Capitolo ventitré

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CLAUDIA

Uscii di corsa da casa, seguita dallo sguardo indagatore, ma premuroso di mia madre. Salii in
macchina e mi recai velocemente in centro, per comprare a Federico dei fiori.
Non deve essere sempre il ragazzo a comprare i fiori per la sua amata, no?
Comprai un grande mazzo di tulipani, mi fermai qualche minuto in un bar per bere un caffè e continuai il mio piano. Giulia sapeva già della mia intenzione di andare lì quella mattina, perciò si
era preoccupata di lasciare casa libera, in modo tale che io e suo fratello potessimo parlare in una
sfera più privata e intima.

Parcheggiai con il cuore che mi batteva all’impazzata, presi con molta attenzione i fiori e scesi dalla macchina, cercando di rinchiudere al suo interno tutte le mie paure. Feci un grande sospiro, sperando di calmarmi, ma la realtà era proprio davanti a me: ero terrorizzata di quello che sarebbe successo nei minuti successivi.

Rimasi a fissare i campanelli con finta curiosità, difatti sapevo benissimo dove si trovasse quello di
Federico e Giulia, eppure mi soffermai con estrema precisione ad esaminare i restanti bottoni e
cognomi. Cercai di immaginarmi se erano famiglie, coppie, amici. Il rumore del cancelletto che si
apriva vicino a me mi fece sobbalzare e, quando uscì un simpatico vecchietto, mi spostai di qualche
metro, per farlo passare.
«Sono dei bellissimi fiori. Il tuo ragazzo deve essere proprio fortunato ad avere una persona come
te!» esclamò, guardando il pezzo di carta che tenevo in mano, contenente i fiori.
Risi imbarazzata, soprattutto poiché egli aveva dato per contato che quelli che tenevo in mano
fossero destinati al mio ragazzo e non a una mia amica. A volte coloro che parlano di meno hanno
gli occhi più attenti e riescono a cogliere qualunque dettaglio, anche quello più nascosto. Mi chiesi
come avesse indovinato il destinatario, forse per il mio nervosismo.

«La ringrazio. Le dispiace lasciare aperto?» dissi io sorridente, indicando con un leggero cenno del
capo il cancelletto, che stava per chiudersi.
Il signore mi sorrise in risposta e mi fece segno di andare, annuendo in segno di approvazione.
Lo ringraziai sorridendo e mi precipitai all’interno del palazzo, tentando di farmi forza. Giunsi
davanti alle scale, Federico si trovava appena due piani sopra la mia testa; probabilmente stava
facendo colazione, a quell’ora. Il mio stomaco brontolò non appena il mio cervello registrò la parola colazione, facendomi ridacchiare; in effetti quella mattina ero talmente agitata da non aver mangiato nulla.

Salii ogni gradino lentamente, con un nodo alla gola che si faceva sempre più stretto e non mi
lasciava respirare.
Una volta arrivata davanti alla porta dell’appartamento che cercavo, notai con mia grande sorpresa che essa era già aperta, leggermente socchiusa; da quello spiraglio potevo intravedere una piccola fetta della cucina e, soprattutto Federico. Stava mangiando qualcosa con molta impazienza, controllando ogni secondo l’orologio; probabilmente doveva uscire di lì a poco.

Mi chiesi come mai la porta era stata lasciata in quello stato e pensai che probabilmente Giulia era
uscita di fretta e l’aveva lasciata socchiusa, sapendo che Fede era ancora in casa e che quindi non
c’era alcun pericolo.
Mi smarrii nei miei pensieri e non mi accorsi che il ragazzo si era spostato dalla cucina, uscendo
quindi dalla mia visuale. Mi resi conto di essere veramente lì, pronta a parlargli, solo quando il
portone davanti a me si aprì del tutto, rivelando la figura del ragazzo per il quale avevo perso la
testa.

Persi un battito, e lo analizzai incerta.
Dal suo sguardo si poteva capire che di certo non si aspettava di trovarmi lì, di fronte a lui, con un
mazzo di fiori in mano.

Cercò di ricomporsi, sistemandosi i capelli, dopodiché esclamò: «Non si usa più bussare, Claudia?»

Boccheggiai, cercando di formulare nella mia mente una frase di senso compiuto. L’ansia mi stava abbracciando, non lasciando via di fuga dalla sua morsa terribile.

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