E se... ❀

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4 Maggio 2021

Sam

Il ticchettio dell'orologio nell'aula venne sovrastato dal rumore della pioggia che colpì le vetrate esterne delle grandi finestre.

L'università aveva un non so che di malinconico in quei giorni: tutto si ricopriva di un grigio pallido e triste, tanto quanto lo ero io ogni volta che il mio cappotto e le mie scarpe si inzuppavano.

Non volevo concentrarmi sul freddo che filtrava dagli spifferi, così iniziai a tamburellare la penna sul foglio, aspettando la fine della lezione.

Ma come le nubi non volevano saperne di spostarsi, così le lancette si mossero appena.
Una cosa strana, il tempo. Misterioso, più che altro.
Due ore passate a guardare il mio film preferito sarebbero passate più velocemente che dieci minuti in un aula fredda e grigia, a sentirsi ripetere i dieci motivi per cui la DAD distrugge il patrimonio culturale.

Mi voltai verso la vetrata, tanto vicina da scorgere due gocce d'acqua che si rincorrevano, quando vidi qualcosa.

Il cappuccio della felpa che usciva da una giacca di pelle che avevo imparato a riconoscere come i bambini riconoscono il viso delle loro madri.
Jun era in università. Dopo settimane che non lo vedevo.

Avrei dovuto smettere di guardarlo, avrei dovuto. Ma più lo guardavo stringersi sotto l'ombrello, più mi chiedevo perché fosse lì. Mi illudevo di essere io, il motivo.

Ma non poteva essere. Non dopo mesi, non così.
Quella era anche la sua sede universitaria, dopotutto.

Ma si sa, un cuore disperato s'illude con maggiore facilità per evitare di rompersi del tutto.

Il suono delle sedie che sfregano sul pavimento mi riportò in classe: la lezione era finita e io mi unii alla frotta che si stava dirigendo verso l'uscita, con il cuore in gola e la schiena ricurva.

Presi il telefono tra le dita e vi trovai un messaggio di Edoardo.

Aspettami all'uscita, ho io l'ombrello.

Non risposi, ma mi avviai verso le scale e passo dopo passo, mi sentii terribilmente confusa. Edoardo era stato gentile con me, era un buon amico e sapeva che il mio cuore si trovava ancora in bilico. O forse, no.

Ero stata brava a nascondergli il senso di colpa che provavo ogni volta che mi abbracciava per salutarmi o per ringraziarmi. Ero stata brava a tenermi nascosta quando provava a scostarmi i capelli dal viso, ma Jun era lì e anche a distanza, sentii i muri crollare per mettermi a nudo.

Lui era un uragano, mentre Edoardo era l'accenno di sole di metà Aprile.

A volte bastava fare un respiro e aspettare che tutto tornasse a posto ed è proprio quello che feci scendendo le scale.

Inspira.
Allungai la mano nella giacca e presi il telefono.
Espira.
Iniziai a digitare qualcosa, sentendo lo schermo freddo sotto le dita.
Inspira.
Espira.

Sentii una brezza accarezzarmi il volto quando inviai il messaggio. Ero vicina all'entrata principale della sede e l'umidità si tagliava con il coltello.

Provai ad avvicinarmi il più possibile al cortile, ma l'acqua era troppo forte e il mio cappotto non sarebbe stato sufficiente a coprirmi.

Le nuvole avevano reso grigio tutto ciò che avevo intorno, anche la bugia digitata a Edoardo perchè io l'ombrello nello zaino non ce l'avevo e a lezione, quel pomeriggio, non ci sarei andata.

Inspira.
Espira.

L'acqua aveva iniziato a infrangersi contro le mie scarpe prima di toccare i gradini scuri, sentii alcune gocce bagnarmi l'orlo dei pantaloni e solo così mi accorsi di essermi spinta oltre quel tetto che mi teneva asciutta.

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