4- sollievo

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Elizabeth
Quando salgo sul mezzo, dopo mezz'ora di agonia passata alla fermata dell'autobus per la paura di essere scoperta, tiro un sospiro di sollievo.
Lo stress, la tensione, il dolore... si affievolisce tutto, facendo spazio alla calma e al sonno. Ma non posso ancora dormire.
Venti minuti esatti mi separano dalla partenza dell'autobus che mi avrebbe accompagnata in quello che dovrà essere un viaggio di circa cinque ore.
Devo solo aspettare che questo minuscolo autobus mi porti alla stazione, e poi tutto sarà un misero ricordo lontano.

Il paesaggio scuro fuori dal finestrino dovrebbe darmi tranquillità, eppure... mi mette inquietudine. Non vedo l'ora di essere lontana da qui.
Guardo l'ora sul cellulare: sono le 02:16. L'autobus parte alle 02:35.
Quando arrivo alla stazione, scendo portandomi il peso della valigia e del borsone, travolta da un improvviso senso di stanchezza.
Sono le 02:27. Giusto il tempo di ricompormi e di cercare il mezzo nel completo buio della stazione.

Lascio un secondo la valigia e il borsone a terra, riprendendo fiato. Mi sistemo gli occhiali con il tremore alle mani, dopodiché riprendo il tutto e mi accingo ad aguzzare la vista.
L'autobus è a circa venti metri da me, in attesa. Lo riconosco dalla scritta luminosa sul davanti che porta "Rockport", il posto in cui devo andare.

Non so cosa mi ha spinto ad accettare l'offerta per quella cittadina. Forse il basso numero di abitanti mi avrebbe assicurato pochi pettegolezzi, o forse semplicemente non avevo una meta precisa e mi sarei fatta andare bene qualsiasi posto.

Quando gli mostro il mio biglietto acquistato online, l'autista mi aiuta gentilmente a posare la valigia e il borsone nel fianco vuoto dell'autobus, dopodiché procedo nella scelta del posto più adatto al viaggio.
Tutti i sedili sono vuoti. Dopotutto, chi è che si mette a viaggiare dalle due di notte?

Decido di sedermi più o meno al centro del veicolo. Per i primi venti minuti di viaggio decido di usare le cuffie, soltanto per riacquistare un po' di tranquillità: me la merito.
Sulle note dolci di Save your tears di The Weeknd, osservo il paesaggio buio che ha cominciato a scorrere dal finestrino, alternato da numerosi lampioni con luce gialla.

Il brano seguente, attention di Charlie Puth, ricorda un momento particolare della mia vita: la mia cotta per un ragazzo del secondo anno di liceo a cui piaceva terribilmente Sherlock Holmes. Non era un granché esteticamente, eppure mi aveva colpita per i suoi gesti sempre attenti, sempre precisi. Mi ha insegnato a non dare nulla per scontato, e a notare i minimi dettagli di ogni cosa: è grazie a questo che soltanto un mese dopo la nostra frequentazione mi sono resa conto che, in realtà, voleva risalire a un'amica nel giro di mio fratello.

Oh, Gerard... nel suo giro di amici tossici e coglioni ammetteva soltanto persone di bell'aspetto, alte, snelle, piacevoli. Inutile dire cosa piaceva fare alle ragazze di quel circolo.
Fatto sta che, quando me ne sono accorta e ne ho parlato con lui, ha confermato tutto senza esitare o provare a spiegare. È stata una delusione, soprattutto perché mi ero affezionata a lui.

Quella deludente esperienza mi ha insegnato comunque molte cose: mai fidarsi, mai cedere il cuore a qualcuno, e contare sempre su se stessi.
È per questo che me ne sono andata: solo per merito mio.

Quando inizio a rilassarmi e a sentire i muscoli, prima tesi, affievolirsi un po', concedo agli occhi una tregua: li chiudo anche se per poco tempo, e man mano sento le palpebre sempre più pesanti, finché sento di non avere più le forze per rialzarle. Cado in un sonno profondo, cercando di immaginare, seppur vagamente, la mia nuova vita.

𝓣𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓓𝓲 𝓣𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora