Capitolo quindici

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CLAUDIA

«Giuro che se Vittoria non arriva entro cinque minuti la Grecia la vede solo tramite cartoline. Possibile che sia sempre in ritardo quella ragazza?»

Il brusio che caratterizzava l'aeroporto di Roma-Fiumicino non faceva altro che amplificare i miei pensieri. Arianna, Laura ed io stavamo aspettando la nostra amica da circa venti minuti. La mora sembrava essere sparita nel nulla, non rispondeva né alle chiamate né ai messaggi e avrebbe dovuto essere arrivata già da un po' di tempo.

Odiavo non avere il controllo delle cose, non sopportavo quando qualcosa del mio piano mentale andava storto. Mi sentivo terribilmente impotente quando una cosa mi scivolava dalle mani e io non avevo la prontezza di riflessi di riprenderla, di riacciuffarla e tenerla stretta. Questa manchevolezza di controllo e di una conseguente organizzazione mi provocava spesso uno stato di forte ansia, che però nell'ultimo periodo stavo riuscendo a combattere.
Solo le mie più care amiche erano a conoscenza di questa mia fissa, a Federico non avevo accennato nulla, per paura che mi considerasse una sciocca, ma probabilmente lo aveva già iniziato a capire.

Appena finii di pronunciare la frase, ecco una presenza alle nostre spalle: finalmente aveva deciso di deliziarci con la sua presenza.

«Mi raccomando sempre in anticipo tu eh!» la riprese Arianna, con un piccolo sorrisetto accusatorio.
«Scusatemi, ma ho trovato traffico. Nel caso vi potesse interessare, ho trovato anche lui.» disse ridendo, spostandosi leggermente a sinistra, per farci vedere il ragazzo di cui stava parlando, che si trovava dietro di lei.

Il mio cuore esplose di gioia, non c'erano solo farfalle nel mio stomaco, bensì uno zoo intero. Aveva in mano una rosa rossa, e un bellissimo sorriso stampato in faccia, mentre gli occhi luccicavano dalla felicità. Non potei fare altro che corrergli incontro, mentre lentamente iniziavo a sentirmi al settimo cielo.
«Credevi davvero che non sarei venuto a salutarti?» esclamò, porgendomi il fiore. Notai con stupore che aveva accuratamente tolto ogni spina, in modo tale che non mi facessi male. Amavo il suo essere così protettivo e attento nei miei confronti (cosa per niente scontata!).
«Grazie Fede, davvero.» gli dissi, guardandolo dritto negli occhi e sorridendo felice.
Ci bastò uno sguardo per entrare in connessione e capirci, per parlarci senza aver bisogno di alcuna parola.
«Era il minimo Cla, il minimo che potessi fare. Non parlo solo della rosa, ma intendo anche venire qui per salutare tutte voi. Non potevo di certo lasciarti andare in Grecia senza un abbraccio di buon auspicio. Vieni qui dai.»

Allargò le braccia e mi fiondai subito tra di esse, sentendomi al sicuro, provando quel calore familiare che solo casa mi faceva sentire.
«Dai forza, non voglio farvi ritardare, passate una buona vacanza, ve lo meritate. Tutte quante. Non bere troppo, mi raccomando. Se vai al mare mettiti la crema solare, che hai una pelle delicata e rischi di bruciarti.» disse, stringendomi un po' di più.
Mi staccai da quell'abbraccio, e lentamente feci per tonare dalle mie amiche, quando la voce di Federico mi bloccò.

«Non pensarmi troppo. Devi divertirti e rilassarti, ricordati che io sarò sempre con te, anche se non fisicamente, sono sempre qui.» disse, portando la mano all'altezza del cuore.
Avrei voluto urlare quelle due parole che da alcuni giorni mi laceravano il petto, desiderose di uscire e di potersi muovere nel mondo esterno, stanche di rimanere intrappolate nel mio cuore, ammanettate come due prigionieri in attesa della loro sentenza.

Invece mi limitai a sorridere e annuire, per poi tornare definitivamente dalle mie amiche, che mi stavano guardando con un piccolo sorriso sulla faccia. Laura in particolare, mi fece subito una gentile carezza sulla schiena. Con un semplice gesto, ci dicemmo milioni di cose. La nostra amicizia era molto particolare, litigavamo anche per le cose più futili, ma bastava un incrociarsi di occhi, o una semplice stretta di mano perché le cose si risolvessero.

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