✨Colpo di fulmine✨

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Can

"Can, non dimenticare che oggi dovrai passare a prenderci un'ora prima!" gridò Emre, quando ormai era oltre, molto oltre, la soglia d'ingresso della sua scuola.

Mi limitai a sollevare una mano e a fargli cenno col capo. Un sorriso rassicurante e riuscii ad invogliarlo.

Si voltò e sparì, accompagnato dai suoi amici molto più elettrizzati del solito.

A quel punto fummo soli: io e la mia sorellina Leyla.

Leyla aveva sette anni ed erano precisamente sette anni che mi prendevo cura di lei.

Mi scrutò con i suoi occhi blu e cercò in me conferma.

"Vai anche tu, dopo scuola prenderemo un gelato!" dissi.

Si illuminò e finalmente abbandonò l'auto.

Aveva ottenuto ciò che voleva.

Lei era molto furba: mi aveva estorto, con degli astuti raggiri, una promessa riguardo il gelato dopo scuola.

Aveva dipinto sul suo viso un broncio ed io avevo ceduto.

Difficilmente riuscivo a resisterle.

Da quando mia madre era scappata con il suo nuovo compagno, mi ero sempre preso cura di loro. Avevo dedicato ogni giorno a loro: con costanza, dedizione e affetto.

Noi eravamo una vera famiglia, nonostante loro fossero molto diversi da me: i loro occhi sembravano richiamare il colore del mare e i capelli erano chiari, lucenti. I miei capelli invece erano di un castano scuro, simile al colore dei miei occhi. Ma il nostro legame di sangue valicava ogni limite.

Mia madre mi aveva concepito con un uomo mai più rivisto e poi aveva concepito i miei fratelli con l'uomo che avrebbe dovuto rappresentare il suo lieto fine, ma non era andato tutto come previsto.

Lui l'aveva abbandonata non appena era nata Leyla.

Subito dopo fu mia madre a scappare.

Ci abbandonò con una frase glaciale: "Non posso crescere due ragazzini, senza un soldo. Tu saprai farlo meglio. Ormai hai ventuno anni...puoi cavartela"

Mi diede una pacca su una spalla e poi sparì.

Per lei, Leyla ed Emre erano un errore, almeno quanto lo ero io.

Da quel momento i miei fratelli erano divenuti il mio obiettivo di vita, la mia essenza.

Avevo provato a svolgere molti lavori, sperando di poter fornire loro un valido sostentamento e alla fine, pian piano, avevo trovato l'impiego perfetto: fotografo.

Grazie a quell'impiego avevo acquistato una casa a due piani, avevo acquisito un'auto ed ero riuscito a conseguire una laurea in economia.

Avevo raggiunto il mio equilibrio. A ventotto anni potevo ritenermi davvero soddisfatto?

Potevo farlo.

Il semaforo ostacolò la mia corsa alla meta. Mi fermai, decelerando con cautela. 

E tornai a riflettere.

L'unica cosa che mi mancava era l'amore. L'amore quello vero. Quello forte, quello inebriante.

Qualche storia di passaggio non era mai riuscita a colmare quel vuoto.

Ma in fondo, ancora ci speravo.

D'un tratto nella mia mente si fece spazio un nome: Demet.

Avevo messo in affitto quella casa per agevolare il nostro stile di vita, ma mai e poi mai avrei potuto immaginare di potermi imbattere in un angelo.

Demet era una ragazza di città, dedita al caos, alla bella vita, eppure sembrava celare dentro di sé qualcosa di magico.

Sembrava scontrosa, ma ero certo che fosse una corazza. I suoi occhi limpidi riuscivano a gettare confusione dentro di me.

Lei era inconsapevolmente bella: i suoi capelli castani e lunghi, i suoi occhi color cioccolato, e quel sorriso timido, dolce.

Non appena le nostre mani si erano sfiorate un brivido mi aveva stravolto l'anima: come se una spada mi avesse trafitto piacevolmente.

Volevo conoscerla, volevo sapere qualcosa in più di lei.

E poi ... quel profumo.

L'odore che aveva disseminato lungo il suo stesso tragitto, come briciole di pane.

La sera prima, quando le avevo prestato soccorso a causa del blackout avevo ritrovato quel profumo in casa. E conoscevo abbastanza bene la natura da essere certo che quella fragranza fosse al giglio.

Io stesso, quella mattina, le avevo strappato un giglio dalla vegetazione a qualche passo da casa e lo avevo affidato a mio fratello.

Demet era molto di più di ciò che voleva dare a vedere: io sapevo guardare oltre. Lei era un'anima da scoprire, e soprattutto, lei aveva una bellissima anima. Ne ero certo.

Ero attratto da lei, terribilmente attratto da lei.

Che fosse un colpo di fulmine?

Probabile.

Non avevo paura ad ammettere i miei sentimenti. Ormai ero bravo a gestire le mie emozioni.

Sapevo tirale fuori. Era ciò che insegnavo anche ai miei fratelli.

Demet mi piaceva, molto.

Il semaforo mi invogliò a riprendere la corsa ed io accelerai, ponendo attenzione ad ogni dettaglio.

Guidai sino alla meta: avevo un servizio fotografico in centro ed ero in ritardo.

Ero molto soddisfatto del mio impiego: ero riuscito ad ottenere dei meriti, tanto da attribuire al mio nome una garanzia.

Raggiunsi l'edificio.

Lessi il mio nome ovunque e quando varcai l'uscio in molti mi accolsero con calore.

In quell'edificio si sarebbe tenuta di lì a poco una sfilata di moda.

Allestii il mio ambiente e presi a lavorare.

Tenni d'occhi l'ora, nonostante fossi sommerso dal lavoro.

Lavorai sodo, di tanto in tanto qualche gentile ragazza provava ad offrirmi da bere.

Mi dedicai al lavoro, senza distrazioni, fin quando una mano si posò sulla mia spalla.

Mi voltai e lo riconobbi nello stesso istante in cui i miei occhi incontrarono i suoi occhi color mare.

Il padre di Leyla ed Emre.

I loro occhi erano identici.

"Ciao!" disse.

Mi sentii raggelare.

Cosa voleva?



POSTO NUOVO CAPITOLO ORA!!!! TESORINII!!!




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