Capitolo 28

224 10 0
                                    

"Hoseok potresti dire ai tuoi amici di abbassare la voce. I clienti potrebbero spaventarsi solo ascoltando le loro urla." disse Alfred intento a sistemare i bicchieri di vetro.

"Perché devo sempre essere presente in ogni relazione amorosa, solo perché sono single?" replicò il ragazzo dai capelli rossi, sbuffando e dirigendosi verso Taehyung e Jungkook.
"E voi due potreste smetterla di mangiarvi la faccia? Mi fate sentire più solo di quanto io già non lo sia."

"Ho finito di classificare i vini, spero di aver fatto bene." disse Jimin uscendo dalla porta del magazzino.

"Ottimo lavoro ragazzo, spero soltanto che tu non abbia assaggiato tutto."

"Dov'è Yoongi? chiese, senza dar conto a ciò che aveva detto Alfred.

"Proprio qui" disse abbracciando il ragazzo e regalandogli un bacio.

"Mi viene da vomitare." disse Jin, dopo aver visto i due abbracciarsi.

"Almeno loro sembrano una vera coppia" replicò Namjoon, che fece innervosire a sua volta il suo ragazzo.

"Cosa vuoi intendere?" chiese Jin, creando una nuova discussione.

"Smettetela voi due, e andate a svolgere i lavori che ho chiesto di fare." disse Alfred con aria severa, ma che allo stesso tempo per Jimin non era credibile.

Erano tutti riuniti nel locale, il posto dove tutto era iniziato, dove tutta la sua seconda famiglia era completamente nata.

Il compleanno di Jimin era proprio quel giorno, e purtroppo aveva già scoperto la festa a sorpresa che gli altri avevano realizzato.

Così, aveva deciso di dare una mano nelle decorazioni, sperando di ottenere buoni risultati.

Quello che a lui però importava, era soltanto essere al loro fianco, e vivere quella felicità che tanto stava cercando.

"Il destino vi ha voluti bene ragazzi" disse Jungkook guardando la nuova coppia.

"Se non fosse stato per Alfred, il destino avrebbe preso una piega."

"È stato molto difficile fingere, ma sapevo che Jimin non lo avrebbe mai scoperto." disse Alfred, che aveva fatto di tutto per far incontrare i due.

"Pensi che sia davvero così stupido?" chiese ridendo, e sorseggiando il poco vino rimasto nel suo bicchiere.

"In realtà intendevo, che sapevo già che avresti perso la testa per lui, anche prima di sapere che fosse il mittente di quelle lettere." 

Jimin arrossì, ma il sorriso confortante di Yoongi lo fece ritornare alla realtà.

Proprio in quel momento, una signora bussò alla porta del locale.

Namjoon andò ad aprire, facendola entrare.
"Jimin, è per te. Ha chiesto di vederti."

Il bicchiere di vetro cadde dalle sue mani, e si ruppe in mille pezzi sul pavimento.

"C-cosa c-ci f-fai q-qui?" chiese il ragazzo, sperando che non rovinasse anche il giorno del suo compleanno.

[flashback]

Jimin era stanco di doversi nascondere dai suoi genitori, di avere paura e di essere considerato diverso.

Era stanco di tutto, la famiglia non era mai a casa e nessuno gli aveva mai regalato attenzioni, se non i suoi amici.

Aveva diciasette anni ed era passato un anno da quando la sua sofferenza e continua tristezza, non riuscivano più ad andarsene dal suo corpo.

In realtà, erano sempre stati un peso per lui, da quando aveva compiuto quattordici anni.

Da quando la sua famiglia aveva cominciato a lavorare, a non essere più presente e meno affettuosa nei suoi confronti.

Da quando aveva scoperto di essere omosessuale, con i continui dubbi  insicurezze, e quando purtroppo, ogni cosa sembrava remargli contro, sentendosi solo e non amato.

A volte, ricordava i momenti della sua infanzia, e la mancanza di tutto ciò che aveva passato, si faceva sentire sempre di più.

I suoi genitori erano sempre al suo fianco, e soprattutto avevano molte più conversazioni.

Ora, invece, non gli chiedevano nemmeno come andassero le cose, e durante i pasti l'omofobia regnava come discorso principale nella sua casa.

Non gli riconosceva più, erano acidi e sempre nervosi. Jimin non gli sopportava.

L'unica cosa che gli regalava speranza, erano le lettere, che rileggeva ogni giorno, immaginando che quella persona fosse proprio accanto a lui per rincuorarlo.

Ma purtroppo non era così.

In quel momento, bussarono alla porta della sua stanza.

"Jimin, è pronta la cena!" disse il padre, mentre il ragazzo riponeva le lettere delicatamente nella loro piccola scatola.

Era arrivato il momento di confessargli la verità. Aveva paura, perché sapeva che i suoi genitori non lo avrebbero accettato.

Ma a lui non importava, non lo calcolavano nemmeno da finto etero, quindi, ne avrebbe fatto a meno.

Le sue mani iniziarono a sudare, e il cuore non riusciva a stare fermo. Era nervoso, e non sapeva nemmeno come trovare le parole giuste.

"D-devo d-dirvi u-una c-cosa" disse balbettando, a causa dell'ansia che prevaleva sul suo corpo.

"Se hai preso un brutto voto a scuola, potrai rimediare la prossima volta. Non devi preoccuparti." disse la madre, poggiando il cibo sul piatto.

"N-no n-non è q-questo."

"Non dirmi che sei stato espulso, questo non posso accettarlo, lo sai" disse il padre, intento a mangiare la sua porzione.

"S-sono g-gay" disse in tutta fretta, abbassando la testa e cercando di non guardargli negli occhi.

Il padre era rimasto immobile, e la madre invece aveva rovesciato sul pavimento il poco cibo che era rimasto nella pentola.

"Cosa?" dissero entrambi, facendo finta di non aver sentito.

"Sono gay, e mi dispiace non averlo detto prima, ma avevo paura delle conseguenze."

"Allora inizierai ad avere paura" il padre aprì la porta di casa, e senza poter prendere valigie o vestiti più pesanti, gli obbligò di andarsene.

La madre non disse niente e rimase immobile davanti alla scena.

"S-state s-scherzando?" chiese il ragazzo, cercando di trattenere le lacrime.

"No, non posso farmi rovinare la reputazione a causa di un figlio omosessuale." disse sbattendogli la porta in faccia, con i modi freddi e duri di suo padre che non aveva mai dimenticato.

Quelle parole ferirono il suo cuore e cadde per terra iniziando a piangere, urlando di aprire la porta.

Jimin aveva sempre voluto scappare dalla sua famiglia, ma non avrebbe mai pensato che i suoi genitori lo avrebbero cacciato in quel modo.

Faceva freddo e aveva solo il suo pigiama. Non poteva andare lontano, sarebbe morto tra qualche giorno senza cibo e coperte calde.

Ma voleva almeno prendere ciò che di più tesoro aveva, così bussò insistentemente alla porta.

Il padre aprì la porta.
"Perché vuoi i tuoi vestiti, se hai già un ammiratore segreto che potrebbe darti tutto quello che vuoi? Non voglio omosessuali nella mia casa." disse, riferendosi alle lettere che aveva preso in quei pochi minuti, per poi buttarle in un cestino ed eliminare gli unici ricordi felici che Jimin possedeva.

"C-come p-potete f-farmi q-questo?"

Jimin urlò il nome di sua madre, in cerca di aiuto, ma lei era rimasta sempre al solito posto. Il ragazzo riuscì ad intravedere una lacrima cadere dalla sua guancia.

La porta si chiuse bruscamente, e sapeva che non c'era più scelta di restare, se non andarsene definitivamente.

Senza forze cercò di camminare, senza una strada o una via prefissata. Adesso era davvero solo, e solo le sue lacrime gli facevano compagnia.

[fine flashback]

193 || yoonmin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora