❀ Inchiostro

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15 Settembre 2021

C'erano giorni in cui pensavo di non farcela. Erano giorni in cui tenere duro non era un'opzione e tutto sembrava troppo.

Troppo forte, troppo lontano, troppo diverso, troppo irraggiungibile.

Erano giorni in cui non importava quanto ci provassi, ma non riuscivo mai a farmi sentire. Come quando tentavi di farti capire ad una festa, con la tua voce da sottofondo alla musica.

Mi sentivo come se la mia testa si trovasse sott'acqua e i miei polmoni si riempissero parola dopo parola. Come se annegassi in un mare di frasi non dette.

Ammesso che quelle parole non si fermassero sulla punta della lingua creando un accumulo di veleno pronto ad esplodere da un momento all'altro.

A volte mi sentivo sopraffatta dalle mie emozioni a tal punto da confondersi con l'unica in grado di dominarle tutte.

La rabbia fuoriusciva come magma senza che potessi fermarla, distruggendo a poco a poco tutto ciò che avevo intorno. Tutti quelli che avevo intorno.

Quello che più non sopportavo erano gli sguardi di comprensione che mi venivano rivolti quando finivo di inveire contro chiunque con ancora il respiro affannoso.

O i sorrisi di mia madre che venivano traditi dai suoi occhi. Gli stessi che non facevano che chiedermi dove stesse sbagliando. La mano di mio padre sulla sua spalla altro non era che l'ultimo mattone su quel peso che non accennava a lasciarmi respirare.

A lasciarmi vivere.

Mi voltavo subito dopo provando un'angoscia nemmeno lontanamente simile a quella che vedevo nel loro sguardo ogni volta che avevo un attacco.

L'illusione che il peso nel petto si alleggerisse durava ben poco, ramificandosi sempre di più nello sterno impedendomi di reagire.

"Voi non capite."
Borbottavo tra me sconsolata prima di rinchiudermi nella mia camera sbattendo la porta. Di solito iniziavano a parlare tra loro dopo esser sparita, ma io avrei già messo le cuffie per evitare che la rabbia potesse colpire di nuovo nel sentirli dire cose vere.

La musica era da sempre stato l'anestetico più forte. Sicuramente più della melissa che l'erborista continuava a vendermi convinta che funzionasse davvero.

Non la biasimavo, d'altronde non era colpa sua. Si era fermata alle apparenze come tutti. Che problemi poteva mai avere una persona alla mia età?

Quello che gli adulti trascuravano era che a vent'anni anche il più  piccolo dei problemi navigava nei meandri della mente diventando sempre più colmo e pesante passando per la tempesta dei nostri pensieri.

In realtà loro ci provavano a capirmi, ci provavano davvero. Ma dopo aver trovato i pezzi del puzzle ero io quella a ributtarli all'aria e, dopo un po', si sarebbe stancato chiunque. E da una parte ero sollevata perché non avrei potuto sopportare che qualcuno mi dedicasse più di quanto meritassi, non dopo avergli sputato contro tutta la cattiveria delle mie parole. Non apparteneva a nessuno di loro.

La situazione non fu diversa, quella volta.
Certe cose sono semplicemente destinate a non cambiare nonostante i nostri sforzi.

L'esame più importante dell'anno si stava avvicinando. Quello che avevo sempre rimandato per paura di non esserne all'altezza o per paura che il professore mi deridesse come aveva fatto la maestra Silvia alle elementari.

«Sei una buona a nulla»

Iniziai a sfogliare i fogli del quaderno cercando di memorizzare quelle parole scritte alla rinfusa, parole che facevano riferimento ai capitoli che avrei dovuto sapere da tempo. Sentii il battito accelerare quando accettai di non capire cosa stessi leggendo.

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