❀ Lei

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7 Dicembre 2031

Jun Pov

Non staccai gli occhi un solo attimo dalla strada, non perchè avessi bevuto qualche bicchiere in più a quello stupido meeting, ma perchè non sopportavo l'idea di voltarmi e trovare un'altra persona di fianco a me. Non sopportavo il senso di colpa che mi avrebbe colpito una volta realizzato che era Alice quella accanto a me. La donna che avevo deciso di sposare, che avevo promesso di amare e di onorare.

Alice e non Samantha.

Le nocche mi diventarono bianche mentre tenevo stretto il volante maledicendomi per aver fatto soffrire non una ma, due persone.

Non potevo far finta di niente, non ne ero capace.
Dopo averla vista indossare quel vestito seduta in disparte, il mio cuore non avrebbe accettato ulteriori bugie. Avrebbe preferito rimanere in disparte,ferito dalla persona giusta, piuttosto che amato da quella sbagliata.

Mantenni gli occhi sulla strada anche quando sentii la mano di Alice posarsi sulla mia coscia, anche quando avvertii i suoi occhi su di me bisognosi di risposte. Non una singola sillaba uscì dalla mia bocca mentre il senso di colpa si annidava dentro al petto, intrecciandosi lì come le cuffiette dell'Iphone in tasca.

Posai il piede sull'acceleratore sperando di uscire presto da quell'abitacolo stretto che minacciava di togliermi il respiro quando, come un vecchio film anni trenta, le immagini di Samantha mi si pararono davanti agli occhi. Il respiro tornò regolare quando pensai al suo odore, al calore della sua pelle e al sapore sulle mie dita. Feci di tutto per nascondere il sorriso che minacciava di uscire spontaneo, ma quando l'occhio mi cadde sulla fede al dito iniziai a serrare la mascella. Ad un tratto l'immagine del suo sorriso spensierato venne sostituita dalla sua mano che stringeva il calice colmo di vino, la fede all'anulare, quell'idiota al suo fianco. Strinsi di nuovo la mascella mantenendo una posizione rigida quando ripensai ai suoi occhi spenti, privati di qualsiasi cosa la rendesse veramente felice, ma non dissi niente perchè dopo tutto la colpa era proprio la mia.

Parcheggiai e spensi l'auto, mi slacciai la cintura di sicurezza, ma non riuscii ad uscire. Alice aveva fatto lo stesso. Ci fu un lungo silenzio, prima che lei aprisse la portiera e si dirigesse verso casa camminando lungo il vialetto.

Una volta solo, colpii il volante con il pugno serrato prima di poggiare la testa su di esso. Chiusi gli occhi permettendo alle lacrime di uscire a bagnarmi il volto. Il labbro inferiore tremava quando lo strinsi tra i denti e il sapore metallico del sangue colpì i miei sensi. Cercai di regolarizzare il mio respiro alzando lo sguardo per fissare il mio riflesso dallo specchietto retrovisore. Gli occhi erano diventati rossi, ma poco mi importò quando decisi di scendere dall'auto per dirigermi verso la porta di casa.

Una volta dentro, posai le chiavi sulla console dell'ingresso e mi diressi verso la cucina per versarmi un bicchiere d'acqua, ignorando mia moglie che si trovava seduta sul divano ancora vestita, ma con i capelli rame in disordine. Non mi stava guardando, ma fissava il vuoto.

"Un'ora." Mi fermai dopo averla sentita parlare. Emisi un profondo e rumoroso sospiro mettendo le mani in tasca.
"Cosa siginifica?"
"E' passata un'ora da quando hai parlato l'ultima volta." Disse con la voce spezzata posando lo sguardo su di me. Incrociai le braccia al petto, ma lo feci soltanto per difendermi da quello che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca. Non dissi niente.

"E' lei, la famosa Samantha." Disse serrando la mascella ed incrociando le braccia al petto. Non dissi niente, ma stavolta la guardai e sapevo che i miei occhi le avevano già dato una risposta.
Di nuovo, silenzio. "Dì qualcosa, Jun! Ho il diritto di sapere cosa ti gira per la testa." Gli occhi le divennero lucidi ed io alzai lo sguardo verso l'alto.

"Sì, è lei."
E' sempre stata lei.

Mi strofinai la fronte per scongiurare un mal di testa. Alice mi si avvicinò puntandomi il dito contro il petto e colpendomi. Avrei preferito sentirlo, quel dolore, ma la verità era diversa. La verità è che non sentii niente, se non un profondo tormento. Ero stato stupido a pensare di poterla dimenticare, a sperare che un giorno questo sentimento si sarebbe affievolito fino a sparire. Pensavo che il mio sentimento per lei fosse come i ciliegi in fiore: un mare di petali spazzato via da una singola folata di vento, all'improvviso. Avrei dovuto lottare di più per le cose a cui tenevo, avrei voluto farlo per lei. Ero convinto che lasciarla indietro, avrebbe tenuto lontana la nostalgia ma mi sbagliavo. Lei era la mia triste nostalgia felice.

Lei era la mia natsukashii, ed io l'avevo lasciata andare.

"Beh, è sposata. Ed io sono tua moglie. Posso dimenticarmi di tutto questo. Possiamo ricominciare. " Alice stava piangendo mentre continuava a colpirmi il petto. Non dissi niente, sapevo che le parole sarebbero state inutili quindi fermai le sue mani afferrandola per i polsi e quando l'abbracciai la sentii arrendersi. La mia camicia si bagnò con le sue lacrime scure.

"Mi dispiace Alice, mi dispiace davvero tanto." La voce mi tremava, ma non potevo continuare a fingere di provare qualcosa che non provavo più. O che forse non avevo mai provato fino in fondo.

"Possiamo ricominciare davvero, dimmi che possiamo ricominciare." Mi stava guardando supplicante con quei grandi occhi verdi, feci una smorfia con le labbra cercando di trattenere le lacrime. "Posso dimenticare tutto." Continuò a ripetere come se non volesse sentire ragione.

A quel punto non potei far altro che asciugarle le lacrime, mantenendo una mano sulla sua guancia umida. Per la prima volta, dopo aver visto Samantha, la guardai negli occhi con la speranza che un giorno mi avrebbe perdonato. Ero stato un codardo, ma sapevo di doverle almeno la verità.

D'altra parte ero cresciuto con mia nonna che mi aveva sempre insegnato quanto una triste verità fosse meglio di una felice menzogna e, con le sue parole incise sul cuore, mi feci forza.

"Tu puoi dimenticare, ma io no." Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, ma continuai. "Sono stato ingiusto già una volta con te, non ho intenzione di continuare ad esserlo."
"Perchè non puoi rendermi felice?" Alice stava scuotendo la testa. Non volevo ferirla, non volevo farlo. Eppure quello che mi ritrovai a dire fu peggio di quanto riuscii ad immaginare.

"Perchè è lei la persona che voglio rendere felice."

Gli feci un profondo inchino di qualche secondo per scusarmi e nascondere la vergogna dietro quelle parole, poi tornai nella camera da letto raccolsi un po' delle mie cose dai cassetti del comò e dall'armadio, riempii una valigia e, dopo averla chiusa, pensai di chiamare Takumi per chiedergli di passare qualche notte da lui.

Takumi era stato l'unico vero amico che avessi mai avuto, sapevo che non gli sarebbe pesato. Si sarebbe lasciato trapelare un "te l'avevo detto" prima di stringermi la mano e tirarmi a se in un abbraccio fraterno, ma avrebbe avuto ragione e nessuno avrebbe mai potuto dargli torto. Feci un mezzo sorriso ricordando il suo volto e non potei fare a meno di chiedermi se il tempo fosse stato gentile con lui. Allungai la mano verso la tasca dei pantaloni e non appena sentii il telefono, lo afferrai. Una volta sbloccato, mi irrigidii sul posto leggendo tra le notifiche due messaggi che provenivano da un numero che non avevo in rubrica.

Solo una persona avrebbe potuto chiedermi una cosa tanto sciocca, ma sorrisi comunque posticipando la chiamata al mio amico.

D'altra parte erano dieci anni che aspettavo questi messaggi.

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