6- risveglio

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Eccoti qui, finalmente.
Sei smarrita, proprio come me alla tua età.
I tuoi occhi verdi saettano qua e là, dal telefono al cielo grigio sopra di te. Col tuo valigione accanto sembri ancora più piccola.
Indossi una maglia a maniche corte sgualcita, molto semplice. I pantaloncini a jeans che porti sembrano essere larghi. Le tue gambe nude e magre segnalano qualcosa di violaceo che non si riesce subito ad identificare.

Non sai dove andare, eppure sento il tuo cuore che batte calmo, quasi silenzioso. Credi di essere al sicuro, ma non sai che lo sarai ancora per poco. Davvero molto poco.

Non mi immaginavo una come te, in tutta onestà. Sarà più facile respingerti: non sei decisamente il mio tipo, ragazzina. Inoltre, con me ti metterai continuamente nei guai.
Voglio solo non farti immischiare nei miei affari, non voglio averti sulla coscienza. Se ne avessi una.

Ti guardi intorno in silenzio. Sento il tuo respiro, ragazzina. Sento come sei sollevata, ma da cosa scappi? Non immagini nemmeno quello da cui dovrai fuggire, se io entrassi nella tua vita. Nulla sarà paragonabile a questo genere di cose.

Non immagini nemmeno che io sono qui ad osservare ogni tua azione, a prevedere ogni tua mossa. Non ti accorgerai della mia presenza.

Quando il vento inizia a scompigliare dolcemente i tuoi capelli castano chiaro, un fortissimo, inebriante odore di pesca mi solletica le narici.
Eccola, la profezia della veggente.

Il suo odore sarà una tortura.

Una delle tante frasi che mi ha riferito quella megera.

Quell'odore si spande e mi sembra immediatamente di averlo dentro il mio corpo. Esattamente una parte di me. Gli occhi iniziano inspiegabilmente a pizzicare e bruciare, il che significa che hanno cambiato colore. Devo andarmene, e in fretta.

Maledizione, ragazzina.

——————

Beth
Il vento mi scompiglia leggermente i capelli, mentre infilo una mano nella borsa per riprendere gli occhiali e metterli.

- sai già dove andare?- mi chiede l'autista, un uomo sui cinquant'anni che ricorda in modo molto inquietante mio padre.
Faccio cenno di si con la testa, quindi lui risale velocemente sul mezzo e mette in moto.

Ora sono sola.
Sola con i miei pensieri.

Afferro le mie cose e inizio a dirigermi goffamente verso l'entrata della stazione ferroviaria.
Devo chiedere a qualcuno il numero di un taxi.
Mi fermo aggiustandomi gli occhiali e i capelli, col fiatone. Sì, fisicamente non sono granché.
Avvisto da lontano un piccolo bar con due o tre persone all'interno che chiacchierano animatamente, quindi mi avvicino e cerco di parlare al ragazzo al bancone.

Fisso il suo profilo finché non si decide a guardarmi.
Quando si volta verso di me, posso aver giurato che avesse fatto un'espressione del tipo "ora da dove è uscita questa?".

Beh non ha tutti i torti.

- ciao, posso aiutarti?- mi chiede gentilmente, con i suoi due amici che iniziano anche loro a guardarmi.
- dove posso avere il numero di un taxi?- taglio corto. Quegli occhi addosso non mi piacciono per niente e mi mettono soggezione, infatti non oso nemmeno guardare in faccia i due ragazzi.

Meglio farmi gli affari miei.

- certo- prende un foglietto e scrive qualcosa, poi me lo porge.
Quando lo guardo, vedo che ci sono scritti due numeri.
- chiama il primo- mi sorride mostrando i denti bianchi. Ha due graziose fossette.

Dopo essermi allontanata e chiamato il primo numero, rimango fuori dal bar a memorizzare l'altro. Sarà un numero per le emergenze?
Il tizio mi ha detto che per il taxi devo aspettare almeno dieci minuti, quindi mi dirigo di nuovo verso il bancone.

Stavolta do un'occhiata al primo ragazzo più vicino a me. Sembra sui ventitré anni, biondo con gli occhi verdi. È molto bello, non c'è che dire.
- chiamato?- mi chiede il ragazzo al bancone.
- si, devo aspettare un po'- rispondo vagamente. Non so il motivo, ma non ho un buon presentimento con quei ragazzi.

- posso offrirti qualcosa? Sembri stanca- ha l'aria davvero gentile.
- un succo, quello che ti pare- rispondo togliendomi gli occhiali per pulirli con la maglia sgualcita.

Do un'altra occhiata al biondo al bancone, che mi stava fissando nonostante gli stesse parlando l'amico vicino a lui.
I suoi occhi verdi mi inquietano abbastanza. L'espressione pensierosa, le mani che stringono il bicchiere di birra davanti a lui.

Mi sto innervosendo. Che ha da guardare?

A distrarmi è il rumore del bicchiere di succo che viene dolcemente poggiato sul bancone dal ragazzo.
- grazie- dico rimettendomi gli occhiali e sorseggiando il succo alla pesca.
Lo faccio fuori in qualche secondo, dato che è fresco e lo gradisco molto con questo caldo.

- come ti chiami?- mi chiede il ragazzo del bancone. Alzo lo sguardo su di lui. È... curioso.
Il ciuffo castano gli cade dolcemente sulla fronte, mentre i suoi occhi scuri scrutano ogni mio lineamento.

- Elizabeth.
- sono Carl, piacere- mi sorride porgendomi la mano. In risposta lo osservo in silenzio, con i miei occhi verdi che guardano i suoi per poi passare alla mano, che rimane tesa in aria.
Non voglio che nessuno mi tocchi.

La ritrae subito, con il sorriso che si affievolisce davanti al mio viso inespressivo.
- beh, torno a lavoro- e si volta per mettere i bicchieri vuoti dei due ragazzi in lavandino.

Con la coda dell'occhio noto quel biondo che non accenna a smettere di fissarmi, perciò decido che è giunto il momento di uscire da questo bar.

Riprendo la valigia e lo zaino ed esco, giusto in tempo: il taxi si è fermato proprio davanti alla stazione. Il tizio mi aiuta a mettere la roba in macchina, dopodiché salgo e mostro l'indirizzo della mia destinazione.

Sospiro e, mentre osservo in silenzio il paesaggio fuori dal finestrino, mi riviene in mente quel numero. Perciò riprendo il cellulare e vado su Whatsapp.

Nella foto profilo di quel numero c'è il ragazzo del bancone, che sorride mostrando le due fossette ai lati della bocca.

𝓣𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓓𝓲 𝓣𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora