Capitolo 20

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Sto tornando a casa, ho promesso al dottore che avrei riposato un paio di giorni e avrei continuato a fare le flebo a casa: non riuscivo a stare in quella stanza di ospedale, mi sentivo soffocare, mi sentivo peggio, mi veniva l'ansia e così l'ho convinto a dimettermi la mattina stessa, prima che arrivasse l'orario delle visite.

Lui mi ha sorriso e mi ha dato il nominativo di un'infermiera che potrà venire a casa per le flebo oggi pomeriggio e domani, aggiungendo che per qualsiasi cosa avrei potuto chiamarlo, in qualsiasi momento, al numero aggiunto a penna sul bigliettino da visita che mi lascia tra le mani.

Abbozzo un sorriso e accenno con la testa un si, poi prendo la mia borsa ed esco dall'ospedale. Mentre mi avvio a piedi verso i cancelli vedo arrivare Vittorio con l'automobile, si ferma al mio fianco e mi fa cenno di entrare.

Lo ringrazio e subito mi fiondo dentro, fa abbastanza caldo e mi sento un po' spossata: "avrei chiamato un taxi, ma grazie infinite, solo una domanda però: come facevi a sapere che ero in uscita?"

"Non lo sapevo Lara, ero venuto per vedere come stavi, se almeno tu stavi meglio, perché l'altro..." e lascia la frase a metà!

"Perché l'altro chi?", lo incalzo io, "lo sposo?"

Vittorio, per la prima volta, mi guarda male, sbigottito e forse un po' incazzato, non lo so, deluso; rallenta l'auto e accosta, poi si gira a guardarmi e con voce sommessa mi dice che sto sbagliando, che mi sto comportando male, che lui appena ha saputo che mi ero sentita male ha mollato tutto ed è venuto per me, che non dorme da giorni, che è stanco, che sta cercando di risolvere la situazione in cui, suo malgrado, si è ritrovato per colpa delle decisioni del nonno e che dovrei essere comprensiva e stargli accanto.

Bel discorso, penso io, non fa una piega, ma non sono disposta a soffrire di nuovo, non voglio sentirmi nuovamente svuotata, sfinita: ogni volta che mi sembra di essere ad un passo dalla felicità, dalla serenità, all'improvviso un'onda si trascina via tutto.

Avete mai provato quella strana sensazione di perdita che si prova quando in spiaggia, seduta a riva, con le mani poggiate nella sabbia, arriva a lambirti il mare, con la sua onda ormai alla fine? Bene, è una sensazione bellissima: sembra abbracciarti, accarezzarti l'anima, ma è una sensazione che dura un attimo; subito dopo ti abbandona, torna indietro e con sé porta via i granelli di sabbia che avevi sotto le mani, sotto i piedi, creando un vuoto che ti destabilizza, che ti fa perdere l'equilibrio, porta via con sé quella carezza di amore e subito dopo senti la perdita, la mancanza, il vuoto.

E' così che mi sento e non so neanche come spiegarlo a Vittorio, così chiedo scusa per il mio comportamento e mi giustifico dicendo che parlare con lui della situazione in cui mi sono cacciata mi crea un bel po' di imbarazzo.

Lui annuisce e mi prega però di parlare con Baris, "permettigli di spiegarti la situazione, siete le uniche persone alle quali mi sento legato e non ho piacere a vedervi soffrire: è una situazione strana e piuttosto pericolosa, ma so che troverete una via d'uscita".

Dopo avergli promesso di provare ad essere comprensiva lui si alza e va via, ricordandomi che il lavoro mi aspetta a studio e che devo riprendermi in fretta.

Resto sola in casa e giro in tondo per un po' fino a che decido di farmi una doccia veloce prima dell'arrivo dell'infermiera: sono letteralmente fuggita dall'ospedale ma so di dover fare ancora le flebo, poi mi sistemo sul divano e in attesa leggo qualche pagina del mio libro preferito.

L'infermiera arriva puntuale e subito procede ad ingabbiarmi il braccio di modo che non resti alcun livido o altro segno, poi si sistema difronte a me e inizia ad intavolare una conversazione.

In due ore mi racconta tutta la sua vita ma la flebo ancora non è finita, così un po' annoiata le chiedo se può accelerare il tutto, lei mi dice che è necessario che la medicina scenda poco alla volta poi all'improvviso sentiamo il campanello: chi diavolo è a quest'ora?

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