14. Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene

1.3K 91 22
                                    

Samuele

"Cosa vuoi fare per il tuo compleanno?". La voce di Elia che arriva dalla camera dove si sta vestendo per uscire. 

Guardo l'ora sull'orologio appeso alla parete con ritratta una foto di noi due, un regalo da parte sua e una dedica: anche se il tempo passa, io mi fermo qua con te. Ricordo che l'avevo trovata carina, sdolcinata, ma dopotutto stavamo uscendo da pochissimo. Non sono neanche le nove di sera e lui al posto di stare con me ha deciso di uscire con i suoi amici, ma dopotutto sono io quello che è cambiato. 

"Niente?". Perché odio festeggiare il mio compleanno.

"Dobbiamo fare qualcosa". Insiste, raggiungendomi. 

"Lo sai che sto bene da solo. Andiamo fuori a cena io e te". Propongo. 

"Che noia". Sbuffa e poi torna in bagno a finire di prepararsi. 

Non credevo che per lui fosse diventato noioso passare del tempo da soli, ma a quanto pare in questo periodo stanno saltando fuori un sacco di cose di cui non ero a conoscenza. Sospiro e mi tornano in mente le parole di Jonhatan. Più tempo con te. Mi volto verso il bagno e guardo il mio ragazzo che invece ha deciso di lasciarmi da solo. 

Stringo gli occhi e mi strofino la fronte, dopo di che prendo il telecomando e accendo la televisione. Metto su uno di quei canali dove spiegano com'è fatto il cibo e di come poi in automatico ti passi la voglia di acquistarlo ancora.

"Io esco. Ti ricordi che domani vado via per lavoro?".

Annuisco, me lo avrà detto cento volte come se potessi evitarglielo.

"Torno sabato pomeriggio e poi la sera festeggiamo, organizzo io qualcosa con i ragazzi". Continua.

Si sporge per darmi un bacio e mentalmente invoco qualsiasi divinità per far sì che per almeno una volta ascolti quello che vorrei fare io.

Lo saluto e quando la porta di casa si chiude dietro di lui mi alzo e vado a prendere la scatola dove tengo tutti i miei cioccolatini. Quando la apro però al suo interno non c'è nessuna traccia del cibo degli dei, ma solo un misero foglietto: lo faccio per te. Impreco tra i denti e lo maledico. Apro la credenza, ma nemmeno lì c'è più traccia di zuccheri bruni.

Fanculo.

Prendo il telefono e proprio mentre sto per far partire la chiamata mi arriva un messaggio. -Non ho nessun motivo per scriverti, ma volevo solo sapere come andava la tua serata-.

Sorrido come un ebete e poi digito la risposta. -Sono senza cioccolata in casa quindi va piuttosto male-. Metto giù il telefono e apro il frigo. Osservo la landa desolata davanti ai miei occhi e arriccio le labbra infastidito.

Fanculo ancora.

Recupero il telefono e torno a sedermi in divano. Faccio zapping tra un canale e l'altro e ogni trenta secondi sblocco il telefono per vedere se è arrivata una sua risposta, ma inutilmente.

Bhe, cosa mi aspettavo?

Non so quanto tempo passi, ma mentre sto guardando un documentario su Loch Ness suona il campanello. Le nove e quaranta, possibile che Elia abbia cambiato idea? Però ha le chiavi.

Batto gli indici uno contro l'altro indeciso, ma alla fine mi alzo e vado a rispondere al citofono.

"Chi è?".

"Il tuo buon umore".

E quella voce che affolla la mia mente spazzando via ogni mia razionalità, proprio in questo preciso istante sta gracchiando attraverso un microfono malandato.

"Cosa ci fai qui?". Domando.

"Mi farai l'interrogatorio così?".

Idiota. "Quinto piano". Gli dico e poi resto in attesa sulla soglia della porta d'entrata di veder comparire il suo viso.


Jonathan

Per due ore ho cercato di convincermi che non posso averlo, eppure è bastato uno stupido messaggio a farmi capitolare ai suoi dannati piedi facendomi dimenticare ogni mia paura sull'amare ancora.

Faccio le scale quasi di corsa ripetendomi che starò solo il tempo di vederlo e poi me ne tornerò a casa con la coda tra le gambe, ma quando faccio l'ultimo gradino e lo vedo appoggiato con una spalla allo stipite della porta, le braccia incrociate e i piedi scalzi, ogni nenia che mi ero ripetuto si disintegra lasciandomi solo con il desiderio di farlo mio. 

"Ehi". Mi saluta, un sorriso incerto sulle labbra. 

Alzo il sacchetto che tengo in mano senza dire nulla. 

"Cos'è?". 

"Cioccolato". Mi sento stupido. 

Mi sfila di mano con un gesto veloce la borsetta e poi entra in casa parlando. "Dimmi che non stai scherzando". 

Sono fuori, non mi ha detto d'entrare e in più mi rendo conto solo ora che potrebbe non essere solo. Coglione. Cosa cazzo pensavo?

"Entri?". La voce lontana. 

"Aspetto qui". Gli dico affacciandomi in casa e venendo accolto da un tiepido calore, anche se non so cosa dovrei aspettare esattamente. 

"Mi hai appena salvato, come potrei lasciarti fuori?". Si affaccia sul corridoio. 

"Non vorrei disturbarvi". Uso il plurale apposta. 

Aggrotta le sopracciglia. "Sono solo, entra". 

Metto piede in casa e poi chiudo la porta alle mie spalle. Lo raggiungo in quello che scopro essere un open space tra cucina e salotto, trovandolo seduto su uno sgabello con la confezione di cioccolatini aperta davanti a lui. Mi siedo accanto a lui e resto a guardarlo mentre valuta cosa assaggiare per primo. 

"Hai lo stesso sguardo di quando fotografi". Gli dico. Sul suo viso affiora un sorriso luminoso.

"Amo il cioccolato e non sopravviverei senza". Alla fine ne sceglie uno e proprio quando penso aprirà la bocca si volta verso di me e lo mette davanti alla mia. "Stimola la chimica mentale dell'essere innamorati". 

Apro la bocca e appoggio le labbra sulle sue dita, poi mastico sotto i suoi occhi attenti assaporando ogni sfumatura di sapore che è racchiusa in quel piccolo quadratino. "Stai cercando di farmi innamorare di te?". 

"Non sono io quello che è venuto di corsa non appena ha saputo che ero triste". Mi dice provocandomi. 

Penso alle sue parole e sento quanto di quello che ha detto è vero. Sono io quello cotto di lui. Ma sono veramente solo io che provo questa strana attrazione? 

"Ero di passaggio". Cerco di evitare l'argomento. "Dovrei andare ora". Mento, perché non vorrei andarmene, vorrei stare qui con lui, vedere la sua casa, ma è pericoloso. 

"Di già?". Sento una punta di delusione nella sua voce. 

"È complicato". Gli dico. Perché ammettere ciò che c'è nella mia mente in questo preciso istante potrebbe bruciarmi prima del previsto e non so se sarei in grado di accettarlo. 

"Cosa?". Mi domanda.

"Noi". Sospira e poi stringe ancora una volta il labbro tra i denti e ancora una volta poso la mia mano sul suo viso per cancellare quel gesto. "Non farlo". 

"Perché?". Mi chiede. 

"Mi confondi". Ammetto, rivelandogli in parte quello che sento quando sono con lui.

QUALCOSA IN PIÙDove le storie prendono vita. Scoprilo ora