Capitolo diciassette

164 58 32
                                    

FEDERICO

«Ho detto a Claudia che la amo. Secondo te ho sbagliato?» chiesi a mia sorella, mentre stavamo
andando a fare la spesa.
Lei si girò a guardarmi sorridente, con gli occhi che le brillavano per la sorpresa.
«Non hai assolutamente sbagliato. Se ti sentivi pronto per dirlo, allora hai fatto più che bene. Lei
che ha detto? Che ti ama anche lei?» chiese, mentre girava decisa il volante per svoltare a sinistra.
Io annuii, guardando fuori dal finestrino, fino a quando una notifica del cellulare mi fece distogliere lo sguardo.
«E' Claudia.» spiegai a mia sorella, continuando poi: «mi ha detto che a causa di un problema
tecnico le hanno cancellato il volo di sabato e che quindi torneranno con due giorni in anticipo,
povera.» dissi, con sguardo assente, mentre la mia mente già iniziava a viaggiare.
«Torna domani Fede. Sei terrorizzato, vero?»
«Come fai a saperlo?» domandai incredulo, cercando di scoprire come avesse fatto Giulia a scoprire il mio stato d'animo.
Mi sentivo completamente ribaltato, non ero affatto pronto a rivederla, non sapevo cosa dirle, non sapevo come reagire. Mi era mancata molto in quei giorni, quindi volevo abbracciarla il più presto possibile, ma allo stesso tempo non volevo doverla affrontare. Provavo emozioni contrastanti in quel momento, sentivo le tradizionali farfalle nello stomaco, ma esse volavano alla cieca, senza sapere bene dove andare, come se fossero rinchiuse in una teca. Mi sentivo un po' così, perso e disorientato, ma nonostante ciò cercai di non lasciarmi sopraffare dalla paura. Volevo rimanere lucido e razionale.
«Dai facciamo la spesa, a casa ne parliamo meglio.» esclamò con tono neutro mia sorella, mentre parcheggiava la macchina vicino al supermercato.
Presi in mano la lista della spesa e seguii mia sorella, che stava entrando spingendo lentamente il carrello.
Passammo circa quaranta minuti lì dentro, il frigo a casa era vuoto e c'era bisogno di un grande
rifornimento. Continuavo a punzecchiare Giulia, affinché mi dicesse come aveva capito il mio stato d'animo, ma lei resistette fino all'ultimo momento.
Intanto io già pensavo a cosa avrei potuto a dire Claudia il giorno dopo, ma non riuscivo a pensare assolutamente nulla. La mia mente era vuota, completamente. Mi sentivo intrappolato in un barattolo di vetro, costretto a guardare le peggiori paure che avevo in testa in quel momento.
Possibile che Claudia mi avesse detto "ti amo" semplicemente perché non sapeva cosa rispondermi?
Possibile che la amassi solamente io e il sentimento non fosse realmente reciproco? Possibile che la nostra storia sarebbe finita di lì a poco? Possibile che avessi rovinato tutto?
Mi passai le mani sul viso, come se quel piccolo gesto riuscisse a cancellare tutti gli scenari che
stavano prendendo forma nella mia mente, come se essa fosse un teatro gremito di attori e io l'unico spettatore. Ovviamente non risolvetti nulla.
Una volta tornati a casa, mettemmo in silenzio ciò che avevamo comprato dentro il frigo e cercai di finire abbastanza velocemente, in modo tale da riuscire a confrontarmi con mia sorella.
Lei si appoggiò al bancone in cucina, a braccia conserte e mi guardò sorridendo. La trovai
incoraggiante.
«Pensi che non abbia mai detto le fatidiche parole a nessuno? Pensi che alla mia veneranda età di ventiquattro anni non abbia mai confessato il mio amore a nessuno? Semplicemente sono stata brava a tenertelo nascosto, poiché conoscendoti, so che avresti reagito con parecchia gelosia.» esclamò ridendo, mentre io annuivo deciso.
«So che sei spaventato, so come ti senti.» mi disse, prendendomi le mani e facendomi sedere sul
divano, ormai diventato il nostro luogo di dialogo e confronto.
«Magari ha detto che mi ama solo perché non sapeva che dire, magari le faccio pena. Ho mandato tutto a fanculo forse.» dissi, guardando sconsolato il pavimento, mentre le paranoie prendevano il sopravvento nella mia mente.
«Fede devi fidarti di me quando ti dico che non è assolutamente così. So che hai tanto timore di
esserti affezionato così tanto, so quanto sei spaventato di poterla perdere da un momento all'altro.
Ma sono più che sicura del fatto che lei si senta esattamente come te. Fidati che ci sono passata
anche io, per il primo amore.»
«Com'è andato a finire?»
«Non è questo l'importante Federico. Ciò che conta è che domani andrai a prenderla in aeroporto e arriverà la parte più difficile. Dovete parlarvi e te lo chiedo in ginocchio, parlatevi, apritevi meglio riguardo i vostri sentimenti. Non reprimeteli, non ostentate conversazioni come se non fosse successo nulla. Abbiate paura, abbiate coraggio di avere paura. Te lo chiedo con tutto il mio cuore.»
Io annuii, cercando di sembrare convincente, mentre internamente mi stavo disperando.
«Com'è andato a finire Giulia?» chiesi, spaventato.
«Alla fine ci lasciammo, dopo circa due anni di relazione. Non sentivamo più un legame
sentimentale tra di noi, bensì uno affettivo. Quindi provammo a restare amici e così fu e, per mia
fortuna, ora lui è ancora presente nella mia vita ed è un mio caro amico.»
Sospirai, temendo che quella sorte – o magari una perfino peggiore – sarebbe capitata a me e
Claudia. Mia sorella mi prese la mano e me la strinse, infondendomi coraggio, come solamente lei sapeva fare.

Il giorno seguente mi svegliai in un bagno di sudore, alle 5:30 circa. Mi alzai immediatamente dal letto, corsi ad aprire il balcone della terrazza e mi sporsi in fuori, con le prime luci dell'alba che
illuminavano Roma. Respirai a pieni polmoni, accorgendomi solo dopo pochi secondi di una
lacrima solitaria, che timida scorreva lungo la mia guancia destra. La toccai con l'indice,
impedendole quindi di cadere a terra. Chiusi gli occhi e sentii di nuovo le risate che avevo sognato.
Sbuffai, cercando di trattenere il più possibile le lacrime, ma non riuscii nel mio intento e, come una tempesta in primavera, esse cominciarono a piovere dai miei occhi. Mi appoggiai alla ringhiera, cercando inconsolabilmente un appiglio a cui aggrapparmi, per non crollare a terra. Strinsi il ferro talmente forte che le mie nocche divennero bianche, mentre sul pavimento cominciavano a cadere le lacrime e i miei singhiozzi pitturavano l'aria. Speravo di non svegliare i vicini, ma anche se fosse successo, non me ne sarei fatto una colpa.
Dopo circa quindici minuti, una notifica mi fece tornare alla realtà. Era Claudia, appena arrivata
all'aeroporto, che mi chiedeva di andarla a prendere. Era dunque arrivato il momento di affrontarla.
Avevo tanta paura, ma cercai di non scoraggiarmi, non volevo essere pessimista. Andai in bagno il più silenziosamente possibile, cercando di non svegliare Giulia, che dormiva profondamente nella sua camera. Mi sciacquai il viso, le mani, i polsi e dopodiché mi vestii in fretta e furia, senza
perdere tempo.
Stavo per uscire dalla porta di casa, quando il rumore di una porta che si apriva mi fece
immobilizzare.
«Non essere codardo Fede, vai a prendertela.»
La ringraziai e corsi fuori, in trepidazione di vedere di nuovo Claudia, cercando di formulare un
discorso ragionevole in mente. Ovviamente non riuscii nel mio intento e guidai col cuore che rideva pieno di gioia.

Parcheggiai velocemente, senza curarmi troppo di come fosse posizionata la macchina ed entrai
all'interno dell'aeroporto, cercando Cla con lo sguardo. Mi stava cercando anche lei, i nostri sguardi si incontrarono e si incatenarono, senza lasciarsi. Cominciai a camminare nella sua direzione, potevo vederla meglio: aveva un bellissimo vestito blu che metteva in risalto la sua abbronzatura, ed era accerchiata dalle sue amiche che continuavano a osservare, intorno a loro, probabilmente era alla mia ricerca.
Appena le arrivai vicino, il suo profumo mi fece esplodere il cuore dalla felicità. In quei giorni non avevo realizzato quanto mi fosse mancata, ma in quel momento, che era di fronte a me, con il suo classico sorriso da brava ragazza, lo zaino in spalla e le braccia conserte, mi resi conto di quanto fosse diventata rilevante la sua presenza. Non sapevo cosa avrei fatto senza di lei.
«Ciao.» esclamò, mentre gli occhi cominciavano a brillarle.
«Ciao.» esclamai io, cercando di trattenere la mia contentezza nell'averla di nuovo lì, con me.
Mi sembrava di essere tornato alle nostre prime uscite, dove la timidezza si divertiva a prendersi
gioco di noi, lasciandoci fermi, senza sapere bene cosa fare.
«Com'è andato il viaggio?»
«Bene, grazie.»
Sorrisi, guardandomi intorno, mentre imploravo i miei neuroni di creare un discorso completo.
«Ti va di andare a fare colazione insieme? Offro io.» chiesi tutto d'un tratto, inclinando il mio viso
verso il suo, che si faceva sempre più arrossato.
«Certo, con piacere. Saluto le ragazze e arrivo subito.» disse emozionata, mentre leggermente
cominciava a rilassarsi e sorridere sempre di più.
Disse qualcosa alle amiche e poi mi raggiunse, non ci fu nessun contatto fisico in quel momento,
però potevo percepire il nostro solito legame, la nostra solita connessione. Respirai profondamente, cercando di stare tranquillo. I momenti che avrebbero seguito sarebbero stati i più importanti della giornata.

«Dove stiamo andando?» chiese la ragazza, con tono distratto, che era impegnata ad ammirare il
paesaggio romano dal finestrino della macchina.
Io invece ero impegnato ad ammirare lei, i suoi capelli castani che svolazzavano leggermente a
causa dell'aria proveniente dal finestrino, che era leggermente abbassato per far passare un po' di vento, dato il grande caldo.
«Al Trecaffè. So che è il tuo bar preferito, volevo rendere questa colazione speciale. Penso che
avremo delle cose da dirci, no?» dissi, mentre il mio sguardo si incupiva, mentre la paura tornava a bussare la porta della mia mente.
Lei annuì, appoggiando la mano sulla mia gamba destra, gesto che mi fece rilassare, ma allo stesso tempo mi mandò in tachicardia. Con lei ogni attimo era così, ero sempre estremamente attento al dettaglio, ma bastava un suo piccolo gesto per farmi emozionare e non farmi ragionare più.
Lei non mostrò alcuna intenzione di togliere la sua mano da lì e allora riflettei sul fatto che forse
non avevo rovinato le cose, forse qualche speranza c'era ancora, per noi due.
Poco dopo arrivammo al bar, dove ci sedemmo uno di fronte all'altra, pronti per parlare.

Anche le stelle parlano di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora