Capitolo venti

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CLAUDIA

Mi svegliai di malumore, con la percezione che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di brutto.
Cercai di scacciarmi di dosso questa sensazione, lavandomi il viso con dell’acqua fresca e
guardandomi allo specchio: le occhiaie che mi erano spuntate nell’ultimo periodo lentamente se ne stavano andando, la mia carnagione era visibilmente pallida e alcune timide efelidi si potevano scorgere nelle guance.

«Dovrei proprio andare al mare.» sussurrai tra me e me, mentre mi pettinavo i capelli castani,
ereditati da mia madre, la quale da giovane li portava molto più lunghi dei miei, sempre in
acconciature bizzarre.

Passò mio fratello Giacomo davanti al bagno e, come faceva ogni mattina,
infilò dentro la testa, per controllare chi fosse nella stanza.

«Ciao Giacomino, tutto bene? Oggi vuoi che andiamo insieme in libreria?» chiesi, improvvisamente felice dell’idea.
Passare del tempo con mio fratello mi faceva sentire al settimo cielo, era una delle
persone a cui volevo più bene in assoluto e i suoi occhi sempre vispi e curiosi erano il mio faro in
una notte burrascosa e oscura. Non avrei permesso a niente e nessuno di farlo soffrire. Ai miei occhi
lui era ancora il bambino di tre anni che faceva la pipì a letto e mi veniva a svegliare nel mezzo
della notte, perché aveva paura di disturbare troppo i nostri genitori.

Crescendo, diventai quasi una sua seconda mamma – non che nostra madre non fosse presente o non gli volesse bene, ma lui si era
molto attaccato a me, emotivamente parlando – e ciò mi aveva reso terribilmente responsabile e
protettiva nei suoi confronti.

«Mi piacerebbe tanto Cla, andiamo oggi pomeriggio se vuoi. Posso invitare una mia amica?» chiese, mentre arrossiva.
«Non farmi sentire il terzo incomodo!» esclamai ridendo, mentre Giacomo mi guardava confuso.
«Sono felice che Federico sia un tuo grande amico. Non ti fa più piangere come lo faceva Fabio, lui
era un cattivo amico. Vero?»

Sospirai, mentre le mie mani lentamente iniziavano a tremare dimostrando la mia agitazione al
sentire di quel nome.

Non avevo mai immaginato che mio fratello si fosse reso conto di come stavo
quando mi frequentavo con Fabio, ma come spesso facevo, lo avevo sottovalutato; Giacomo era
estremamente sveglio e acuto, cercava di nascondere queste sue qualità dietro la sua innocenza da bambino, ma non sempre ci riusciva.

«Sorridi sempre sorellona, gli occhi ti brillano quando sei con Federico e lui ti vuole davvero bene.
Ti guarda proprio come il papà guarda la mamma, vi sposate anche voi due?» chiese, visibilmente
interessato alla mia risposta.

«Dai scendi a fare colazione, che tra poco ti raggiungo. A proposito, di’ alla mamma che stamattina sono occupata a sistemare la mia camera e quindi se ha bisogno di me mi troverà lì.» dissi, spingendolo fuori con una mano; poi sentendolo scendere le scale vorticosamente urlai: «Non correre! Ti fai male, quante volte ancora devo dirtelo?»

Quel bambino era davvero incredibile, una vera forza della natura, un uragano di emozioni.
Finii di sistemarmi i capelli e mi unii al resto della famiglia per fare colazione tutti insieme. Erano
rari momenti del genere, dal momento in cui mio padre lavorava in una grande azienda di
imballaggi e la maggior parte della giornata la passava lavorando; nonostante ciò aveva sempre
un’aria allegra che gli incorniciava il viso, ormai segnato dalle rughe, ma sempre affascinante.

«Claudia ha detto che lei e Federico si sposano proprio come avete fatto tu e il papà!» esclamò mio
fratello, seduto alla mia destra.

Io strabuzzai gli occhi e mi misi a tossire, poiché i biscotti mi stavano andando di traverso. Guardai
male Giacomo, che nel mentre stava sghignazzando.

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