9- ancora non lo sai, ma sei mia

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Daniel
Il suo incubo rimbombava delle sue urla, e io non vedevo altro che le sue lacrime. Quegli occhi verdi erano lucidi ed esprimevano tutto il dolore.

Volevo soltanto non sentirla più piangere, così mi sono avvicinato e le stavo per porgere la mano, quando ha improvvisamente aperto gli occhi e io mi sono ritrovato con la mente nel mio corpo.

Non era un semplice incubo, era un ricordo.

Elizabeth
Qualcuno bussa alla porta, e io mi risveglio avvolta dal lenzuolo rosso, con le guance umide ma con una strana calma.

Mi capita spesso di fare questi incubi, ma credo di non aver mai sognato un paio di occhi rossi come il sangue. No, decisamente li avrei ricordati se li avessi sognati in passato.

Era uno sguardo potente, e nonostante da quel rosso scintillante trasparisse tutta la ferocia di quella figura... io ho avvertito soltanto tranquillità nel guardarli.

Non so da che parte del mio inconscio sia venuta fuori quella figura. Era un uomo? Non ho visto nulla del volto, eccetto quelle iridi.
Che sia stato un modo del mio inconscio di proteggermi da quel ricordo?
Non lo so proprio.

Mi alzo dal letto, poggiando i piedi nudi a terra e camminando ancora insonnolita verso la porta.
Quando apro, sento odore di bacon e uova.

- ehm... buongiorno Beth, come hai dormito?- Samuel mi osserva con le occhiaie sotto gli occhi scuri, i capelli disordinati e tenendo un vassoio in mano, con quella che presumo sia la mia colazione.
Una colazione che non ho chiesto.

- molto bene, grazie...- il suo sguardo si sposta dietro di me, nella direzione della valigia aperta con ancora i vestiti all'interno... e nella direzione del letto disfatto.
Mi prenderà per una disordinata?
Mi sposto per coprire la visuale.

- questo è per te- mi porge dolcemente il vassoio con un sorriso gentile. Abbasso gli occhi, e lo prendo sfiorando le sue mani. Le ritrae subito, per qualche motivo.

- grazie, Samuel.
- di nulla... se vuoi uscire, stasera... ecco... con me..- si passa nervosamente una mano tra i capelli scuri.

Mi sta chiedendo di uscire. E io non ne ho proprio voglia... però sarebbe comodo conoscere un po' il posto.

- dove andiamo?- chiedo e i suoi occhi si illuminano.
- possiamo mangiare da qualche parte...
- va bene... grazie per la colazione, non dovevi.
- tranquilla... allora ci vediamo stasera alle 22- mi sorride con i suoi denti bianchi.

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Daniel
Ti osservo sempre, piccola El.
Ho visto come hai evitato il bacon di stamattina, ti ho vista anche mentre trafficavi col cellulare seduta sul tuo letto rosso. A chi scrivevi, El?

Sei così innocente.
Non ti sei nemmeno accorta della patta gonfia che aveva il bel ragazzino di stamattina.
Per forza, ti eri messa una misera canotta e dei minuscoli calzoncini come pigiama.

Quel ragazzino non ti interessa, vero? E allora perché hai accettato l'invito?
Voglio proprio vedere come ti vestirai tra poco... anche perché non uscirai stasera.

Ecco, con un asciugamano addosso stai scegliendo i vestiti nella valigia. Hai tirato su quello che sembra essere un vestitino rosso acceso che si ferma appena prima delle ginocchia. Ti evidenzia quei fianchi e quelle gambe magre che ti ritrovi.
I capelli castani ti cadono dolcemente sulle spalle, piegandosi in riccioli naturali e incorniciando il tuo viso come in un prezioso quadro.

Maledizione, vuoi andare in giro così, ragazzina? E se allungasse le mani? Se ti guardasse più del dovuto? Non pensi proprio prima di fare le cose... se solo ti sfiorasse con le sue sporche mani non riuscirei a controllarmi. Ancora non lo sai, no, come puoi saperlo... ma tu sei mia, sin dalla tua nascita.
Devo fare qualcosa.

Mi allontano dal boschetto che inizia in fondo al quartiere. Si, piccola El, io ti osservo a più di cinquecento metri dalla tua stanza.
Cinquecento metri che sono capace di percorrere in circa due secondi: ed in un batter d'occhio eccomi davanti alla locandina della tua tavola calda.

𝓣𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓓𝓲 𝓣𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora