Capitolo XXXVII

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Jonas Larsen viveva in un quartiere di bassi livelli, il suo appartamento si trovava all'ultimo piano di un edificio dall'orrenda forma cubica le cui finestre erano in gran parte spaccate. Anche la porta d'ingresso aveva la maniglia rotta pertanto non si poteva più chiudere. Qualcuno aveva messo un grosso vaso per impedire che la corrente d'aria la facesse sbattere. Il pavimento era sporco di impronte e sembrava che non venisse pulito da mesi.

«Come si fa a vivere in un posto come questo?» Domandò Arlo premendo il tasto dell'ascensore e scoprendo che nemmeno quello funzionava. Nessuno si era nemmeno preso la briga di attaccarci un cartello per avvertire.

«Già, è molto mal ridotto» Commentò Seraphina andando verso le scale. L'ultimo piano era il settimo perciò avevano diverse rampe da fare. Su ognuno c'erano un totale di tre o quattro appartamenti, non dovevano essere molto grandi. Al secondo piano videro una signora magra fino all'osso uscire dalla porta di fronte all'ascensore. Stringeva la mano di un bambino che non aveva più di tre o quattro anni e che li guardò con curiosità. Appena li vide però la donna lo tirò indietro verso l'appartamento. Seraphina le fece un cenno di saluto con la mano ma senza rispondere lei spinse il figlio in casa e si chiuse dentro.

«Non perdere tempo. Andiamo» Le disse Arlo che l'aveva superata. Seraphina lo seguì stranita dallo strano comportamento della donna che non poteva certo sapere che erano due alti livelli perciò non aveva motivo di essere spaventata da loro. Raggiunsero l'ultimo piano, sul campanello dell'appartamento di Jonas c'era appiccicato un biglietto con scritto sopra a mano il suo cognome. Arlo lo premette e poco dopo un uomo aprì loro la porta. I due ragazzi sentirono un forte puzzo di alcool giungere alle loro narici. Arlo non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto e si tirò indietro leggermente.

«Buongiorno» Salutò Seraphina affrettandosi a spostare l'attenzione dell'uomo su di sé «Mi chiamo Seraphina e lui è Arlo. Siamo compagni di scuola di suo figlio Jonas. Lui è in casa?».

L'uomo storse il naso.

«Non è mica mio figlio e avete sbagliato appartamento» Indicò la porta di fronte «Lui vive lì».

«Capisco, ci scusi per il disturbo allora» Disse Seraphina. L'uomo rimase sulla porta ad aspettare che se ne andassero e sotto il suo sguardo vigile i due ragazzi si spostarono verso l'appartamento indicato. Arlo aveva la faccia di chi si era pentito di essere venuto in un posto del genere. Seraphina suonò di nuovo il campanello e un attimo dopo udì la porta chiudersi alle loro spalle. Lanciandosi un'occhiata indietro vide che l'uomo era rientrato in casa.

«Vediamo di fare in fretta» Sibilò Arlo.

Questa volta fu Jonas ad aprire loro, fu estremamente sorpreso di trovarli lì entrambi e balbettò i loro nomi dimenticandosi perfino di salutarli. Seraphina gli sorrise incoraggiante.

«Ciao Jonas, scusaci per l'improvvisata» Gli disse cercando di metterlo a suo agio «Come stai?».

«Be... bene» Balbettò lui senza guardarli direttamente negli occhi. Faceva zigzagare lo sguardo in altre direzioni ma questo era un comportamento normale per un basso livello.

«Possiamo entrare? Vorremmo chiederti alcune cose» Spiegò Seraphina. Lui annuì come se non avesse molta scelta. Si spostò per farli passare, l'ingresso dava direttamente sul salotto che condivideva un unico spazio con la cucina. Era piuttosto ordinato e non c'erano ninnoli ad abbellire lo spazio, nel complesso la stanza sembrava molto vuota.

«Uhm... potete sedervi se volete» Disse Jonas a bassa voce. Roland lo aveva descritto come un ragazzo simpatico e allegro ma a Seraphina sembrò solamente timido e impacciato.

«No grazie, sto in piedi» Disse Arlo gelido. Il suo atteggiamento non aiutò di certo Jonas a sentirsi a suo agio.

«Non ci tratterremo molto» Spiegò Seraphina cercando di alleggerire la tensione «Vorremmo sapere alcune cose riguardo il giorno in cui ci sono state quelle esplosioni. Stiamo chiedendo a diversi studenti per capire se qualcuno ha visto qualcosa».

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