✨Forse...✨

1.2K 161 31
                                    

Demet

Poco prima che la campanella suonasse, ponendo fine a quella prima parte della mia giornata, feci una chiacchierata con il preside. Mi informò riguardo alcuni dettagli.

Poi, prima di uscire, mi fermai in giardino e telefonai alla mia migliore amica.

Rispose dopo pochi squilli.

Le raccontai sommariamente di ciò che mi era accaduto: le raccontai della scuola, della casa e del blackout della sera prima e a quel punto ebbi un crollo emotivo.

Mi lamentai riguardo la lontananza, riguardo quel paese che non sentivo appartenermi, riguardo la paura di incontrare anche solo per caso la mia famiglia.

Dalia, la mia migliore amica, provò a consolarmi, ma non ci riuscì.

Mi ricordò quanto fossi stata sempre poco istintiva, sempre troppo fredda, calcolata, razionale. Mi disse che avrei dovuto smettere, che avrei dovuto lasciarmi andare.

"Se avessi accettato quella proposta, ora saresti in America!" disse" E invece ora sei in un paese che odi, solo perché il tuo buon senso è più forte del tuo spirito di autodifesa!" concluse.

A quel punto, presi un respiro, pronta a continuare la conversazione, ma qualcosa attirò la mia attenzione e fui costretta riagganciare e a rimandare quel discorso riguardo la mia fallimentare razionalità.

Vidi i due bambini, i fratelli di Can, seduti sull'ultimo degli scalini della scuola.

Sembravano irrequieti.

"Ciao!" dissi, avvicinandomi a loro.

Entrambi si voltarono ad osservarmi. Emre sembrava molto più cordiale, ricambiò il saluto.

La piccola invece non mi degnò di uno sguardo.

"Cosa ci fate qui, tutti soli?"

"Forse nostro fratello ha dimenticato che saremmo usciti prima oggi!" concluse Emre.

"Hai il suo numero di telefono?" chiesi e Emre si voltò ad osservarmi, abbozzò un sorriso e prese a dettare le cifre, una ad una.

Provai a telefonargli più volte, ma non rispose a nessuno dei miei tentativi.

I bambini sembravano scoraggiati ed io sentii una morsa dentro di me: dovevo fare qualcosa.

"Ciao Can!" simulai una conversazione "I bambini sono qui, certo che posso riportarli a casa!" dissi e li guardai di sottecchi "Li terrò con me, avvertimi quando hai finito!" conclusi e riagganciai.

I bambini mi fissavano attenti e in attesa.

"Ha avuto un contrattempo a lavoro, passerà a prendervi da me. Vi riporto io a casa oggi!" dissi con tono cauto.

Emre parve risollevato, ma la piccola no. Non si mosse e non imitò nemmeno suo fratello che intanto si era messo in piedi e mi aveva ceduto la sua mano.

"Come ti chiami?" le chiesi, piegandomi sulle mie stesse ginocchia.

"Mi chiamo Leyla" sussurrò, senza guardarmi.

Anche in quel caso ebbi l'impressione che avrei potuto dialogare con lei senza fronzoli.

"Piacere. Io sono Demet" dissi ed abbozzò un sorrisino timido "Cosa ti turba, Leyla?" aggiunsi.

"Mi aveva promesso un gelato!" disse e gli occhi si riempirono di lacrime.

"Ah, giusto. Me ne ero dimenticata. Mi ha incaricato di comprarti un gelato!"

A quel punto Leyla balzò in piedi.

"Davvero? Ci andiamo?"

"Certo, conosci la strada?"

"La conosco io" rispose Emre, stringendo in modo saldo la presa sulla mia mano.

A quel punto la bufera sembrava ormai passata. Leyla afferrò la mia mano e andammo via.

Trascorremmo circa un'ora in gelateria.

Poi li riportai a casa.

Intanto avevo lasciato un messaggio a Can per avvisarlo che i suoi fratelli stavano bene, ed erano con me. Ma non avevo ricevuto alcuna risposta e la cosa mi mise in allarme.

Ai bambini non lo diedi a vedere, anzi, provai a tenerli distratti.

Li condussi in casa mia ed escogitai un piano.

"Ho voglia di una torta!" dissi.

"Dovremmo fare la spesa!" disse Emre e io scoppiai a ridere.

Effettivamente, ero nuova in quella casa.

"Andiamo!" dissi ed uscimmo di nuovo.

Raggiungemmo un supermercato e acquistammo il necessario: Emre sceglieva e Leyla adagiava la merce nel carrello della spesa.

Pagammo e tornammo a casa.

Preparammo una torta e Leyla non fece altro che assaggiare la panna, il cioccolato. Emre le fece uno scherzo e a quel punto la situazione degenerò.

"Non voglio preparare nulla con te ... mi hai sporcato il vestito!" lo accusò.

"E' solo panna" provò a rassicurarla.

"Lo sai che io ho una ricetta magica" dissi e loro si voltarono ad osservarmi "Ho una polvere che rende tutto più bello"

"Cosa?"

Afferrai un pizzico di farina e lo lanciai sul vestito di Leyla, poi feci lo stesso con Emre e quello fu la vera miccia.

Iniziammo a fare la lotta con la polvere magica, ovvero con la farina. E a Leyla parve importare sempre meno del vestito.

Ridemmo molto e quando finimmo di giocare la casa sembrava innevata.

Mi avvicinai a Leyla e le sussurrai qualcosa all'orecchio.

"Il vestito si lava. Tu sei sempre bellissima!" conclusi e le adagiai un dito sul nasino, lasciandole traccia di farina. Ancora.

Finalmente, dopo una manciata di minuti qualcuno picchiò contro il legno della porta.

Andai ad aprire e mi imbattei in Can.

Mi sentivo felice. Felice di rivederlo.

Forse perché ero felice di sapere che stesse bene?

O forse perché ero solo felice di rivederlo?

Ma qualcosa andò storto.

Non sembrava educato, cordiale e gentile come sempre. Sembrava arrabbiato, distratto.

"Grazie!" mi disse, poi senza porre nemmeno attenzione al fatto che fossimo sporchi ordinò ai bambini di seguirlo.

I bambini ubbidirono, ma prima di andare via, entrambi mi rivolsero un caldo saluto. Poi sparirono oltre le scale.

Approfittai del fatto che Can ed io fossimo soli.

"Tutto bene?" chiesi, ma lui non rispose.

Andò via ed io mi sentii un'idiota.

Ancora una volta ci avevo creduto.

Avevo creduto che potesse essere diverso, genuinamente diverso.

Ma probabilmente era un bell'involucro. E null'altro.

Chiusi la porta e provai a rassettare, sperando di non pensare troppo a lui. A Can.

Quando arrivò sera, cenai in videochiamata con la mia famiglia e poi uscii in balcone.

Mi sentivo irrequieta. Da quando Can era andato via non avevo fatto altro che pensare a lui, al suo viso apparentemente sconvolto.

Dovevo capire, volevo capire.

Afferrai una fetta di torta che avevo preparato da sola e la riposi in un piatto, poi dischiusi la porta ed uscii.

Quando arrivai dinanzi casa sua tirai un respiro e suonai alla porta.

Il mio cuore martellava.

Perché ogni volta che ero vicina a lui, mi sentivo così vulnerabile?




Desiderami, Ma Fallo Ad Alta Voce!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora