Don't reject me

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Bang Yedam × Kim Doyoung

Ero ammalato e solo nella mia stanza.
Mia madre era al lavoro, ed il sole pomeridiano non traspariva oltre le tende tirate sulle finestre.
Ero disteso nella penombra del mio letto caldo. Il mio dito scorreva sullo schermo freddo del mio cellulare. Quel pomeriggio sarei dovuto uscire col mio gruppo di amici.
Ero triste? Sì.
Avevo avvisato tutti della mia sicura assenza, comunicando le mie condizioni disdicevoli.
Il raffreddore mi tappava il naso, un bruciore continuo in gola mi dava la sensazione di trovarmi nell'Inferno.
Avevo freddo, non percepivo più il calore delle coperte del mio letto.
Fazzoletti ricoprivano come un mantello bianco il mio comodino.
Spensi il cellulare, sentendo le palpebre sempre più pesanti. Mi strofinai gli occhi, sbadigliando e facendomi più piccolo nel mio fortino di stoffa. Chiusi gli occhi, e in quell'esatto momento sentii il campanello suonare dal salotto.

Il cuore perse un battito. Non aspettavo alcuna visita, e tantomeno credevo mia madre tornasse così presto dal posto di lavoro. Lentamente mi alzai dal letto. Le mie articolazioni piansero con scricchiolii e dolori simili a coltellate.
Sospirai, avvolgendomi una coperta attorno il corpo per mantenermi al caldo. Il pavimento era freddo, i miei passi lenti e quasi incerti. Mi ci volle diverso tempo prima di raggiungere la porta d'ingresso.
Girai la chiave nella toppa e abbassai la maniglia in ottone, rivelando una luce quasi accecante. Davanti a me si parò una figura non molto alta, e mi ci volle tempo prima di riconoscerla.
«Y-Yedam?»
Lui sorrideva, baciato dal sole splendente di quel pomeriggio. I suoi occhi erano ridotti a fessure adorabili, le fossette in bella mostra. Divino.
«Ciao Doyoung!»
«Che ci fai qui, hyung?»
Aggrottai ancora di più la fronte.
«Sei ammalato. Sono qui per tirarti su di morale.»
Il suo sorriso non era scomparso, si era solo ristretto un poco.
Per qualche motivo la sua smorfia facciale mi contagiò.
Lo feci entrare in casa, conosceva giá quell'abitazione modestamente spaziosa.
Le cene tra amici fatte in quel salotto erano già innumerevoli, le serate film altrettanto. Dodici ragazzi in un salotto, alcuni seduti sul divano, alcuni sul tappeto. Quei momenti mi passarono dinanzi gli occhi come flashback.

Yedam si diresse immediatamente nella mia stanza, come se nulla fosse. Solo quando lo raggiunsi, dopo tanto tempo, notai la borsina che aveva con sè.
«Cosa c'è lì dentro?»
Indicati la busta bianca.
«Medicine, e credo aver fatto bene a portarle. Sei ridotto male, Dobby.»
Mi si avvicinò, accarezzandomi il capo dolcemente. Quei contatti visivi e fisici mi davano sempre alla testa. Mi rendevano felice e spensierato, mentre la speranza di ricevere un "Sì" alla mia domanda si faceva spazio nel mio cuore.
La fatidica domanda, la questione ancora irrisolta.
Glielo avevo chiesto talmente tante volte che non ricordavo nemmeno quante.
Mi ero inginocchiato, gli avevo porto dei fiori, lo avevo abbracciato e supplicato. Ma tutte le volte avevo ricevuto un "No" in risposta. Era sempre la stessa domanda: «Vuoi diventare il mio ragazzo?»
Il mio cuore aveva rischiato di strapparsi tante e troppe volte, eppure, il fatto che fosse ancora al mio fianco mi rendeva abbastanza forte da non buttare all'aria la mia vita.

Io lo abbracciai, sentendolo ridacchiare. Immaginai il suo sorriso su quel perfetto viso. Poggiai la testa sulle sua spalla, ero stanco e bisognoso di affetto.
«Yedam.»
«Sì, Dobby?»
«Davvero hai rinunciato ad uscire con gli altri per stare con me per curarmi?»
Una sua mano mi accarezzò la schiena coperta dal lungo piumone.
«Certo. Mi sentivo male all'idea di lasciarti solo in casa nelle tue condizioni.»
Lo guardai negli occhi, leggendo solo verità e dolcezza nelle sue pupille dilatate.
«Ti voglio bene.»
Sussurrai, avvolgendo di nuovo le mie braccia attorno il suo busto.
«Anche io.»
Sorrisi, sentendo quanto quella frase mi aveva scaldato il cuore e il corpo. Per qualche secondo le ossa smisero di genere di dolore e il freddo parve scomparire.
Era un ragazzo prezioso, ed era proprio per quel motivo che mi ero preso una cotta per lui.

