Capitolo 22 | Capelli da cattivo ragazzo

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CAPITOLO 22
Capelli da cattivo ragazzo

Ho perso il conto di quanti shottini io abbia mandato giù.
Tre. Forse quattro.
O forse cinque.
Sì, cinque. Erano cinque. Adesso questo è il sesto.
L'alcol ormai non mi brucia più la gola, va giù come acqua, scorre nelle mie vene anestetizzando ogni singolo impulso di andare a nascondermi. Sono una persona abbastanza introversa di mio, ma in questo momento l'unica cosa alla quale sto pensando non sono gli altri, la marea di giovani ragazzi e ragazze che ballano e si accalcano nel capanno, che ridono, che urlano tra loro per farsi sentire, che si spingono gli uno contro gli altri e che stanno giocando a scommesse poco etiche al bancone delle bibite su chi berrà di più e chi invece fallirà.
Le luci colorate mi investono la retina, tutto si muove in uno strano rallentatore, la musica risuona a tutti volume in un modo tanto ovattato che mi sembra di trovare sott'acqua. Mi sento cullata, lentamente come da una ninna nanna.
I miei neuroni provano a metabolizzare la situazione, provano a farmi restare in piedi ma più cerco di pensare lucidamente più capisco che probabilmente sto sbattendo troppo le ciglia. Ho la fronte aggrottata, gli occhi socchiusi e ridotti in due fessure, una smorfia di confusione stampata in viso.

Maledizione. Quanti shottini erano?
Cinque.
No, no. Erano sei. O forse erano sette? Questo che ho mandato giù era il sesto? Sì.
No. No.
Era il settimo. Ma il settimo di cosa? Settimo di tequila o settimo di whisky?
Qual è la differenza tra i due? C'è forse una differenza?
La differenza dovrebbe esserci. Deve. Insomma si chiamano in modo differente quindi devono essere diversi e devono...
Devono...

Inciampo. Credo nel mio vestito. Sì.
Delle mani mi afferrano all'ultimo secondo e mi ritrovo spiaccicata tra le braccia di qualcuno. Mormoro qualcosa, non so cosa, forse un scusa. Sì. Mi sto scusando.
Lo ripeto.
Sollevo a fatica la testa e punto gli occhi sul viso del mio salvatore.
Glielo ripeto in faccia a pochi centimetri.
«Scu-scusami... scusami, io...» mi blocco e scoppio a ridere. Cosa c'è di divertente? Non lo so. «Divertente», dico improvvisamente e lo guardò negli occhi. Ma perché è così sfocato il suo viso? E perché tutto si muove? Mi avvicino di più al suo viso per capire chi ho davanti e con una mano glielo afferro, tastandolo quasi ad avere la conferma che sia vero.
Quindi è vero. Sì.
«S...sei vero. Molto vero» mugugno lentamente.
«Ma chi sei tu... Tu...» mi fermo analizzandolo dubbiosa. «Dove è...» pausa. I miei neuroni si stanno riorganizzando. «Dove... dov'è... c'è il mio... Adrien» finalmente arrivo al punto. «Adrien. Dov'è?»
Il mio interlocutore sembra aggrottare le sopracciglia. Oh, maledizione.
Devo trovare Nathalie. Sì. Devo trovare Nathalie e gli altri del gruppo. E devo andare al bagno, no. Devo andare fuori, ho bisogno di aria fresca, mi sento sciogliere. O forse sto per addormentarmi.
«Ronnie?» sento una voce ma è troppo tardi, la mia faccia e schiacciata contro il suo petto.
«Ronnie?» sento il suo torso vibrare. Le mie mani lo afferrano e lo stringono a me così da aggrapparmi a qualcosa per non scivolare al pavimento. Con gli occhi chiusi resto così, immobile e legata a lui.
«Quanto hai bevuto?» mi chiede di nuovo. Non riesco a rispondere. Vorrei farlo. Dirgli che ho mandato giù sette bicchierini, ma sento la bocca impastata, la mascella debole e sento che mi è impossibile biascicare qualunque cosa.
Devo dormire. Voglio solo questo.

«Basta così per stanotte, va bene? Ora vieni a casa con me» dice. Il pavimento viene di colpo a mancare e un intenso primo familiare mi invade le narici, ma mi dimeno, anche se in un modo pietoso. «No!» esclamo contro il suo petto. Borbotto.
Mi sento dondolare. La musica pian piano abbandona le mie orecchie finché non si dissipa del tutto e ciò che mi arriva traballante è il suono delle cicale. «No...» mi sento depositata su qualcosa di morbido. Le mie spalle si poggiano contro di esso. Poi sento un click, qualcosa mi fascia obliquamente il petto.
Riesco ad alzare una mano, non so come ma ce la faccio e afferro la maglietta del ragazzo. Schiudo gli occhi. Lo guardo. Cerco di farlo.
«Tu devi... trovare Adrien» biascico a fatica.
«Sono io Adrien e ora dormi» la sua risposta mi lascia confusa. Faccio una smorfia e poi quando realizzo scoppio a ridere. La risata pian piano però s'incrina e finisco in uno strano silenzio.
Oh. Merda.
«Già, è proprio una bella merda» sento. Aspetta, non l'avevo solo pensato?
La portiera si chiude. Adrien scompare per un paio di minuti e poi sento quella accanto aprirsi e chiudersi. L'auto viene messa in moto e il finestrino del mio sportello di abbassa. Poi l'auto parte. L'aria fresca mi sbatte contro il viso e questo è... fantastico.
Chiudo gli occhi e rimango così, con le spalle sprofondate nel sedile, il rumore dell'auto che sfreccia sulle strade notturne di San Francisco e qualche lampione che ogni tot metri illumina il mio viso.

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