❀ Candido

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10 Agosto 2021

Sam Pov

Amavo camminare, ma lo sport non aveva mai fatto per me. Quando le mie compagne di classe parlavano di danza, pallavolo, basket o ginnastica artistica io le guardavo e sorridevo, ma quando mi chiedevano quale preferissi, simulavo una risata nascondendomi tra un «amo stare sul divano» e «sono pigra», nonostante la verità fosse un'altra.

Era la competizione a non fare per me: alla base, sempre la solita maledetta paura di sbagliare. Che fossero i passi o mancare la palla, poco importava.

Non avrei mai sopportato gli sguardi delusi delle mie compagne di squadra. Ecco perché a nove anni, affascinata dai movimenti fluidi dei kimono, mi infilai nella palestra del mio quartiere per iscrivermi ad un corso di Karate.

Mio nonno mi guardò indossare la cintura che si sarebbe colorata con l'esperienza e con il tempo, mentre il suo orgoglio mi colorava le guance e mi dipingeva le curve del sorriso.
Credeva in me e per la prima volta iniziai a farlo pure io.

Alla fine decisi che quel divano era diventato scomodo e che gli esami per la cintura, essendo individuali, avrebbero deluso soltanto me.

Quella delusione però era sempre in agguato, affamata di tutto quello che non riuscivo a fare e quindi, non tardò ad arrivare.

Ricordo ancora il mio primo giorno: i capelli raccolti dall'elastico color panna in sintonia con il bianco candido del kimono che profumava di nuovo e la cintura dello stesso colore a cingermi la vita.

Una tela nuova, da scrivere con l'esperienza che ogni giorno mi avrebbe avvicinata alla cintura nera e alla disciplina impartita dal maestro di fronte a me che me lo ricordava con il suo sorriso buono e le spalle un po' troppo larghe così come le logore maniche del suo Kimono quando faceva l'inchino prima di iniziare.

Quel giorno imparai a fendere l'aria con il mio pugno, imparai ad ascoltare il rumore che produceva il tessuto bianco quando il mio braccio scattava in avanti o quando con gli occhi fissi di fronte a me fingevo di essere sola concentrandomi sui respiri rumorosi che uscivano dalla mia bocca.

Una volta tornata a casa finii la cena velocemente solo per mostrare ai miei quanto avessi imparato e i loro sorrisi furono la benzina sul fuoco che avevo appena acceso.

Volevo tornare in quella palestra, volevo di più e lo volevo in fretta. Feci di tutto per rendermi finalmente fiera di me.

Ci tornai e ci ritornai e l'esame di cintura fu sempre più vicino così come l'ultimo giorno in cui giurai di non mettere più piede non solo in quella stramaledetta palestra, ma in nessun'altra e lo feci.

Almeno fino a quel giorno.

"Dove sei arrivata?"
"Più o meno a Prefettura di Okinawa"

Jun era di fronte a me: scosse la testa impercettibilmente muovendo quelle ciocche scure che aveva di fronte agli occhi mentre cercava di nascondere un sorriso.

I suoi occhi portarono l'attenzione sulle sue mani intente a fare il nodo alla cintura nera che aveva legata attorno alla vita. I movimenti fluidi e i suoi palmi che accarezzavano la lunghezza della cintura si intrecciarono davanti al suo ventre in un nodo che non avrei saputo rifare nemmeno dopo averci provato un giorno intero.

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