ancora arrivato per aprirgli mi fa impazzire. 

Sta venendo a casa mia per la prima volta e non so nemmeno il perché. 

Quando finalmente sono dentro le mie mura al sicuro, tiro un sospiro di sollievo. Mi cambio in velocità preferendo qualcosa di più comodo e poi mi sciacquo il viso con dell'acqua fredda per ricordarmi che non sto sognando. 

Dovrei stargli lontano, accettare che non è mio eppure continuo a immaginare un futuro assieme a lui. 

Il suono del campanello mi fa tornare con i piedi per terra e con il fiato in gola corro ad aprirgli. "Attico". Parlo al microfono del citofono e sentire quel suo okay mi fa battere ancora più forte il cuore. 

Aspetto che le porte si aprano davanti a me e quando lo vedo in quel piccolo cubicolo argentato con un sorriso stampato in faccia, gli occhi luminosi e un profumo di pollo fritto che lo circonda, so che non potrei mai rinunciare a lui e che sarei disposto ad amarlo anche se lui amerà un altro che non sono io. 

Mi faccio da parte e lascio che entri in casa. 

"Quindi pollo?". Domando mentre si osserva in giro. 

"Sei tu che hai detto che lo avresti mangiato. La cucina?". Mi domanda. 

Appoggio una mano sulla parte bassa della schiena e gli indico la direzione, accompagnandolo. Non posso ancora credere che sia in casa mia, che stia camminando dove di solito ci sono solo i miei passi e che riempirà questa casa con la sua presenza anche per i giorni a venire. 

"Ma ci abiti con qualcuno?". Mi domanda non appena vede il tavolo da otto. 

"Con il mio ego". Prendo dalle sue mani la borsetta e dopo inizio a svuotarla dai contenitori. 

"È parecchio ingombrante allora". Sorride ancora e prima di venir risucchiato dalla sua dolcezza distolgo lo sguardo. 

Apro il frigo, prendo due birre e le appoggio sul tavolo, per poi passare al resto. "Cosa fai qui?". 

"Ero da queste parti?!". Prova, mentendo spudoratamente dato che non aveva la minima idea di dove abitassi. 

Si siede e io faccio lo stesso di fronte a lui. "Potrei mangiare pollo per il resto dei miei giorni se questo volesse dire averti sempre qui in casa con me". Mi sfugge. 

Mi guarda e in silenzio morde un pezzo di coscia. 

Dentro di me mi maledico per l'uscita melensa che ho avuto, sopratutto data la situazione . Faccio finta di nulla e imitandolo inizio a mangiare anche io. 

"Sai", mi dice dopo aver masticato quel suo primo boccone, "questa è la prima cosa carina che mi viene detta oggi". 

Il petto mi si stringe schiacciando il cuore che comincia a lamentarsi per poter essere liberato. "Non dovresti far passare un giorno senza sentirti importante per qualcuno". 

"Quel qualcuno che dovrebbe farmi sentire importante alla mia proposta di mangiare pollo mi ha chiesto di ordinare sushi". Abbassa gli occhi e torna a mangiare con gusto, sporcandosi. 

Rifletto sulle sue parole e aggrotto la fronte. Possibile che sia così? "Lui dov'è ora?". 

"A casa mia a mangiare sushi credo". 

Scoppio a ridere. Non può essere. L'ha lasciato lì da solo ed è venuto a mangiare quello che voleva a casa mia. 

Quindi forse questo finale alla fine lo scriveremo assieme. 

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