Demet
La casa che avevo preso in affitto sembrava davvero una scelta magnifica.
Era una casa ben ristrutturata, con delle pareti appena ritinteggiate.
C'era un'enorme stanza priva di pareti divisorie. C'era un divano, un televisore, un'imponente cucina bianca con orpelli in legno.
Non era molto grande.
C'era un corridoio ed un piccolo bagno proprio accanto all'unica camera da letto.
La camera da letto era piccola, ma ben rifinita. La stanza odorava di fiori e legno.
Almeno qualcosa sembrava filare per il verso giusto.
Quel piccolo angolo di mondo sembrava adatto ai miei gusti.
Mi misi a sedere sul letto e composi il numero sul display del mio smartphone. Sembrava esserci qualche effimera briciola di linea telefonica.
Squillò per una lunga, e apparentemente interminabile, manciata di minuti.
Quando finalmente udii la voce di mia madre, quella di mio padre riuscì a sovrastarla. Era in preda alle domande.
Com'era la città? Dov'ero? Come mi trovavo?
Mia madre lo sovrastò a sua volta, e gli intimò di tacere. Prese la parola, ma lo fece con tono pacato.
Mi chiese del viaggio. Fece domande circa la casa, il clima, l'ambiente e mi limitai a rassicurarla.
Mio padre parve rilassarsi.
Ma entrambi si premurarono di ricordarmi le regole prestabilite: uscire poco, lavorare, lavorare e contare i giorni.
I miei genitori erano sempre stati così con me: apprensivi, a volte all'inverosimile.
Ma probabilmente non erano sempre stati così con tutti: mio fratello non seguiva gli stessi dettami che ero obbligata a seguire io.
Forse perché l'adozione li aveva resi più vulnerabili.
Mio fratello era il loro figlio biologico.
Invece, io ero stata adottata all'età di sette anni.
Prima avevo vissuto nel luogo dove mi trovavo, con una famiglia che nemmeno ricordavo più.
Una famiglia povera, che aveva scelto di sacrificare la propria figlia, piuttosto che sacrificare una razione di cibo.
Per quanto ne sapessi, la mia famiglia non abitava più in città. Si era trasferita in un altro paese. Ciò nonostante, quel luogo mi metteva in agitazione. E creava scompiglio emotivo anche nei miei genitori.
Ma la mia indole responsabile mi aveva condotta lì, senza remore.
La scuola del luogo non aveva una sostituzione per la cattedra di lingue (ormai libera da alcuni mesi) e la prima in graduatoria ero io.
Non avevo rifiutato perché sentivo l'insegnamento come una missione: offrire a quei bambini la cultura, la libertà di scegliere una nuova vita.
Riagganciai dopo aver discusso per almeno un'ora riguardo il viaggio, la casa e le regole. Mi misi in piedi e iniziai a dare forma alla casa.
Mentre ripulivo un angolo per adagiare alcune delle mie cose, udii degli schiamazzi.
Mi avvicinai alla portafinestra e scrutai oltre le tende bianche.
In giardino c'era ancora lui e stava irrorando i due bambini con una pompa ad acqua.
Era un modo di giocare?

STAI LEGGENDO
Desiderami, Ma Fallo Ad Alta Voce!
FanfictionDemet è una giovane donna laureata in lingue e culture europee. Vive in una affollata, caotica città, ma una proposta di lavoro la condurrà lontana per tre mesi. Quella proposta inaspettata la porterà in una cittadina dai colori sgargianti e dai vi...