✨Se solo ...✨

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Can

Finalmente Leyla ed Emre erano crollati sul divano. Dormivano seraficamente.

Li sollevai uno per volta e li portai in camera loro.

Socchiusi la porta e lasciai accesa la piccola lampada da scrivania, quella a luce calda.

Tornai in cucina, mi versai del caffè e mi accomodai sul mio nuovo e comodo divano, ma la rabbia, l'agitazione, non riuscivano ad abbandonarmi.

Dopo una manciata di minuti mi misi in piedi ed uscii. Ma prima afferrai un asciugamano.

Percorsi metà perimetro della casa ed arrivai a quella vecchia porta logora e malconcia, la spostai ed entrai in ciò che ritenevo essere la mia palestra personale.

Da una trave resistente conficcata nel soffitto, pendeva in modo prepotente il mio sacco da boxe.

Accesi la luce, tirai un respiro, afferrai i guanti e sperai solo che potesse riuscire ad alleggerire la mia rabbia.

Feci a pugni con uno stupido sacco inanimato, ma riuscii a calmarmi in parte.

Di tanto in tanto mi fermavo, riprendevo fiato, asciugavo il sudore e tornavo a riflettere.

Ripensavo a quell'incontro, al fatto che quell'uomo volesse di nuovo con sé i suoi bambini, così li aveva chiamati: i miei bambini, aveva detto.

Quella frase, quel ricordo, riportarono in me un'ondata di ira incandescente e tornai a fare a pugni con quel sacco.

Era scappato.

Era andato via quando Leyla era nata da circa un'ora.

Aveva abbandonato Emre in balia dei suoi incubi infantili.

E mia madre lo aveva vigliaccamente imitato.

Leyla ed Emre mi appartenevano.

Presi a pugni ancora e ancora.

Riversai la rabbia in ogni pugno e quel sacco prese ad oscillare con veemenza, tanto da credere che potesse sganciarsi e cadere al suolo. Ma non mi importava.

Ad un certo punto, qualcosa di caldo si posò sul mio braccio e una folata mi fece rinsavire.

Inalai: era profumo al giglio.

Il mio cuore prese a battere molto più forte.

Mi voltai e la vidi.

"Demet, che ci fai qui?" chiesi e scrutai i suoi occhi.

Non rispose. Mi stava osservando.

Temevo che potesse avere paura di me in qualche modo, ma i suoi occhi sembravano tranquilli.

E sul suo viso c'era un sorriso incerto.

Com'era bella quando sorrideva in quel modo.

Un sorriso in grado di placare qualsiasi tempesta.

Chissà se era in grado di rendersi conto del suo talento naturale?

Mi resi conto che la sua presenza era riuscita a distrarmi, seppur per qualche effimero secondo.

Mi asciugai qualche goccia di sudore con l'asciugamano e parlai ancora.

"Dimmi" la invogliai e lei a quel punto parlò.

"Sono passata da voi, ma nessuno è venuto alla porta. Così non ho insistito. Sono tornata a casa e sono uscita in balcone, e a quel punto ti ho visto scappare di soppiatto. E dopo molta indecisione ti ho seguito. Mi sono fermata all'uscio. Non volevo entrare. Per nessuna ragione. Quando ho sentito che facevi a pugni con qualcosa mi sono spaventata e sono entrata. Ma non volevo farlo ... volevo solo sapere come stavi!" concluse.

Desiderami, Ma Fallo Ad Alta Voce!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora