9. La tua meraviglia, il mio batticuore

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Samuele

Continuo a ripetermi che non avrei dovuto comportarmi così, che non dovevo dirgli sul serio quello che pensavo, ma la mia difficoltà nel mentire questa volta mi ha giocato un bruttissimo scherzo. Entro in ufficio con le spalle flosce e l'entusiasmo sepolto sotto terra, senza sapere esattamente cosa mi riserverà questa giornata. 

Mi siedo al mio posto, accendo il computer e inizio a organizzare tutti gli impegni. Sono perso nel mio lavoro quando mi accorgo che davanti a me c'è una persona. 

"Buongiorno". Mi saluta, mezzo sorriso sulle labbra. "Tra quanto pensa di licenziarsi?". Mi sento domandare. 

Lo fisso, non l'ho mai incontrato prima, ma sicuramente lavora nella rivista. "Io...". Inizio a dire, per poi bloccarmi. Ma cosa diavolo vuole questo?

"Ah! Ho capito. La licenzierà!". Ride. "Questo non cambia il risultato finale". 

Sono allibito, incapace di collocarlo in uno dei reparti con cui lavoriamo e sto per chiedere chi è quando la porta si apre lasciando fare il suo ingresso al mio capo. 

"Ludo". Lo accenta. "Hai finito di importunare il mio assistente?". Gli dice mettendosi di fronte. 

"Interessante Jonathan". 

Li vedo guardarsi attentamente e sono sicuro che quello scambio sia pieno di parole che a me non è dato conoscere. 

"Ho fatto mandare gli abiti qui". Si volta verso di me e accenna un leggero sorriso.

"Non lo mandi in lavanderia?". Gli chiede quello che ora deduco sia un suo amico oltre che collega. 

"Samuele mi serve qua". Mette in chiaro. 

E sentire il mio nome scivolare fuori dalla sua bocca mi fa agitare più del dovuto. Non dico niente e resto a guardarli mentre entrambi entrano nel suo ufficio e solo dopo che si sono chiusi la porta alle spalle mi do una manata in fronte. Cosa. Cazzo. Sto. Facendo. Ho già un ragazzo che sopporta il mio carattere e che mi piace e sebbene quello che ha detto ieri sera, che per lui non ci sarebbero problemi se attraverso una scopata ottenessi ciò che voglio, mi abbia lasciato un po' di amaro in bocca, so che non è una cattiva persona e che i suoi sentimenti nei miei confronti sono sinceri.

Penso a me e al mio voler stare assieme a una persona che mi ama e poi penso a Jonathan e al suo non voler più amare. 

Ed è tutto talmente chiaro e in ordine che sarebbe da pazzi sconsiderati anche solo provare a invertire l'ordine aggiungendo possibili variabili. 

Scuoto la testa e torno a lavorare. Rispondo al telefono e mi dimentico di tutto quello che mi circonda, fino a quando riappare la figura di prima davanti a me. 

"Puoi anche restare qui". Dice riferendosi al mio possibile licenziamento. "Ma sappi che ti terrò d'occhio". Batte una mano sulla scrivania e poi esce dall'ufficio. 

Guardo la porta che ha appena attraversato e mi interrogo su quale argomento mi stesse dando l'avvertimento. 

Se sul lavoro o sul suo amico. 

Jonathan

Sto facendo di un'erba un fascio. 

Devo comportarmi come al solito, come faccio sempre eppure non ci riesco. Lo guardo seduto alla sua scrivania mentre lavora chino su alcuni documenti e mi chiedo se semplicemente la mia testa abbia deciso che fosse l'ora per farmi un nuovo amico. Quindi non ha nessun senso tutta questa mia frizzantesca allegria nei suoi confronti. 

Forse lavorare con al mio fianco un ragazzo ha acceso una parte di me che non sapevo si fosse sopita e che ora preme per tornare alla ribalta. 

Risponde al telefono, una telefonata veloce e dopo aver agganciato la cornetta si alza ed esce dall'ufficio. Sta via pochi minuti e quando ritorna viene dritto verso la mia stanza e non appena si accorge che lo stavo aspettando si blocca sull'uscio con la mano alzata pronta a bussare. 

"Ho i vestiti". Mi dice entrando. "Aspetti qualcuno?". 

Lo guardo osservare il secondo abito mentre campa teorie nella sua testa. È buffo mentre aggrotta la fronte e nota ogni dettaglio. "È già qui". 

"Oh". Si guarda attorno senza però trovare nessuno. "Devo farlo entrare?". 

Nel mio cervello si accende una spia rossa non appena faccio il primo passo e tutto dentro di me si mette in allerta facendo scattare allarmi che però ignoro. Mi avvicino a lui e prendo il mio abito appoggiandolo sulla poltrona, lasciandogli in mano l'altro. 

Siamo uno di fronte all'altro, i respiri che si mescolano. 

"Lo devo portare a qualcuno?". Mi chiede e vedo il suo pomo d'Adamo andare su e giù. 

È una cazzata. Enorme. Grandissima. 

Gli sfilo l'abito e senza dire nulla lo appoggio su di lui. "È perfetto". 

I suoi occhi cercano i miei. "Non capisco". 

Continuo a guardare l'effetto che il porpora ha sui suoi occhi color ghiaccio e mi congratulo con me stesso per aver azzardato con questa tonalità. "Ho una riunione e vorrei mi accompagnassi". 

"Hai il controllo dei nuovi lavori". E so benissimo cosa è segnato sulla sua agenda perché è uguale alla mia anche se pensa che io non ne abbia nessuna. 

"Cambiati". Gli metto l'abito tra le mani. "Voglio che li controlli con me". 

Lo stupore che vedo sul suo viso è impagabile e so che dentro di sé sta esultando sebbene al di fuori cerca di contenere le sue emozioni. 

Più volte ho letto il suo curriculum e più volte ho immaginato quello a cui voleva puntare e, quando ieri sera mi ha detto che non sapeva in che reparto sarebbe finito, ho voluto controllare che fosse vero. Quando ho chiamato mia mamma prima d'uscire di casa questa mattina non ha fatto altro che confermare la sua versione e questo mi ha spinto a prendere la decisione di portarlo con me. 

"Hai detto che ti piace fotografare la vita. Era una cazzata?". Lo provoco, vedendo che deve ancora muovere un muscolo. 

"Assolutamente no". 

E prima che possa aggiungere altro prende il telecomando delle tende, le abbassa come sono solito fare io quando mi cambio e poi inizia a sfilarsi i vestiti uno dopo l'altro come se fosse solo nella stanza, provocando in me un mezzo infarto non appena vedo la sua pelle liscia e abbronzata. 

"Qua?". Non serve che gli dica a cosa mi riferisco. 

"Non dirmi che con tutti i corpi nudi che vedi ti stai scandalizzando per il mio". Si ferma a guardarmi. 

I capelli in disordine e sfuggiti dal piccolo codino che si era fatto sta mattina, il petto completamente nudo, le scarpe scalciate via e i jeans slacciati e leggermente abbassati sui fianchi da renderlo sexy in una maniera unica di cui nemmeno si rende conto. 

"Non mi sto scandalizzando, sto ripetendo una preghiera per non toccarti". Ammetto. 

Si porta una mano sul ventre piatto e glabro accarezzandosi soprappensiero. 

"Stai solo peggiorando la situazione così". Gli faccio presente, bruciando le ultime sinapsi che ancora tenevano collegate il cervello pensante con quello motorio. 

Fa un passo indietro. "A cuccia". Mi dice finto serio e quando non riesce più a trattenere la risata, scoppio a ridere con lui. 



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