Il pomeriggio lo passai raggomitolato al suo fianco. Una coperta ricopriva entrambi. Un bicchiere d'acqua era posato sul mio comodino ripulito dai fazzoletti. Il raffreddore sembrava già sul punto di scomparire.
Avevamo messo su da poco un film, ed io avevo ingoiato l'ennesima pastiglia.
Erano le 18 passate, e mia madre non era ancora tornata. A me andava bene così, la compagni di Yedam per me era già più che sufficiente.
La stanza era avvolta dal buio, senza contare la TV accesa.
Un suo braccio mi avvolgeva le spalle. Era andato in palestra negli ultimi mesi, e già aveva riportato risultati impressionanti. Le spalle erano di poco più larghe e le braccia muscolose. Era attraente.
Andai alla ricerca della sua mano libera, stringendola poi leggermente. Mi persi a giocherellare con i suoi sottili e freddi anelli. Seguii i loro contenti e quelli delle vene rilievo sul dorso della mano.
Lui non accennò una sola volta al ritrarsi da quella situazione. Al contrario sembrava approvare o per lo meno apprezzare. Cominciò ad accarezzarmi i capelli, facendomi rilassare ulteriormente. Le palpebre tornarono pesanti, i movimenti lenti. I suoi movimenti erano soporiferi e calmanti più di una qualsiasi medicina apposta.
Lo sentii prendere un respiro più lungo e profondo, segno che stava per parlare.
«Doyoung.»
La sua voce era dolce come sempre. Tutti amavano la sua voce melodiosa e perfetta per il canto. Lui era nato EPR cantare.
«Mh.»
Ero ancora occupato a seguire le sue vene in rilievo. Trovavo anche quelle attraenti.
«Sai, ci ho pensato a lungo.»
«A cosa hai pensato a lungo?»
Tenni lo sguardo puntato sul televisore, cercando di non mostrarmi troppo curioso o impaurito.
«A noi.»
Non risposi, aspettando che continuasse con quel discorso complicato.
«È da tanto che non mi fai quella domanda.»
«Vorresti che te la facessi ora?»
Non capivo le sue intenzioni. Voleva ferirmi? Cosa voleva esattamente?
«N-no cioè, sì lo vorrei.»
«Non lo farò.»
Lui smise di accarezzarmi il capo, guardandomi incredulo.
«Cosa? Perchè?»
«Non ho le forze e la voglia di essere rifiutato. Passerei i seguenti due giorni col cuore dolente e gli occhi gonfi.»
Il silenzio divenne re della stanza per quel poco che poté.
«Credi davvero che io voglia ferirti di proposito? Che ti farei fare questo solo per vederti piangere e supplicarmi in ginocchio?»
La sua voce non era dolce come prima.
«Io non so cosa vuoi, Yedam. Non lo riesco a capire.»
Lo guardai dritto negli occhi, alzandomi tenendo le gambe incrociate sul letto.
«Mi hai rifiutato per anni, ed ora vuoi che ti chieda di essere il mio ragazzo? Perchè devo sempre essere io a chiederlo? Se davvero vuoi che stiamo assieme, allora fallo tu. Chiedimelo.»
Le sue sopraccigli si alzarono in un'espressione sorpresa. I suoi occhi riflettevano la luce del televisore ancora acceso.
«Ok.»
Assunse lo sguardo più serio che gli avessi mai visto addosso. Le sue mani cercarono le mie, quasi disperate.
I suoi anelli ormai tiepidi mi toccarono la pelle bollente, i suoi pollici mi accarezzarono le mani.
«Doyoung.»
I suoi occhi ora luccicavano di luce propria.
«Vuoi essere il mio ragazzo?»
Quelle parole mi sembrarono così familiare, eppure così strane e sconosciute pronunciate da quella voce. Le sue labbra erano schiuse, il suo fiato mozzato. Mi guardava come per spronarmi a rispondere. Lo sentii tremare un poco.
«I-io...»
Per qualche motivo mi fermai a pensare. Mi bloccai, come se avessi paura a rispondere. Era tutt'altra cosa rispetto al chiederlo.
Guardai di nuovo i suoi occhi costellati e luminosi, poi le sue mani morbide e dalle dita affusolate.
«Sì.»
Come avrei potuto dire di no. Sembrava essere lui quello supplicante in quel momento.

Le sue braccia mi strinsero subito in una morsa quasi soffocante. Il suo profumo mi invase di nuovo le narici. Sorrisi.
Il mio sogno si era avverato, forse non nel modo che avevo pensato, ma era accaduto. Io ero diventato ufficialmente il ragazzo di Bang Yedam.
«Sono venuto qui per curarti e per chiedertelo, Dobby. Sono mesi che ci penso, e finalmente sono pronto. Sono pronto a cederti tutto l'amore che meriti. Sono pronto a tenerti la mano in pubblico, ad abbracciarti quando siamo soli, a baciarti quando tu lo desideri. Sono pronto ad amarti, Kim Doyoung.»
«Io lo sono da una vita, Yedam, ma va bene così.»
Mi prese il viso fra le mani ridendo alla mia risposta ironica in quel momento tanto commovente.
In fondo sarebbe sempre stato così.
Lui il sentimentale. Io l'ironico.
I ruoli si erano invertiti, ma era perfetto così. Perfetto come era diventato in poco tempo.

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Mi scuso del fatto che questa non è una delle mie os migliori, ma sinceramente avevo una voglia matta di postarla.
Se avete consigli per nuovi capitoli, fatevi pure avanti.
Enjoy🌼

𝐎𝐧𝐞𝐒𝐡𝐨𝐭 𝐊-𝐩𝐨𝐩 •𝐌𝐮𝐥𝐭𝐢𝐟𝐚𝐧𝐝𝐨𝐦•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora