17. Esiste, forse, un sentimento più illusorio dell'amore?

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Samuele

Sono seduto sulla poltroncina girevole alla mia scrivania, una penna tra i denti che sta implorando pietà e la testa che non vuole saperne di concentrarsi sul lavoro. Nella mia mente continuano ad affacciarsi immagini di sabato sera e di quello che è successo lasciandomi addosso un liquido appiccicoso fatto di sensi di colpa.

Mi piaci e ho capito che non voglio dividerti con nessun altro.

Mi do una manata in fronte e lancio la penna sulla scrivania proprio quando davanti a me appare Jonathan.

"Ti aveva minacciato?". Mi chiede riferendosi a quel pezzo di plastica che ho distrutto.

Sul suo viso un espressione strana, ma un sorriso che comunque riesce a scaldarmi il cuore.

"Era scarica". Alzo le spalle, ma sappiamo entrambi che non è vero dato che me l'aveva appena comprata nuova.

"È successo qualcosa?". Il suo sguardo che all'improvviso si fa più scuro, triste.

"No, solo un po' stanco". Ed è vero dato che le ultime due notti non ho dormito.

"Vuoi andare a casa?". Non so cosa lo spinga a darmi questa possibilità, ma la premura nei miei confronti mi fa sentire una merda.

"No. Mi basta un caffè". Mi alzo dalla sedia. "Tu ne vuoi uno?".

Vado verso la saletta lasciandolo appoggiato alla mia scrivania. E sto mettendo la capsula nella macchinetta quando due braccia forti mi circondano la vita e il suo viso si appoggia sulla mia spalla.

Mi blocco e vorrei dire che è perché mi sento a disagio, ma la verità è che sto bene così, troppo forse.

"È sbagliato desiderare questo?". Mi chiede, la voce spenta.

Ingoio a vuoto e dopo un momento di silenzio e di indecisione, abbasso le mie mani a circondare le sue braccia. I muscoli sotto il mio tocco sono tesi e mi chiedo quanto si stia trattenendo per non andare oltre. Appoggio la testa sulla sua in una posizione scomoda, ma dalla quale non voglio scappare. "No, non lo è".

"Sono arrivato tardi?". Mi chiede, la voce che si incrina leggermente e che mi fa quasi pensare che sappia.

Non gli rispondo, non ne ho il coraggio. Perché la verità è che dentro di me sta prendendo fuoco ogni certezza che avevo, lasciandomi solo cenere che si disperde col primo soffio di vento.

Lo sento sospirare e, seppur con riluttanza, slaccia la presa attorno ai miei fianchi e fa un passo indietro. "Devo sistemare l'impaginazione per cui non passarmi le telefonate".

Annuisco. "Ti porto il caffè tra due minuti". Gli dico. Mi fa un cenno affermativo con la testa e poi lascia lo stanzino tirandosi dietro pezzi di me.

Vorrei dirgli tante cose, ma so che nessuna di queste lo farebbe stare meglio, non quando sono io il motivo del suo malessere.

Jonathan

Cerco di restare calmo, ma dentro di me la rabbia ha preso dimora e la voglia di ribaltare la scrivania in questo momento è veramente tanta, troppa.

Lo sapevo e, anche se non li ho visti, non c'è tanto da lasciare all'immaginazione sul come abbiano proseguito la serata.

Perché quello che gli occhi non sanno è che il cuore aveva già capito anche senza bisogno di prove.

Abbracciarlo, tenerlo stretto e sentire le sue mani sulle mie mi ha dato una piccola illusione di felicità, sebbene effimera, per poi riportarmi alla realtà non appena ho sentito sulla mia pelle quella piccola fascetta fredda che è stata in grado di togliermi tutte le speranze in un batter d'occhio.

Mi chiedo se siano degli anelli di coppia, se ne abbia uno anche il suo amante oppure se gli abbia regalato un anello per ufficializzare il loro fidanzamento.

Mi viene il vomito e prima di correre da lui gettandomi ai suoi piedi chiedendogli di amarmi, prendo una penna e inizio a scarabbocchaire con impazienza uno dei fogli che ho davanti, ma è tutto inutile perché semplicemente non voglio accettare che lui non sia mio. 

"Ti ho portato il caffè". La sua voce cauta mentre entra nel mio ufficio. 

Vorrei alzarmi e dirgli che so tutto, che non può sul serio finire così tra noi perché sebbene ancora non fosse iniziato nulla, dentro di me il mio cuore si era aperto quando credevo non sarebbe più successo. "Grazie". Riesco a dire, ma anche solo questo mi costa fatica. 

"È successo qualcosa?". Mi chiede facendo il giro della scrivania, affiancandomi. 

Premo le labbra e stringo gli occhi per impedirmi di piangere e solo quando ritrovo una parvenza di calma prendo la sua mano e la rigiro sulla mia, sfiorando quella promessa dorata. 

Sento i suoi muscoli tendersi non appena comprende che so e questa paura che all'improvviso si respira nell'aria mi domando se provenga solo da me. 

"Mi sposo". 

Due parole che solitamente sono piene di gioia, ma che vengono pronunciate come se fosse un rito funebre. Mi chiedo se lo voglia davvero o se stia solo inseguendo quel desiderio di vissero felici e contenti. Magari la sua favola si avvererà sul serio, non come la mia. Chissà se io e Zac ci saremmo sposati un giorno. Penso a lui mentre tengo tra le mani quella di Samuele e so esattamente cosa mi direbbe di fare in questo caso. Essere felice per chi ho davanti. "Congratulazioni". Sorrido o almeno ci provo. 

E quella curva che fa apparire è identica alla mia. 

Ma se è così doloroso per entrambi perché ci facciamo questo?

"Non me lo aspettavo". Ammetto. È giovane e mai aveva espresso il desiderio di sposarsi. 

"Nemmeno io". Appoggia il sedere sulla scrivania e lascia cadere le mani in mezzo alle gambe. 

Più lo guardo e più mi convinco che stia sbagliando. "Hai detto di sì". 

Annuisce. "È stato un attimo. Il momento prima ero felice e quello dopo ero tipo wow cosa sta succedendo". Scuote la testa e la butta indietro ritrovandosi a fissare il soffitto. 

Mi alzo incapace di continuare a fare quello che è giusto venga fatto e per un momento, uno solo, faccio quello che voglio io seguendo i miei capricci, senza avere rammarichi un domani che mi peseranno sulle spalle. Mi metto in mezzo alle sue gambe aperte e poso le mie mani sui suoi fianchi attirando la sua attenzione su di me. "Vorrei leggere il finale". 

I suoi occhi limpidi e bagnati che dolcemente accarezzano i miei. "Quale?". 

"Il nostro". Asciugo una lacrima solitaria sul suo viso che è riuscita a sfuggire.

Sospira e dentro questo piccolo soffio sento tutte le sue bugie. "Te l'ho già detto". 

Lo abbraccio assecondando questa sua decisione, ma fortemente contrario alle sue scelte. Su di noi lui ha già messo un punto, solo che si sbaglia. 

Credevo che dopo Zac non sarei più riuscito ad amare, eppure sebbene con fatica e riluttanza iniziale ora mi ritrovo innamorato di un ragazzo che ha paura di lasciarsi andare e di vivere come vuole. Perché è facile accettare la scelta più comoda, ma è nel coraggio di mandare tutto all'aria che ci si sente liberi. 

"E io ti dico che non è ancora stato scritto". Lo stringo un po' di più sapendo che potrebbe essere l'unica occasione che ho.

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