❀ Ieri

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7 Dicembre 2031


Nonostante mi fossi sistemata nella stanza degli ospiti, non riuscii a rimanere in quella casa dopo aver visto tanto dolore sul volto di Edoardo.

Aveva sempre saputo che c'era stato qualcuno prima di lui e che quello fosse stato importante, ma giurai di non dirgli mai quanto realmente lo fosse. Non era giusto per lui e nemmeno per me.

Edoardo non fece mai domande ed io non fui mai costretta a dare risposte. Quello era un altro dei nostri stupidi accordi ma, non più stupido del nostro matrimonio. Decidi di uscire con lui una sera di Marzo perché era straordinariamente ordinario e il giorno che passò a prendermi sotto casa mi regalò delle margherite, al posto delle classiche rose rosse.

Apprezzai il gesto ed illusi la mia mente di riprovare una felicità che in realtà, non avrei più provato. Avevo paura della solitudine e che il cuore mi diventasse arido, che si prosciugasse senza più concedersi a nessuno e lui era arrivato nel momento giusto. Gli avevo affidato il mio cuore sperando che non finisse di rovinarlo, ma era come consegnare un cristallo nelle mani inesperte di un bambino.

Ero stata un'illusa a credere che qualcuno come Jun potesse esser sostituito, ma ero ferita e si sa che le persone ferite fanno cose senza pensare realmente alle conseguenze sperando che un po' del veleno ricevuto possa tornare indietro al mittente.

La verità era che lui era riuscito ad abbattere quel muro che mi ero costruita intorno, mentre Edoardo a malapena riusciva a scavalcarlo per raggiungermi.

Mi ero sabotata da sola quindi quando sentii il suono sordo di una bottiglia che si apriva e del contenuto liquido che rimbalzava nel bicchiere, capii di aver provocato più dolore di quanto ne avesse provocato lui a me e me ne andai vagando per la città da sola.

Ripensai a quegli occhi a mandorla neri davanti a me sicura che non fosse un sogno, alla bocca ridotta ad una linea sottile e alla mascella che si contraeva.

Ne fui gelosa per un attimo. Non era cambiato affatto. Tutto nel suo volto era rimasto identico, mentre fissando il mio riflesso, a stento riuscivo a riconoscermi. Gli occhi erano diventati più scuri quasi come se riuscissi a scorgere una parte di muro attraverso di loro, le labbra erano distese in una linea ed avevano perso la loro carnosità. Persino la mia voce non riuscivo più a riconoscere, e per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare il suono della mia risata.

Sentii gli occhi pizzicare e li immaginai mentre si arrossavano nella parte della sclera, sentivo l'acqua formarsi agli angoli che facevano tremare la strada che avevo di fronte. La strada non fu l'unica a tremare: le mie labbra si schiusero involontariamente iniziando a vacillare leggermente prendendo un respiro profondo di tanto in tanto.

Camminando riuscii a sentire alcune lacrime ristagnate tra le ciglia che mi fecero sentire freddo e mi offuscarono la vista e fui grata di esser sola così da non dover parlare e sentire la mia voce rompersi.

Senza rendermene conto alzai lo sguardo sull'insegna luminosa che stava illuminando la strada di fronte a me e, come una falena attratta dalla luce, mi incamminai verso quel luogo.
Fu quando qualcuno mi si parò davanti che mi resi conto di aver involontariamente catapultato il mio corpo dentro un ristorante giapponese.

"È da sola? Aspetta qualcuno?" Mi sorrise la cameriera.

Avrei tanto voluto dire di sì, ma la solitudine era pur sempre un punto di partenza. Mi asciugai le ultime lacrime sotto agli occhi, la guardai e sorrisi un po' troppo velocemente.

"No, ci sono soltanto io."

Lei mi mostrò il mio tavolo e, quando mi sedetti guardando il menu, sperai di non esser sopraffatta dai ricordi sentendo l'odore dolce ed inconfondibile della teriyaki.

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