Twelve

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"È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria

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"È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria."
-José Saramago

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Quand'ero piccola, quando l'innocenza del mio subconscio non era ancora stata scalfita, mi piaceva vivere in molte convinzioni.

Una di queste era che la vita fosse il racconto di una favola, dai colori accecanti e da una passione talmente intensa che solo il tempo avrebbe potuto sfumare, e che di lì a poco sarebbe arrivato ciò che avrebbe preannunciato il mio lieto fine.

Ma più andavo avanti e più la realtà terrena mi si schiantava dentro, con una violenza inaudita che aveva il solo fine di incrinarmi.

"Le favole non erano tristi" continuavo a ripetermi in modo asfissiante, "Le favole non portano l'angoscia di traumi infantili" e quelle parole vorticavano rumorosamente nella mia testa.

Forse fu proprio quello a farmi rendere conto che, malgrado il mio subconscio volesse trasformare tutto in una fiaba e il cuore pregasse affinché non dovesse subire l'arcigna cattiveria delle persone, i miei occhi non facevano altro che vedere l'inferno e tutto ciò che Lucifero disintegrava al suo passaggio.
E la favola che tanto speravo di vivere non faceva altro che mutare e palesarsi sotto ai miei occhi come un incubo, che aveva come mostri le lacrime della sua tristezza e il dolore dei suoi occhi.
Lacrime destabilizzanti e tortuose, che possedevano il potere dell'empatia ingannevole.

Ma dai miei occhi non cadevano mai quei mostri che avevano la forma di gocce cristalline.

No.

Perché a piangermi fu il cuore, ogni volta che la favola sbiadiva e la realtà si faceva più vivida, più indelebile.
Ma quello che restò davvero indelebile dentro di me furono quelle lacrime, che ogni giorno non smisi mai di contare, che rimasero tatuate sotto la pelle, tra le pareti di un cuore che perdeva ogni giorno di più il suo calore.

Ma nessuno se ne accorgeva, mai.

C'erano dei momenti, durante la mia crescita, in cui mi chiudevo nel mio silenzio.
Scomparivo, raggiungendo il mio posto silenzioso, solo per poggiare l'orecchio sul cuscino.
Mi concentravo sul mio respiro, rendevo il caos intorno a me in quiete, calma e silenziosa, fino a poter sentire i lenti battiti del mio cuore rimbombare dentro le mie orecchie, nella mia testa, nella mia anima scheggiata,
fino a renderla la melodia del mio sonno.

Era quella la cosa che calmava i miei incubi, che colmava le sensazioni di smarrimento dovuta alla mancanza di sogni.
Era quella, la cosa che mi faceva sentire più viva.
Ascoltare i battiti di un cuore che pulsava ancora, anche se a stento.

Ma più passava il tempo, più crescevo, e più vedevo la malignità essere tramandata da una persona all'altra, andare e tornare, coprendo, in me, anche quei piccoli spiragli di luce, facendomi sentire costantemente il dolore di quei mozziconi ardenti, delle percosse che aprivano la mia carne, gli insulti che trapassavano con bestialità la mia ragione, malgrado, in quel momento, fossero solo ricordi miserabili.

Sospiri dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora