❀ Codardo

140 24 70
                                    


Edoardo POV

Si sarebbe voltata. Ne ero certo.
Se non avessi sentito la porta chiudersi entro venti secondi, sarebbe tornata indietro. Lo aveva fatto altre volte e la colpa era sempre stata mia. Una telefonata di troppo, traffico infinito e appuntamenti sempre più importanti.

Questo era quello che diceva lei, almeno.
Io la vedevo in un altro modo.

Ho sempre voluto avere una famiglia, una casa dove tornare, un figlio da rendere fiero e un cane da portare fuori a fine giornata. L'ho sempre voluto fin quando mio padre, sbuffando una risata e guardandomi con pena dalla testa ai piedi, mi diceva sempre la stessa frase.

La stessa frase ogni giorno.
La stessa a cui ho finito per credere.

"Una famiglia va mantenuta. Pensa alla carriera, prima."

Ed è quello che feci, ma mai avrei pensato che il mio futuro mi si sarebbe ritorto contro. Allontanandomi da quello che contava davvero.

Lei.

Ma sarebbe stato troppo facile dare la colpa a mio padre.

Strinsi i pugni lungo i fianchi e deglutii, assaporando quanto fosse amara la speranza.

Uno, due, tre.

Quanto potevano essere messe male le cose? Sarebbe tornata indietro cercando di non sorridere per non darmi soddisfazione. Mi avrebbe permesso di abbracciarla, sentire il suo odore.
Il suo sapore, perfino.

Come quella volta in cui le promisi di esserci per la cena del nostro anniversario, ma non riuscii a mantenere la parola.

Ricordo ancora la delusione sul suo volto e le braccia incrociate sotto al seno messo in mostra dalla scollatura di un nuovo abito per l'occasione.

Avrei dovuto dirle che quel lavoro lo desideravo ad ogni costo per permetterci quella casa con il giardino a Torino che le era piaciuta. Quella che non era tanto distante da Parco Europa.

Avrei voluto dirle che non l'avevo mai vista più felice in nessun posto che non fosse quello, ma le parole mi morirono in gola perché sapevo quanto non fosse vero.

Le avevo regalato il peluche di un orsetto bianco per farmi perdonare, quella volta. Mi guardò di sottecchi prima di afferrarmi la cravatta per avvicinarmi a lei scoppiando in una risata sincera. Non ero più certo che avrebbe funzionato quel giorno.

Ma se la speranza era l'ultima a morire
avrei resistito ancora un po'.

Otto, nove, dieci

Non riuscii a muovere un muscolo mentre continuavo a rimanere appeso all'illusione che la porta non si chiudesse perché sapevo che una volta fuori, non sarebbe più stata la mia Samantha.

E noi saremmo diventati io e lei.
Separati da uno spazio che nessuno avrebbe potuto colmare. Lo spazio che non ci avrebbe più tenuto insieme perché lui se la sarebbe portata via.

Con gli occhi fissi sulla sua schiena, una serie di immagini sfuocate iniziarono a susseguirsi nella mia testa come un vecchio film, facendosi beffa di me. Strinsi forte gli occhi cercando di mandarli via.

Dovevo rimanere lucido.

Dodici, tredici, quattordici

Nonostante i miei sforzi, l'immagine fu prepotente come un sogno sbiadito. Questa mostrava quando mi permise di tenerle la mano al cinema, o la volta in cui mi baciò dopo esser rimasta a vedere una stupida commedia sentimentale a casa mia. Le labbra che cercavano le mie, il petto che batteva forte.

Teriyaki ❀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora