Capitolo 4

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Vidi i fari della macchina venirmi addosso. Cercai di ripararmi la faccia.

Provai un dolore lancinante al corpo.

Buio.

Buio.

Buio.

Mi risvegliai da sola, sul ciglio della strada. Un vetro nella gamba.

Mi trascinai fino a casa.

"Mamma" urlai "Mamma" ritentai. Lei uscí. Mi guardó. Li feci uno sguardo di pietà "ti prego aiutami" dissi in lacrime tenendomi la gamba "in questa casa tu non entri più" disse lei con sguardo disgustato chiudendomi la porta in faccia.

Mi svegliai grazie al getto dell'acqua. Cercai di rallentare il respiro. "Paige" mi chiamó la voce assonnata di Dylan. Io chiusi di scatto la porta "Sono in doccia" urlai con il respiro ancora affannato. Lui cercó di aprire "Paige ti abbiamo sentito urlare" disse lui "sono nella fottuta doccia. Vattene" sbottai.

La maniglia smise di muoversi "se vuoi puoi venire a dormire con me" tentó "no" dissi io mettendomi le mani tra i capelli ormai fradici.

Sentì dei passi allontanarsi. Sbuffai chiudendo il getto.

Ogni fottuta notte.

Mi tolsi i vestiti fradici e guardando che non ci fosse nessuno, uscì dal bagno.

Mi misi dei pantaloncini stretti neri e un top sportivo. Guardai l'ora, erano le cinque. Presi delle scarpe da ginnastica.

Senza far rumore uscì.

Corsi per le strade ancora buie di Los Angeles.

Corsi finché la gamba non mi fece male, corsi finché non sentì il solito dolore alla milza. Corsi finché il fiato non mi mancó. Corsi finché sentì la mente talmente dolorante per le fitte alla gamba che quel dolore soffocò i sentimenti.

Il corpo mi pregava di smettere, il mio cervello era strafatto di quella sensazione. Talmente da non riuscire a fermarmi.

Quella sensazione che ti incatenava al dolore e non alla paura.

Quel mostro che mi continuava a dire di farmi male per non provare più niente.

Quel mostro ero io.

Accelerai.

Ma non fui abbastanza forte. Caddi in ginocchio.

Mi abbandonai alla paura non riuscendo a sopportare il dolore.

Sopportai le conseguenze punendomi per non aver sopportato il dolore.

Mi punì per non essere riuscita a contenere la paura.

Mi punì cadendo in quel vuoto che avevo dentro da troppo tempo.

Una persona normale si sarebbe buttata da un ponte.

Io invece mi punivo per essere uscita di casa e essere stata investita.

Mi punivo per aver sopportato troppo le frustate di mio padre e non essermene andata prima.

Mi punivo per aver amato mia madre.

La voglia di quella sensazione di sballo, la voglia della droga si insinuò in me.

Mi misi due dita in gola e vomitai.

Vomitai l'acido che avevo in corpo e tolsi il ricordo del sapore dell'estasi con quello del vomito.

Immagini di me con la faccia in un lurido Water mi ritornarono in mente.

C'è la dovevo fare. Non potevo ricaderci. Non potevo alleggerire i miei pensieri.

Mi dovevo punire.

Mi alzai pulendomi la bocca con il palmo. Sputai la saliva che mi era rimasta.

Camminai zoppicando e sopportando il dolore alla gamba.

La luce era sorta già da un po' quando tornai a casa.

"Ma dove cazzo sei stata?" mi chiese Dylan "a correre" dissi andando in cucina cercando di non zoppicare.

Lui rimase ammutolito. Io non capì perché e mi girai.

Giusto, le cicatrici sulla gamba.

Mi girai guardando in basso e andai verso la cucina.

Andai a sbattere contro qualcuno.

Stavo per cadere quando una mano mi strinse il braccio.

Flashback
"Sei solo una puttana" disse mio padre prendendomi per il braccio e trascinandomi "papà mi fai male" urlai io cercando di dimenarmi "è quello che ti meriti" mi urló lui.

La prima frustata arrivó.

Io feci come sempre avevo fatto.

Mi misi sdraiata per terra e aspettai che si fosse calmato schioccando la cintura sul mio corpo.

Fine Flashback

Tolsi subito dalle mani di Alex il mio braccio.

"Stai più attenta" sibilò lui incazzato.

Io chiusi gli occhi. Quanto avrei voluto una pillola.

Gli riaprì e sotto il suo sguardo andai in cucina.

"Hai bisogno di qualcosa per la gamba?" mi chiese Dylan raggiungendomi "non posso prendere nulla" dissi prendendo dell'acqua.

"Ti abbiamo iscritta a scuola, inizierai il prossimo mese con me. Saremo in classe diverse, ma con te ci sarà Susan" disse lui. Io annuì non avendo neanche capito cosa avesse detto.

Alex mi prese dalle mani la bottiglia d'acqua. Io rimasi indifferente.

"Hai fame?" chiese Dylan "no" dissi io. "Ieri non hai mangiato, ti preparo qualcosa almeno" disse lui cercando di rendersi utile "faccio io" dissi aprendo il frigo e prendendo della frutta.

"Adesso hai anche problemi con il tuo fisico?" chiese sbuffando in una risata Alex "Alex" lo rimproveró Dylan "no" dissi io rimanendo indifferente.

"È per caso un vegetale?" chiese sbuffando. Mi stava facendo girare i ciglioni. "Non è che se non sto alle tue cazzo di battutine sono un fottuto vegetale" sbottai "e ora spostati che devo aprire il frigorifero" continuai visto che lui era poggiato sopra.

Mi guardò con un sorrisetto furbo "no" disse semplicemente "levati" ringhiai "no" mi imitó ancora lui.

Io cercai di prendere la maniglia, ma lui mi bloccó il polso. Il nervoso coprì ogni cosa che avevo in corpo.

Provai con l'altra mano, ma lui me la bloccó "hai rotto i ciglioni" dissi dandoli una ginocchiata sulle palle.

Lui si accasció imprecando e io misi la frutta rimasta in frigorifero. "Vado di la a prendere il telefono. Basta fare i coglioni" sbuffò Dylan uscendo.

Dopo qualche secondo Alex si alzò anche se dolorante. Mi ringhiò addosso fulminandomi "hai imparato queste mosse in comunità?" chiese cercando di ferirmi "no, le ho imparate mentre altri coglioni come te mi facevano innervosire" dissi io mentre iniziavo a tagliare le fragole.

Lui mi fermò e mi fece girare mettendo le mani sul piano cottura e intrappolandomi.

"Non ti conviene fare sti cazzo dì giochetti con me" disse incazzato "smettila di sparare cazzate sul mio conto" dissi io guardandolo negli occhi.

I nostri occhi iniziarono una guerra.

"Non me ne frega un cazzo se tua madre è morta o se tuo padre lo è o se tutte e due lo sono. Non me ne frega un cazzo del tuo passato. Stammi lontano" disse lui a un palmo dal mio viso.

"Sei tu che non ti stai staccando da me" dissi alludendo ai nostri corpi uniti dalla vicinanza.

Lui si staccò e dandomi le spalle uscì dalla cucina.

E il nervoso continuó a prendere il sopravvento sulla paura.

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