Sarah
Prima di ogni partita, come usanza, afferravo due dadi, che tengo sempre nella tasca interna del giubbotto e ci giocavo tra le mani, mentre entravo nella stanza.
Era come se avessi o se stessi mescolando la fortuna, come se da quello, da quel piccolo gesto potesse dipendere ogni cosa, ogni puntata, ogni piatto, ogni carta che si incastrava tra loro e poi nelle tue mani.Ora, davanti a container enormi e gru, la mia mano destra stringe ancora quei dadi neri a otto facce, sempre quelli.
Con l'altra mano, porto una ciocca dietro l'orecchio cercando di fare schiarire le idee che ho nel mio cervello.
Agitazione, rabbia, odio e... Paura.La paura di perdere, la paura di commettere errori.
Anche se si è bravi non bisogna mai sottovalutare o sopravalutare.
Bisogna essere sicuri di potercela fare, mai di farcela.
La differenza sta nel verbo Potere.Che strano no?! Potrebbe essere un verbo e anche una parola, una parola tanto bella e affascinante quanto rognosa, sporca.
«Tredici tutto okay?» Mi domanda John mentre aspettiamo l'ora esatta della partita.
Ero agitata, ma come lo ero io, lo era anche John. Lo guardavo, lo capivo dai suoi occhi, dal labbro che tremava leggermente ogni volta che parlava, dalla voce leggermente inclinata appena pronuncia una parola.
«Voglio solo che sta notte passi in fretta John, solo questo.»
Eravamo lì da dieci minuti,le moto erano parcheggiate davanti al molo, c'erano i ragazzi del club ma solo i fidati ed io per quanto ero in ansia avevo già consumato il mio solito pacchetto di sigarette.Ore 24.30, la temperatura scende e a fare d Alice ci sono due lampioni, più le luci della città. Faceva schifo come luogo per giocare e non capivo il motivo.
Se volevano ammazzarci bastava anche un motel fuori città e poi uno con quel nome non credo che lo freghi qualcosa di sporcare una moquette già sporca.
La nostra attenzione viene catturata da due fari che lampeggiano verso di noi.
John guarda i due ragazzi dietro di noi mentre io rimango con lo sguardo fisso e le dita della mia mano sinistra si stanno torturando a vicenda, insieme al filtro della sigaretta.Poco distante, le quattro sportello del fuori strada nero si aprono così da permettere a tre uomini di scendere.
Erano vestiti in maniera impeccabile, elegante, senza un capello fuori posto. Assottigliai gli occhi per scrutare ancora meglio i tre individui ma senza successo. Non li conoscevo, non sapevo chi fossero e questo era solo uno svantaggio.
Lascio i due dadi nella tasca del mio giubbino di pelle mentre getto la sigaretta ormai consumata, estraggo un pacchetto di chewing-gum ed una me la porto alla bocca.
Lascio le braccia cadermi lungo i fianchi, rilassando le spalle e sciogliendo il collo.
Si iniziava e da ora in poi esisteva solo la partita e le carte che avrei avuto. Nulla di più, nulla di meno.BLACKE
La guardavo, la studiavo, studiavo Tredici, la ragazza che non perdeva mai, la ragazza della fortuna.
Era tesa, le sue mani dovevano essere impegnate in qualcosa, la suola dei suoi anfibi sbatteva in maniera velocemente sull'asfalto.
Mi maledissi, mi maledissi di non aver detto nulla, di averle fatto credere che quelle parole non le volevo rimangiare ma cavolo non avevo le palle di farlo, non volevo essere uno smidollato, uno che si rimangia tutto per una ragazza, per una scopata.
Non era una scopata, lo so, lo sapeva anche lei ma era questo quello che volevamo credere ancora.
Lei voleva delle scuse per averla ferita nell'orgoglio, io non volevo dirle per ferire il mio di orgoglio.
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SCOMMESSA MORTALE(IN REVISIONE)
General FictionDimenticate le storie della brava ragazza che salva dai suoi demoni il suo amato. Dimenticate le storie dove c'è sempre un lieto fine e fu "l'amore supera ogni cosa" Dimenticate le storie dove c'è qualcuno a coprire le spalle dell'altro. Nel mondo d...