Capitolo trentaquattro

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CLAUDIA

«Non posso continuare così.»
Le parole di Federico mi risuonavano ancora nella testa, le sentivo chiare e cristalline come se me le stesse sussurrando all'orecchio in quel preciso momento.
Era passato invece un lungo e infernale mese, dall'istante in cui le aveva pronunciate.
Potevo ricordare ancora vividamente il modo in cui mi aveva guardata, pieno di delusione, incredulità e tristezza.
Sapevo che considerava quella festa come un possibile punto di svolta, e in una misura minore, in cuor mio, la ritenevo anche io una giusta occasione per riparare a quella discussione che avevamo avuto. Ciononostante avevo rovinato tutto, e non sapevo se la nostra situazione si potesse aggiustare.
Non passava giorno in cui non mi incolpavo di quello che era successo, del modo in cui avevo abbassato così tanto il mio stato di allerta con l'alcol e il modo in cui mi ero buttata nelle braccia di Leonardo. La cosa peggiore era la sensazione di sentire le sue labbra sempre più vicine alle mie, mentre nella mia mente si stava formando sempre più lucida l'immagine delle labbra di Federico.
Dopo quella serata avevo completamente chiuso i rapporti con Leonardo e mi ero profondamente staccata da Martina, poiché sapevo che andare a casa sua avrebbe implicato vedere anche suo fratello, cosa che volevo in ogni modo evitare.
Inutile dire che Martina mi mancasse molto, avevamo legato fin da subito ed eravamo profondamente in sintonia, ma non potevo espormi così tanto al rischio di vedere suo fratello.
Mi accusavo ogni minuto per essere stata così ingenua e cieca nel fidarmi di lui, quando i segnali erano proprio lì davanti ai miei occhi: Federico aveva ragione fin dall'inizio ed io ero stata così dannatamente stupida da non accorgermene.
Nonostante non volessi più parlare con Martina, lei cercava molto spesso di recuperare il rapporto, di venire a parlarmi, ma non sapevo sopportarne la vista. Vedere lei significava vedere anche Leonardo, e mi sentivo disgustata solo al pensiero. Per questo motivo avevo iniziato lentamente a costruire un muro intorno a me, spingendo tutte le persone e i sentimenti al di fuori.

Lentamente stavo diventando sempre più isolata, non desideravo più vedere nessuno.
L'unica persona che volevo veramente vedere mi aveva sbattuto la porta in faccia, chiudendola a chiave, privandomi di alcuna possibilità di spiegazione.
Avevo tentato invano di parlare con Federico, il quale si rifiutava di rispondere ai miei messaggi e alle mie chiamate; avevo anche cercato di andarlo a trovare ma Giulia mi aveva intimato di lasciare perdere.
«Cla per il bene di mio fratello, devi andare via. Non so se puoi sistemare questa cosa, ma ora Federico non vuole vederti. Mi dispiace.» mi aveva detto, con gli occhi coperti da un velo di delusione e tristezza, scuotendo la testa.
Me lo meritavo, eppure faceva affannosamente male, mi doleva il cuore, trafitto da mille frecce.

A casa la situazione non era affatto migliore: i miei genitori avevano intuito che fosse successo qualcosa di grave, ma io continuavo a rinchiudermi nella mia camera, senza voler vedere né parlare con nessuno.
Avevo mandato tutto a puttane per l'ennesima volta e ne stavo pagando le conseguenze.
Mi asciugai le lacrime con le mani e appoggiai il volto sul cuscino, urlando con tutta la forza che avevo in corpo. Avevo perso la persona più preziosa che avevo, e perdendo lui, avevo perso una parte di me stessa.
Sentii qualcuno bussare alla porta ma ignorai quel rumore, rimanendo ferma com'ero, con la faccia appoggiata al cuscino.
Quando però sentii la maniglia della porta abbassarsi alzai la testa e guardai chi stava entrando.
Il volto preoccupato di mio fratello Giacomo comparve nella mia visuale e mi venne da sorridere per quanto pensieroso appariva.
«Claudia perché piangi? La mamma e il papà dicono che sei sempre chiusa qui, non vuoi nemmeno più leggere insieme i libri come facevamo fino a tempo fa.» chiese lui, entrando completamente nella stanza, richiudendosi dietro di sé la porta.
Sapevo che si era accorto che non volevo parlare con mamma né papà, ma era più furbo di quanto pensassi: sapeva perfettamente quanto bene io gli volessi e che non mi sarei mai isolata da lui.
«E così la mamma e il papà ti hanno ingaggiato come piccola spia, eh?» gli chiesi io di rimando, mettendomi a sedere sul letto, portandomi le ginocchia al petto e facendogli un gesto con la testa affinché lui venisse a sedersi di fianco a me.
Lui mi sorrise, contento e si sedette vicino a me.
«Hai litigato con Federico?» chiese ancora, cercando di ottenere maggiori informazioni sui motivi del mio stato d'animo.
Io annuii, mentre sentivo le lacrime fare capolino nei miei occhi.
Lui aprì le braccia e mi abbracciò forte, tenendomi stretta a sé.
Una ragazza di venti anni che veniva consolata da un bambino di nemmeno dieci anni, una scena molto esilarante se vista dall'esterno, ne ero più che certa.
«Un brutto litigio?» continuò Giacomo, una volta staccati dall'abbraccio.
Insisteva affinché gli tenessi la mano, e con le sue piccole dita mi accarezzava il dorso.
«Abbastanza brutto. Ho fatto una cosa sbagliata e l'ho ferito molto. Non so se potrò sistemare le cose.» esclamai io, con la voce spezzata.

Era la prima volta che lo ammettevo a me stessa a voce alta.
Quella consapevolezza mi faceva davvero molta paura, il pensiero che esistesse una buona probabilità che le cose tra noi due non si sarebbero mai sistemate mi stava torturando dentro.
Se avessi avuto la possibilità di tornare indietro nel tempo, di fermare la cinepresa della mia vita e di riavvolgere il nastro, di cambiarlo, modificarlo, cancellare quella serata, non so cosa avrei dato per poterlo fare.
Purtroppo però le cose stavano in quel modo, non c'era nessun stupido superpotere per tornare indietro nel tempo, per modificare gli avvenimenti di quella serata, per cancellare l'orribile e infimo gesto che avevo compiuto in quella discoteca, sotto gli occhi delle mie amiche e del mio ragazzo.
Ricordavo alla perfezione la sensazione di disagio che avevo provato appena mi ero resa conto di essere tra le braccia di Leonardo, il quale si avvicinava sempre di più.
Quando poi le braccia di Fede lo avevano spinto via, allontanandolo da me, era come se mi fossi risvegliata da una specie di trance.
Avevo osservato la scena ammutolita, sentendomi troppo in imbarazzo per dire o fare qualsiasi cosa.
Ero rimasta semplicemente zitta mentre guardavo il cuore del mio ragazzo rompersi, a causa delle mille coltellate quella scena gli aveva procurato. La cosa peggiore era che il manico del coltello era impugnato ben saldo nelle mie mani.

«Cla?»
La voce innocua e ingenua di mio fratello mi richiamò e io distolsi gli occhi da un punto impreciso nel vuoto che avevo iniziato a fissare mentre il tornado dei pensieri nella mia testa prendeva il sopravvento.
«Mh?»
«Ho detto che secondo me, le cose andranno per il meglio. Non importa se hai fatto una cosa tanto brutta. Lui ti ama, tu lo ami, questo è ciò che importa. Tornerete ad essere felici insieme.» esclamò lui, con tono felice e speranzoso.
Volevo avere un briciolo del suo ottimismo, ma purtroppo essere positiva non era mai stata una delle mie qualità.
Io scrollai le spalle, non sapendo bene cosa dire.
«Tu pensi che io sia troppo piccolo per queste cose, vero?» mi chiese lui, lasciandomi la mano, indispettito.
Io lo guardai confusa, scuotendo la testa, facendo un timido sorriso.
«Ma no Giacomo, che dici? Penso solo che forse è troppo tardi per sistemare le cose, e il danno che ho fatto è troppo grande. Non sempre le cose sono così semplici come dici tu, fratellino.»
«Ed è qui che sbagli sorellona!» esclamò mio fratello, saltando giù dal letto e correndo verso camera sua.
Io rimasi ferma nella mia posizione, non capendo bene cosa fosse successo.
Quando poi mio fratello tornò con un pezzo di carta in mano, sedendosi nuovamente vicino a me, lo guardai ancora più confusa di prima.
«Tieni. L'ho fatta il giorno del tuo compleanno.»
Quando mi porse il foglio di carta piegato e io lo aprii, sentii un colpo al cuore.
Aveva incollato su un foglio di carta una foto di me e Fede al mio compleanno, e sopra aveva scritto "Claudia e Federico: gli occhi che parlano".
La foto ritraeva me e Fede, seduti al tavolo, che ci guardavamo intensamente, senza dire niente, tenendoci per mano e sorridendoci.
Sullo sfondo i nostri amici che parlavano tra loro, alcuni che bevevano del vino o che ammiravano le lucine negli alberi.
Era come se Giacomo avesse cristallizzato quell'attimo mozzafiato: io, Fede e i nostri sguardi.
Quante parole che i nostri occhi sapevano dire, urlare, cantare.
Ogni volta che i nostri sguardi si incontravano, nasceva un fiore nel mio cuore, gli occhi di Fede erano l'acqua che scorreva forte e fresca in esso e che portava vita ovunque.
Federico era per me il sole, il suo tocco era un respiro di aria fresca nei polmoni, il suo sorriso le stelle alte nel cielo che illuminavano il mio cammino.
Nonostante fossero passati pochi mesi dalla prima volta che i nostri cuori si erano incontrati, essi non avevano mai smesso di prendersi per mano e danzare insieme, al ritmo del nostro amore.
«Non è mai troppo tardi per l'amore, specialmente per il vostro.» mi disse Giacomo, a bassa voce, mentre io ancora guardavo la fotografia.
Io scossi la testa, non completamente sicura delle sue parole, però sul mio volto iniziava a formarsi un sorriso vero, uno di quelli che non mi faceva visita da alcuni giorni.
Dopo aver detto ciò, Giacomo uscì silenziosamente dalla mia stanza, mentre io ancora avevo gli occhi fissi sulla foto di me e Fede.
Lì eravamo davvero innamorati, ma lo eravamo ancora?
Ormai non sapevo più niente.
Appoggiai sbuffando il pezzo di carta sul mio comodino e mi alzai dal letto, per andare in bagno a farmi una doccia prima di andare a letto. Avevo nuovamente saltato cena, ma ultimamente non avevo proprio fame.
Il getto tiepido della doccia mi diede finalmente la sensazione di benessere e tranquillità che cercavo, e per quei minuti riuscii completamente a staccare la mente.
Una volta tornata in camera, mi misi il pigiama e mi stesi a letto, con gli occhi rivolti verso il soffitto.
Presi nuovamente in mano la fotografia di me e Fede e la guardai per alcuni secondi, assaporando il nostro amore.
Dopodichè, feci un respiro profondo e cercai sul comodino il mio telefono.
Una volta trovato, aprii la rubrica e composi un numero, avviando la chiamata.

Mi alzai in piedi, camminando in tondo per la stanza, in preda al panico, fino a quando una voce dall'altro capo rispose.
«Pronto?» 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 19 ⏰

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