27. «Il sogno è svanito.»

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*Capitolo scritto sotto il punto di vista di Aziz
Mi sedetti su una delle molteplici sedie di questo maledetto ospedale, ancora incredulo.
La mia maglia bianca era sporca di sangue, del suo sangue, così come le mani.
La gente passava e mi guardava, chiedendosi cosa mi potesse essere accaduto, ma io avevo lo sguardo puntato davanti a me, aspettando fuori dalla Sala Operatoria delle notizie sulla mia amata.

«Aziz.» sentii dire da Anas, il quale si era posizionato davanti a me, con gli occhi gonfi e rossi dal pianto. «Tu lo sai chi è stato e perché.»

Senso di colpa, un terribile senso di colpa mi attraversò lo stomaco, facendomi venire la nausea.
Essere l'origine di questa catastrofe mi faceva male, terribilmente.
Sapere che le mie due donne stanno lottando per la vita in quella stanza e non poter fare nulla mi faceva sentire male e inutile.

«Abbi le palle di dirglielo se uscirà da quella stanza viva, altrimenti lo farò io.» disse Anas, acidamente.

Una semplice frase che risvegliò un fuoco dentro di me, una rabbia che non provavo da molto tempo.

Mi alzai dalla sedia, prendendolo dalle spalle e attaccarlo al muro.

«Tu non sai un cazzo Anas, non sai nulla, niente di niente.» dissi, a denti stretti, sotto lo sguardo di tutte le persone nel reparto.

«Non puoi mentirle ancora a lungo.» disse, tenendo lo sguardo fisso nei miei occhi.

«Non ti riguarda Anas, stanne fuori.» dissi, lasciandolo, per poi risedermi nuovamente.

«Hai rincominciato a drogarti e lei non sa niente, poi ti sei scopato una in discoteca perché eri ubriaco, secondo te lei non merita di saperlo?.» disse.

Non dissi nulla, non potevo, ero terribilmente in torto.
Avevo paura di perderla se le avessi rivelato ciò che era accaduto, non potevo permettermelo.

«Ti avevano avvisato che se non avessi pagato in tempo qualcuno sarebbe morto, ma non hai fatto nulla per impedirlo.» disse, ferendomi un'altra volta.

«Certe cose sono inevitabili.» dissi, quasi in sussurro.

«No, questo tipo di cose no, potevi cambiarlo ma non lo hai fatto.» sputò acido. «Se Marika e Jasmine muoiono, sarai tu il loro assassino.»

Si sedette sulla sedia opposta alla mia, non proferendo più parola.

Sentii l'estremo bisogno di vomitare, così mi alzai dalla sedia e corsi nel bagno degli uomini.
Mi chinai e vomitai anche l'anima probabilmente, sentendo comunque l'estrema nausea non passare.
Mi asciugai con il palmo della mano e andai verso il lavandino, passandomi un po' d'acqua in bocca, cercando di togliermi quell'orrendo sapore dalla bocca.

Guardai la mia figura allo specchio, quasi spaventandomi di me stesso.
Mi facevo paura, mi sembrava di essere tornato a qualche anno fa.
Sentii i miei occhi inumidirsi, segno che stessi per piangere, di nuovo.
Volevo gridare, volevo urlare, ma non potevo.
Così diedi un pugno allo specchio, rompendolo in mille pezzi, ma almeno non vedevo più me stesso.

Delle gocce di sangue caddero per terra e sul lavandino, ma non mi importava.
Non sentivo dolore, non riuscivo più, la mia vita era incorniciata dal dolore che ormai non mi faceva più effetto.

Sentivo solo che le cose erano ritornate come prima.
Il sogno è svanito.

𝗖𝘂𝗼𝗿𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗮𝘁𝗲𝗻𝗮𝘁𝗶 ; 𝗞𝗲𝘁𝗮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora