SCOPRIAMO LA VERITÀ, PIÙ O MENO

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"Immaginate  la  folla  da  concerto  più  grande  che  abbiate  mai  visto,  un campo  da  football  gremito  di  un milione  di  fan. Ora  immaginate  un  campo  un milione  di  volte  più  grande,  pieno  di gente,  e  immaginate  che  l'impianto  elettrico  si  sia  spento  e  che  non  ci  sia nessun  rumore,  nessuna  luce,  nessun  pallone  gonfiabile  che  rimbalza  tra  la folla.  Dietro  le  quinte  è  accaduto  qualcosa  di  tragico.  Masse  bisbiglianti  di persone  si  muovono  alla  rinfusa  nelle  tenebre,  aspettando  un  concerto  che non comincerà  mai. Se riuscite  a  figurarvi  tutto  questo,  avrete  un'idea  abbastanza  buona  delle Praterie  degli  Asfodeli."
Hazel sbattè  le  palpebre. "Hai fatto un lavoro sorprendentemente buono nel descriverlo." Percy sorrise ed Ade sbuffò. "Adesso la situazione è decisamente migliorata." Hermes lo guardò. "Meno morti?" "No, un nipote che non mi avrebbe lasciato in pace." Percy sorrise, senza prestare attenzione al padre offeso.
"L'erba  nera  era  stata  calpestata  da  secoli  di  piedi morti.  Spirava  un  vento  caldo  e  umido,  come  l'alito  di  una  palude.  Alberi neri  —  Grover  mi  disse  che  erano pioppi  —  crescevano  qua  e  là  in  rade macchie. Il  soffitto  della  caverna  era  talmente  alto  che  avrebbe  potuto  essere  un banco  di  nubi  temporalesche,  se  non  fosse  stato  per  le  stalattiti,  degli spunzoni  aguzzi  e  micidiali  che mandavano  un  lieve  bagliore  grigiastro. Cercai  di  non  immaginare  che  potessero  staccarsi  da  un  momento  all'altro, ma  in  mezzo  ai  campi  ce  n'erano  diverse  conficcate  nell'erba  nera. Immagino  che  i  morti  non  dovessero  preoccuparsi  di  piccoli  rischi  come quello  di  farsi  infilzare  da  stalattiti  grandi come  razzi  spaziali."
Talia fissò il cugino. "Cosa sarebbe potuto succedere loro? Morire?" "Erano già lì, almeno." Scrollò le spalle Percy e Ade sbuffò divertito.
"Cercammo  di  confonderci  tra  la  folla,  tenendo  un  occhio  aperto  sugli eventuali  demoni  della  vigilanza.  Non  riuscii  a  fare  a  meno  di  scrutare  gli spiriti  in  cerca  di  facce  note,  ma  è  difficile  guardare  i  morti.
"Perché sono morti?" Chiese Apollo e Percy rispose. "Non hanno i lineamenti molto solidi."
"Hanno  il  volto tremolante.  Sembrano  tutti  leggermente  arrabbiati  o  confusi.  Si  accostano per  parlarti,  ma  le  loro  voci  somigliano  a  un  cicaleccio  stridulo,  come  un cinguettio  di  pipistrelli.  Non  appena  si  rendono  conto  che  non  riesci  a comprenderli,  si  accigliano  e  si  allontanano. I  morti  non fanno paura. Sono soltanto  tristi. Mi sentivo triste per loro."
"Certo che lo facevi." Sospirò Silena e Charles annuì lentamente. "Triste per i morti e non sono la cosa peggiore per cui si è sentito male." "La cosa non mi rassicura molto, Charles!" Silena si girò nell'abbraccio del fidanzato e lui annuì. "Lo so."
"Avanzammo  lentamente,  seguendo  la  fila  dei  nuovi  arrivati  che  dalle porte  principali  serpeggiava  verso  un  padiglione  di  tela  nera,  con  uno striscione  che  diceva:
GIUDIZI  PER  L'ELISIO  E  LA  DANNAZIONE  ETERNA  BENVENUTI, NOVELLI  ESTINTI!
Da  dietro  la  tenda  fuoriuscivano  due  file  molto  più  piccole. A  sinistra,  i  demoni  della  vigilanza  scortavano  gli  spiriti  lungo  un sentiero  in  discesa,  verso  i  Campi  della  Pena  che  baluginavano  e  fumavano in  lontananza:  un  vasto  territorio  desolato  e  arido,  solcato  da fiumi  di  lava, campi  minati  e chilometri  di  filo  spinato  che  separavano  le  diverse  aree  di tortura.  Perfino  da  quella  distanza  riuscivo  a  scorgere  persone  inseguite  da segugi  infernali,  bruciate  allo  spiedo,  costrette  a  correre  nude  fra  i  cactus  o ad  ascoltare  l'opera.  Distinguevo  perfino  una  collinetta,  con  la  sagoma minuscola  di  Sisifo  che  sfacchinava  per  spingere  il  suo  masso  fino  in  cima. E  vidi  anche  torture  peggiori...  cose  che  non ho voglia  di  descrivere."
"Sisifo." Scosse la testa Talia. "Non mi piace quel tizio." "Sisifo non piace a nessuno." Le fece notare Percy e Grover domandò. "Quando avete incontrato Sisifo?" "E perchè noi no?" Chiese Annabeth e Percy scrollò le spalle. "Mi hanno requisito dal compito di inglese." "Mi hanno ingannata per seguirla." "Mi hanno trasportato contro la mia volontà." Disse Nico, facendo corrugare la fronte a Ade, che si voltò verso la moglie. "Hai preso mio figlio e mio nipote, cara?" Le chiese, sussurrando. Persefone annuì, il senso di colpa visibile sul viso. "Non avevo molta scelta al riguardo." Ade spalancò gli occhi quando si rese conto a cosa si riferisse. Lanciò uno sguardo a Zeus e Poseidone. I suoi fratelli non sarebbero stati per niente contenti.
"La  fila  che  sbucava  alla  destra  del  padiglione  del  giudizio  era  molto meglio.  Si  dirigeva  verso  una  valletta  circondata  da  mura:  una  sorta  di comunità  residenziale  privata  che  sembrava  essere  l'unico  angolo  felice degli  Inferi.  Oltre  la  porta  blindata  c'erano  quartieri  di  splendide  case  di ogni  epoca:  ville  romane,  castelli  medievali  e  tenute  vittoriane.  Fiori  d'oro e   d'argento   spuntavano   nei   prati.   L'erba   si  increspava   con  i  colori dell'arcobaleno.  Riuscivo  a sentire  il  suono  delle  risate  e  il profumo  del barbecue. L'Elisio. In  mezzo  alla  valle  c'era  uno  scintillante  laghetto  azzurro  con  tre  piccole isole  simili  a  un  villaggio  vacanze  alle  Bahamas.  Le  Isole  dei  Beati,  per coloro  che  avevano  scelto  di  nascere  tre  volte  e  per  tre  volte  si  erano meritati l'Elisio.  Capii  subito  che  quello  era  il  posto  in  cui  sarei  voluto andare  da  morto."
"Hai pensato a dove volevi andare da morto?" Gli chiese Silena e Percy la guardò. "Chi diavolo vorrebbe finire da qualsiasi altra parte? Ti svegli la mattina e dici: vorrei tanto finire nei Campi della pena?" Michael, Travis e Connor sbuffarono divertiti e Apollo chiese. "Mai pensato che avresti potuto non morire affatto?"
Percy e Jason si scambiarono uno sguardo. "No, non ci avevo pensato." Rispose il ragazzo, scuotendo la testa verso il cugino, rispondendo al dio. Zeus, Ade e Poseidone si domandarono da quanto tempo i due stessero tenendo questo segreto.
"— Ecco  la  morale  della  favola  —  disse  Annabeth,  come  se  mi  leggesse nel  pensiero.  — Quello  è  il  posto  destinato  agli  eroi."
"Morale molto breve." Disse Jason ed Hermes sospirò. "Cosa è questa storia della morale per voi mortali?" "Sarebbe il senso della storia. Beh, non tutti i mortali parlano solo perché amano sentire il suono della loro voce." Percy fissò Hermes, che lo guardò sorridendo. "Ma, cugino, la mia voce è così bella!" "Non alle due del mattino!" Rispose il ragazzo, facendo ridere Apollo, Efesto e Michael.
"Pensai  a  quanto  poche  fossero  le  persone  che  ci  abitavano,  a  quanto piccolo  fosse  l'Elisio  in  confronto  alle  Praterie  degli  Asfodeli  o  perfino  ai Campi  della  Pena.  Davvero  così  poche  persone  facevano  del  bene  nella propria  vita?  Era  deprimente."
"Lo è davvero." Annuì Hermes e Ade sospirò. "Molti delle Praterie sono quelli che temevano un giudizio sfavorevole e hanno semplicemente evitato." Percy annuì, pensando a Gabe.
"Lasciammo  il  padiglione  del  giudizio  e  ci  addentrammo  nelle  Praterie degli  Asfodeli.  Si  fece  più  buio.  I  colori  dei  nostri  vestiti  scomparvero.  Il brusio  degli  spiriti  alle nostre  spalle  si  affievolì. Dopo  qualche chilometro  a  piedi,  sentimmo  in  lontananza dei  versi striduli  e  familiari.  Un  palazzo  di  scintillante  ossidiana  nera  si  stagliava minaccioso  all'orizzonte.  Sopra  i  parapetti  volteggiavano  tre  creature  scure simili  a  pipistrelli:  le  Furie.  Ebbi  la  sensazione  che  ci  stessero  aspettando."
"Non vi avrebbero fermati. Al massimo, vi avrebbero portato più velocemente al mio palazzo." Disse loro Ade e Percy guardò Grover. "Meglio o peggio?" "Meglio, non devi nemmeno chiedere!"
"— Suppongo  che  sia  troppo  tardi  per  tornare  indietro  —  sospirò  Grover con una  punta  di  rimpianto.
— Andrà  tutto  bene. — Mi  sforzai  di  sembrare  sicuro.
— Forse  dovremmo  cercare  in  altri  posti,  prima  —  suggerì  lui.  —  Tipo, ehm,  l'Elisio,  per  esempio..."
"Perché la Folgore avrebbe dovuto essere nell'Elisio?" Domandò Leo e Percy rispose. "Non era nemmeno dove ci hanno mandati."
"— Coraggio, ragazzo-capra!  — Annabeth lo  prese  per  un braccio. Grover  gridò:  le  ali  delle  sue  scarpe  spuntarono  fuori  all'improvviso, spingendogli  le  gambe  in  avanti  e  strappandolo  da  Annabeth.  Atterrò  di schiena  in mezzo  all'erba.
— Grover  — lo rimproverò  Annabeth.  — Smettila.
— Ma io non...
Gridò  di  nuovo.  Le  scarpe  adesso  svolazzavano  senza  freni.  Si  levarono da  terra  e  lo  trascinarono  via.
— Maia!  —  protestò  lui,  ma  la  parola  magica  sembrava  non  avere  più effetto.  —  Maia,  ho detto!  Polizia!  Aiuto!"
"Polizia negli Inferi?" Chiese Will, corrugando la fronte. "Hanno anche lì la sorveglianza." Disse Percy e Talia alzò un sopracciglio. "E sarebbe stato preferibile a quello?" "Considerando dove mi stava trascinando, sì." Annuì Grover, rabbrividendo.
"Superato  lo  stupore,  cercai  di  agguantare  la  mano  di  Grover,  ma  era troppo  tardi.  Stava  prendendo  velocità,  slittando  giù  per  la  collina  come  un bob. Gli  corremmo  dietro  e  Annabeth  gli  suggerì:  — Slacciati  le  scarpe!
Geniale,  ma  immagino  che  non  sia  tanto  facile  quando  le  scarpe  in questione  ti  trascinano  mentre  tu  sei  in  posizione  orizzontale."
"Non lo è affatto." Scosse la testa Grover, rabbrividendo. Percy lo guardava preoccupato, e Hazel diede qualche pacca consolatoria sulle spalle del satiro.
"Grover cercava  di  raddrizzarsi,  ma  non riusciva  ad avvicinarsi  ai  lacci. Continuammo  a  stargli  dietro,  cercando  di  non  perderlo  di  vista  mentre zigzagava  fra  le  gambe  degli  spiriti  che  lo evitavano, infastiditi. Ero  sicuro che  Grover  avrebbe  imboccato  a  tutta  birra  le  porte  del palazzo   di   Ade,   ma   le   scarpe   sterzarono   bruscamente   a   destra, trascinandolo  nella  direzione  opposta. Il  pendio  si  fece  più  ripido  e  Grover  prese  velocità  mentre  Annabeth  e  io acceleravamo  per  stargli  dietro.  Le  pareti  della  caverna  si  fecero  più  strette e  capii  che  eravamo  entrati  in  una  specie  di  tunnel  laterale.  Non  c'erano più alberi  o erba  nera  ma  solo  roccia,  e  la  luce  fioca  delle  stalattiti  sul  soffitto.
— Grover!  —  gridai,  facendo  riecheggiare  la  mia  voce.  — Aggrappati  a qualcosa!
— A cosa?  — strillò  lui  di  rimando."
"Non c'erano appigli." Scosse la testa Grover e Percy annuì. "Una grande violazione dell'OISHA." "Percy, i greci non hanno l'OISHA." Sospirò Annabeth e Percy disse. "Dovrebbero. E se quello non è una violazione, sono sicuro che la mancanza di guardrail sulla passerella lo siano. Qualcuno precipiterà, prima o poi." Ade rise divertito, e Zeus disse. "La magia impedirebbe la caduta dall'Olimpo."
"Cercò  di  afferrare  la  ghiaia,  ma  non  c'era  niente  di  abbastanza  grosso  da rallentarlo. Il  tunnel  diventò  più  buio  e  freddo.  Mi  si  drizzarono  i  peli  sulle  braccia. Percepivo  l'odore  del  male,  che  mi  costrinse  a  pensare  a  cose  di  cui  non avrei  dovuto  nemmeno  conoscere  l'esistenza:  sangue  versato  su  un  antico altare,  il  fiato  immondo  di  un assassino. Poi  vidi  quello  che  avevamo  di  fronte  e  rimasi  di  stucco. Il  tunnel  si  apriva  su  un'enorme  caverna  buia,  solcata  nel  mezzo  da  una voragine  grande  quanto  un quartiere. Grover  stava  scivolando  dritto  filato  verso l'orlo  del  precipizio.
— Muoviti,  Percy!  — mi  esortò  Annabeth,  tirandomi  per  il  polso.
— Ma quello  è...
— Lo so!  — gridò.  —  Il  luogo  del  tuo  sogno!  Grover  ci  cadrà  dentro  se non  lo  fermiamo  in  tempo."
"Le ha maledette per farti cadere nel Tartaro." Sospirò Hermes, disperato. Percy lo guardò, dicendo. "Era stato Crono. Non penso che Luke sapesse cosa avrebbero dovuto fare esattamente." Hermes lo guardò con un minimo sorriso, grato che il cugino cercasse comunque di difendere il figlio o anche solo di consolarlo nonostante le azioni del figlio.
"Aveva  ragione,  naturalmente.  Il  guaio  in  cui si  trovava  Grover  mi  rimise  in  moto. Lui   stava   cercando   di   artigliarsi   al   terreno,   ma   le   scarpe   alate continuavano  a  trascinarlo  verso  il  baratro,  e  raggiungerlo  in  tempo  ormai sembrava  impossibile. Lo salvarono gli  zoccoli. Le  scarpe  volanti  gli  erano  sempre  state  un  po' grandi  e  alla  fine  Grover sbatté   contro  un  masso  e  la  scarpa  sinistra  si  staccò,  continuando  a sfrecciare   finché   non   si   tuffò   nella   voragine.  La  destra  continuò  a trascinarlo,   ma   aveva   perso   velocità.   Grover   riuscì   a   rallentare aggrappandosi  al  masso  e  usandolo come  un'ancora. Era  a  tre  metri  dall'orlo  del  precipizio  quando  riuscimmo  a  raggiungerlo e  a  trascinarlo  via  di  peso,  su  per  il  pendio.  L'altra  scarpa  volante  si  staccò da  sola,  svolazzandoci  attorno  indiavolata  e  riempiendoci  di  pedate  sulla testa   prima  di  tuffarsi  a  sua  volta  nella  voragine,  per  unirsi  alla  sua gemella."
"Vi ha presi a calci?" Chiese divertito Will e Percy annuì. "Scortese e basta." Grover lo fissò. "Perché cercare di ucciderti non lo è?" "Non particolarmente, no." Rispose Percy, dopo averci riflettuto.
"A  quel  punto  crollammo  tutti  e  tre,  esausti,  sulla  ghiaia  di  ossidiana.  Mi sentivo  il  corpo  di  piombo.  Perfino  lo  zaino  sembrava  più  pesante,  come  se qualcuno  l'avesse  riempito  di  pietre. Grover  era  ridotto  piuttosto  male.  Era  pieno  di  graffi  e  gli  sanguinavano le  mani.  Gli  occhi  avevano  le  pupille  assottigliate,  da  capra,  come succedeva  sempre  quando era  terrorizzato.
— Non so  come...  — ansimò.  — Io non...
— Aspetta  — lo  interruppi  io. — Ascolta."
"No, andatevene via." Disse Poseidone e Percy lo guardò. "Beh, troppo tardi per l'avvertimento."
"Sentivo  qualcosa,  un  sussurro  profondo  nell'oscurità.  Un'altra  manciata di  secondi  e  Annabeth disse:  — Percy,  questo  posto...
— Ssssh!  — Mi  alzai  in  piedi. Il   suono  si  stava  facendo  più  intenso:  era  una  voce  cantilenante  e maligna  che  saliva  dal  basso,  sotto  di  noi,  in  profondità.  Veniva  dal baratro. Grover  si  drizzò a  sedere.  — Co... cos'è  questo rumore?
Anche  Annabeth  lo  sentiva,  adesso."
"Perché Percy lo ha sentito prima di loro due?" Domandò Jason e Estia sorrise. "Percy è molto più forte di loro due." Jason annuì.
"Glielo  leggevo  negli  occhi. 
— Tartaro.  L'ingresso  del  Tartaro.
Tolsi  il  cappuccio  ad Anaklusmos. La  spada  di  bronzo  si  allungò,  scintillando nell'oscurità,  e  la  voce maligna  si  inceppò  per  un attimo,  per  poi  riprendere  la  sua cantilena. Riuscivo  quasi  a  distinguere  le  parole,  adesso,  parole  molto,  molto antiche, perfino  più del  greco. Come  se  fossero  parole  di...
— Magia  — dissi  ad alta  voce
— Dobbiamo  andarcene  di  qui  — incalzò  Annabeth."
"Ottima idea." Annuì Hermes e Michael annuì. "Sì, levatevi dal baratro spaventoso."
"Insieme,  rimettemmo  Grover  in  piedi  e  cominciammo  a  risalire  il  tunnel. Le  mie  gambe  si  rifiutavano  di  andare  in  fretta.  Il  peso  dello  zaino  mi rallentava.  Alle  nostre  spalle,  la  voce  si  fece  più  forte  e  rabbiosa,  così  ci mettemmo  a  correre. Appena  in  tempo. Una  gelida  raffica  di vento  cercò  di  risucchiarci,  come  se  l'intero  baratro stesse  inspirando  aria.  Per  un  attimo  terrificante  persi  terreno,  i  piedi  che scivolavano  sulla  ghiaia.  Se  fossimo  stati  appena  più  vicini  al  bordo,  ci avrebbe  inghiottito. Continuammo  ad  arrancare  e  finalmente  sbucammo  fuori  dal  tunnel, dove  la  caverna  si  apriva  sulle  Praterie  degli  Asfodeli.  Il  vento  si  placò.  Un gemito  di  stizza  riecheggiò  dalle  profondità  del  tunnel.  Qualcuno  non  era contento  della  nostra  fuga."
"Bene!" Annuì Percy e Talia lo guardò. "Come faceva a credere che saresti stato una buona arma per lui? Ti diverti a lanciare una chiave inglese nei suoi piani e mandarli a monte!" "Lo so, ho talento per quello!" Esclamò Percy, facendo ridere Nico.
"—  Ma  che  cos'era?  —  chiese  Grover  col  fiato  mozzo,  quando  ci accasciammo  al  riparo  di  un  boschetto  di  pioppi  neri.  —  Uno  degli animaletti  di  Ade?
Io   e   Annabeth   ci   scambiammo   uno   sguardo.   Capii   che   stava rimuginando  qualcosa,  probabilmente  la  stessa  idea  che  aveva  avuto  sul taxi  per  Los  Angeles.  Ma  era  troppo  spaventata  per  condividerla  con  noi,  e questo  bastò  a  terrorizzarmi. Rimisi  il  cappuccio  alla  spada  e  mi  infilai  come  al  solito  la  penna  in tasca. 
— Andiamo.  — Guardai  Grover.  — Ce  la  fai  a  camminare?
Lui  deglutì.  — Sicuro.  E  poi  non mi  erano mai  piaciute  quelle  scarpe.
Si  sforzava  di  sembrare  coraggioso,  ma  tremava  quanto  noi.  Qualunque cosa  ci  fosse  in  quel  baratro,  non  era  l'animaletto  di  nessuno.  Era  qualcosa di   antico   e  potente.   Nemmeno  Echidna  mi  aveva  trasmesso  quella sensazione.
"Ma no, nessun problema. Crono era nel baratro e la faccenda era chiusa." Scosse la testa Percy, e Zeus sospirò. "È stato un grave errore da parte mia." "Sì." Annuì Talia.
"Fu  quasi  un  sollievo  dare  le  spalle  al  tunnel  e  dirigersi  al palazzo  di  Ade. Quasi. Non potevo credere che volevano farmi chiedere allo zio la Folgore!
-Offerte.- dissi loro e Annabeth alzò gli occhi al cielo. -Se Ade non ha la Folgore, faremo le offerte.-
-Bene!"
"Io non ero per niente contenta di andare al palazzo." Disse Annabeth e Grover annuì. "Nemmeno io." "Meglio del Tartaro, dai." Disse Percy e Talia annuì. "Ha un punto."
"Le  Furie  volteggiavano  in  alto  sopra  i  parapetti,  nell'oscurità.   I   muri esterni  della  fortezza  scintillavano  di  nero  e  le  immense  porte  di  bronzo erano  spalancate. Avvicinandomi,  vidi  le  incisioni  che  le  decoravano:  rappresentavano tutte   scene  di  morte.  Alcune  erano  di  epoca  moderna  —  una  bomba atomica  che  esplodeva  sopra  una  città,  una  trincea  piena  di  soldati  con  le maschere  antigas,  una  fila  di  vittime  della  carestia  africana  con  le  scodelle vuote,  in  attesa  —  ma  tutte  sembravano  impresse  nel  bronzo  da  migliaia  di anni.  Mi  chiesi  se  non  stessi  guardando  delle  profezie  che  si  erano  già avverate. All'interno  del  cortile  c'era  il  giardino  più  bizzarro  che  avessi  mai  visto. Funghi   multicolori,   arbusti   velenosi   e   curiose   piante   luminescenti crescevano   senza   bisogno   di   luce.   Le   pietre   preziose   rimediavano all'assenza  di  fiori:  c'erano  mucchi  di  rubini  grandi  come  un  pugno,  cumuli di  diamanti  grezzi.  Sparse  qua  e  là,  come  gli  ospiti  congelati  di  una  festa, c'erano  le  statue  da  giardino  di  Medusa  —  bambini,  satiri  e  centauri pietrificati  — tutte  con un sorriso  grottesco  in  volto. Al  centro  del  giardino,  un  frutteto  di  melograni  con  i  fiori  arancioni  che brillavano  come  neon nell'oscurità.
— Il  giardino  di  Persefone  — spiegò Annabeth. — Non vi  fermate.
Capii  subito  perché  ci  avesse  messo  fretta.  Il  profumo  squisito  dei melograni   era   quasi   travolgente.
"Quello non è un giardino." Sbuffò Demetra e Persefone alzò gli occhi al cielo. "Ma è come piace a me, madre!" "Anche se le statue verranno subito eliminate." Disse Ade, e la moglie annuì.
"Tirai  via  Grover  per  impedirgli  di  afferrare  un grosso  frutto  succoso. Annabeth gli disse. -Vuoi rimanere qui per sempre?-
Grover si allontanò scottato e io dissi. -Se la metti così...-
Mi trascinarono via."
Percy alzò  le mani. "Stavo totalmente scherzando." "Meglio non rischiare con te." Disse Grover e Connor annuì. "Non dopo il tuo: mille motivi per cui Ade è il dio migliore in circolazione." Percy sorrise.
"Risalendo  la  scalinata  del  palazzo,  ci  addentrammo  nella  casa  di  Ade, superando  un  colonnato  e  un portico  di  marmo  nero.  Il  pavimento  dell'atrio era  di bronzo  levigato  e  sembrava  ribollire  alla  luce  riflessa  delle  torce.
Non  c'era  soffitto,  solo  il  tetto  della  caverna  in  lontananza.  Immagino  che laggiù  non dovessero  mai  preoccuparsi  della  pioggia. Accanto  a  ogni  porta  laterale  stava  uno  scheletro  di  sentinella,  vestito con   una  divisa   militare.   Alcuni   indossavano  l'armatura   greca,   altri l'uniforme  delle  giubbe  rosse  inglesi,  altri  ancora  la  mimetica con  la bandiera  a  stelle  e  strisce  lacerata  sulle  spalle.  Erano  armati  di  lance, moschetti  o  M16.  Nessuno  ci  disturbò,  ma  mentre  ci  dirigevamo  verso  le grandi  porte in  fondo  all'atrio  non  ci  staccarono  mai  le  orbite  vuote  di dosso. Due  scheletri  di marine  americani  erano  di  guardia  alle  porte.  Ci scrutarono  con  un  ghigno,  i lanciabombe  a  propulsione  portati  davanti  al petto.
— Scommetto  che  Ade  non  ha  problemi  con  i  venditori  porta  a  porta  — scherzò  Grover."
"No, solo semidei che non hanno il senso di autoconservazione." Ade fissò il nipote che scrollò le spalle. "Ti piaceva la compagnia, zio. E il mio aiuto!" "Lo facevo, vero. Soprattutto in estate." Poseidone trattenne la gelosia
"Il  mio  zaino  pesava  una  tonnellata,  adesso.  Non  riuscivo  a  capire  perché. Avevo  voglia  di  aprirlo  per  controllare  che  non  ci  fosse  finita  dentro  un palla  da  bowling  per  sbaglio.  Ma  non era  il  momento  giusto.
— Be', ragazzi  — dissi.  — Suppongo che  dovremmo...  bussare?
Un  vento  caldo  spazzò  il  corridoio  e  le  porte  si  spalancarono,  mentre  le guardie  si  fecero da  parte."
"Quello significa avanti." Disse Talia e Percy annuì. "Lo abbiamo ipotizzato anche noi."
"— Immagino  che  significhi  "avanti"  — commentò  Annabeth.
Dentro,  la  sala  era  identica  a  quella  del  mio  sogno,  solo  che  stavolta  il trono  di  Ade  era  occupato. Era  il  terzo  dio  che  incontravo  ma  era  il  primo  che  mi  colpiva  davvero per  il  suo  aspetto  divino."
"Come scusa?" Ares guardò  il ragazzo che lo fissò. "Pensi di essere più imponente dello zio?" Ares sobbalzò, andando indietro sul suo posto. "Avevo pensato anche io." Annuì Percy, facendo ridere Nico.
"Alto  almeno  tre  metri,  indossava  delle  vesti  di  seta  nera  e  una  corona d'oro  intrecciato.  La  pelle  era  di  un  pallore albino,  i  capelli  lunghi  fino  alle spalle  e  neri  come  la  pece.  Non  era  muscoloso  come  Ares,  ma  irradiava potere.   Era   adagiato   sul   suo   trono   di   ossa  umane   fuse,  flessuoso, aggraziato  e  pericoloso  come  una  pantera. Mi  sentii  subito  come  se  fosse  lui  ad  avere  il  comando.  Lui  ne  sapeva più  di  me.  Doveva  essere  il  mio  padrone. Poi  mi  dissi  di  piantarla. L'aura  di  Ade  mi  stava  condizionando,  proprio  come  aveva  fatto  quella di  Ares. O forse era solo l'adorazione che avevo da quando avevo iniziato a studiare i miti." 
"Ammettevi anche tu che avevi un'adorazione per lui." "Difficile non farlo." Disse Percy, fissando Annabeth. "Era l'aura o l'adorazione?" Si incuriosì Hermes "Entrambe, penso." Rispose Percy e Ade rise. "Probabilmente più la mia aura, nipote."
"Il  Signore  dei  Morti  somigliava  alle  immagini  che  avevo  visto  di Adolf   Hitler   o  Napoleone,  o  di  uno  di  quei  leader  terroristici  che guidavano  i  kamikaze.  Ade  aveva  gli  stessi  occhi  intensi,  lo  stesso  genere di  carisma  maligno,  ipnotizzante.
— Hai  del  coraggio  a  presentarti  qui,  figlio  di  Poseidone  —  esordì  con una  voce  melliflua.  —  Dopo  quello  che  mi  hai  fatto,  hai  davvero  del coraggio.  O  forse  sei  soltanto  molto  sciocco."
"Entrambe le cose." Disse Michael e Ade annuì. "Adesso lo so anche io."
"Una  sensazione  di  stordimento  mi  afferrò  le  membra,  instillandomi  la tentazione  di  stendermi  là  a  terra  e  fare  un  sonnellino  ai  piedi  di  Ade. Raggomitolarmi  e  dormire  per  sempre. Repressi  quella  sensazione  e  feci  un  passo avanti.  Sapevo  cosa  dovevo dire. Anche se non ero d'accordo.
— Divino zio,  sono venuto a  porgerle  due  richieste."
"Wow! Sei stato davvero educato!" Talia fissò Percy che disse. "Uno, lo zio è incredibile e non sarei mai stato offensivo con lui. Due, ero in casa sua, il minimo che potessi fare era essere rispettoso. Tre, lo stavo per incolpare di un furto che non aveva commesso." "Motivazioni solide." Annuì Silena, guardando con orgoglio il ragazzo. Poseidone era diviso tra il sollievo di vedere che il figlio era in effetti capace di essere rispettoso davanti agli dei e gelosia per il fatto che fosse verso il fratello, un dio che a quanto pareva aveva uno stretto rapporto con suo figlio, e non come quello che Hermes o Apollo sembravano avere.
"Lo zio  inarcò  un  sopracciglio.  Quando  si  sporse  in  avanti  sul  trono,  dei volti  indistinti  apparvero  nelle  pieghe  delle  sue  vesti  nere,  volti  tormentati, come  se  quegli  abiti  fossero  stati  cuciti  con  le  anime  dei  Campi  della  Pena che  cercavano  di  scappare.  La  mia  parte  iperattiva  si  chiese,  un  po'  a sproposito,  se  anche  il  resto  dei  suoi  vestiti  fosse  della  stessa  foggia.  Quali orrori  dovevi  compiere,  in vita,  per  finire  nelle  mutande  dello zio?"
"Non lo hai chiesto vero?" Domandò Charles e Ade scosse la testa. "Non me lo ha mai chiesto." "Sono stato bravo, vero?" "Trattenendo molte delle tue domande? Sì." Percy sorrise al dio, non rendendosi conto della rabbia del padre, che stava aumentando spinta dalla gelosia del dio.
"— Solo  due  richieste?  —  replicò  lo zio. —  Marmocchio  arrogante.  Come se  non  avessi  già  preso  abbastanza.  Parla,  dunque.  Per  il  momento  mi diverto  ancora  a  non fulminarti  subito."
"Finora non sta andando bene." Disse Talia e Percy la fissò. "No, grazie, Sherlock!"
"Deglutii. Cosa avevano i miei zii con il fulminarmi? Lanciai  un'occhiata  al  trono  più  piccolo  e  vuoto  accanto  a  quello  di  Ade. Era  a  forma  di  fiore  nero,  con  dorature  sui  bordi.  Avrei  voluto  che  la Regina  Persefone  fosse  lì.  Mi  sembrava  di  ricordare  dai  miti  che  fosse capace  di  placare  le  ire  del  marito.  Ed evitare di fulminare nipoti."
"Punto importante." Annuì  Michael e Percy concordò. 
"Annabeth  si  schiarì  la  voce.  Mi  incoraggiò  dandomi  dei  colpetti  col  dito sulla  schiena.
— Divino  Ade  —  cominciai.  —  Ascolti,  signore,  non  può  esserci  una guerra  fra  gli  dei.  Sarebbe... brutto.
— Molto  brutto  — aggiunse  Grover  per  sostenermi.
— Mi  consegni  la  Folgore  di  Zeus  —  continuai, pensando che ovviamente stavo perdendo tempo.  —  La  prego,  signore. Mi  permetta  di  riportarla  sull'Olimpo."
"Direi che sei stato super educato" Annuì Talia, colpita nel profondo, e Apollo mise il broncio. "Con me non fai così." "Lo zio non viene all'alba a parlare." Gli disse Percy, fissandolo arrabbiato.
"Gli  occhi  di  Ade  si  fecero  pericolosamente  accesi.  —  Osi  avanzare questa  pretesa,  dopo quello  che  hai  fatto?
Mi  voltai  a  guardare  i  miei  amici.  Sembravano  confusi quanto me.
— Ehm...  zio  — dissi.  —  Lei  continua  ad accusarmi.  Che  cos'avrei  fatto, di  preciso?"
"Domanda sensata. Non aveva idea di cosa stesse succedendo." Disse Hazel e Percy scrollò le spalle. "Impostazione di default oramai."
"La  sala  del  trono  tremò  così  forte  che  probabilmente  si  era  sentito  anche al  piano  di  sopra,  a  Los  Angeles.  Dal  soffitto  della  caverna  piovvero  dei detriti.  Tutte  le  porte  si  spalancarono  violentemente  e  centinaia  di  scheletri guerrieri  di  ogni  epoca  e  nazione  della  civiltà occidentale  si  riversarono nella  sala  del  trono,  schierandosi  lungo  le  pareti  e  bloccando  le  uscite. Ade  tuonò:  — Pensi  che  io voglia  la  guerra, piccolo  dio?
Avevo  voglia  di  rispondere:  "Be',  questi  tipi  non  sembrano  esattamente dei  pacifisti."  Ma  pensai  che  non fosse  una  mossa  molto  diplomatica. — Uhm... Una guerra estenderebbe il suo regno, no?"
"Gli scheletri erano esagerati." Disse Percy  e Ade annuì. "Me ne rendo conto anche io." "Volevi solo fare un effetto melodrammatico." Scosse la testa Era, guardando il fratello minore, che la fissò solamente. "Non so di cosa tu stia parlando, Era."
"— Tipico  dei  miei  fratelli!  Pensi  che  abbia  bisogno  di  altri  sudditi?  Non hai  visto  il disordine  che  c'è  nelle  Praterie  degli  Asfodeli?
— Be', sì...
—  Hai  la  minima  idea  di  quanto  si  sia  ingrandito  il  mio  regno solo nell'ultimo  secolo, di  quanti nuovi  padiglioni  io abbia  dovuto  aprire?
Aprii  la  bocca  per  rispondere,  ma  lo zio ormai  andava  a  ruota  libera. — Altri  demoni  di vigilanza  —  si  lamentò.  —  Ingorghi  al  padiglione  del giudizio.  Doppi  straordinari  per  il  personale. Una  volta  ero  un  dio  ricco, Percy  Jackson.  Ho  accesso  a  tutti  i  metalli  preziosi  del  sottosuolo. Ma quante  spese!"
"Serve una  mano, zio?" Domandò Hermes, ma Ade scosse la testa. "Ho tutto l'aiuto che mi serve." Percy gli sorrise.
"— Caronte  vuole  un  aumento  di  stipendio  —  aggiunsi,  ricordandomelo in  quell'istante. 
Ma  un attimo  dopo avrei  voluto  essermi  cucito  la  bocca.
— Non me ne parlare!  —  gridò  Ade.  — Caronte  è  diventato  impossibile da  quando  ha  scoperto  i  vestiti  firmati!  Ci  sono  problemi  ovunque  e  devo risolverli  tutti  io,  personalmente.  Solo  il  tempo  che  ci  metto  dal  mio palazzo  alla  porta  degli  Inferi  basta  a  farmi  impazzire! E  i  morti  continuano  ad  arrivare.  No,  piccolo  dio.  Non  mi  serve  aiuto  per avere  altri  sudditi!  Non l'ho  voluta  io  questa  guerra."
"Lo avevo totalmente detto." Scosse la testa Percy. Annabeth alzò gli occhi al cielo.
"— Non ho di certo preso io la Folgore di Zeus! —  La  terra  tremò  di  nuovo.  Lo zio  si  alzò  dal  trono  in  tutta la  sua  altezza,  svettando  come  il  palo  di  un  campo  di  football. Non sembrava il momento di dire ai due amici che avevo ragione. Lo avrei fatto più tardi. Se lo zio non ci avesse uccisi, almeno."
"E lo adoravi lo stesso?" "Ovvio." Annuì Percy e Talia alzò gli occhi al cielo.  
"—  Tuo padre  potrà  ingannare  Zeus,  ragazzino,  ma  io  non  sono  così  stupido. Capisco  il  suo piano.
— Il  suo  piano?
—  Sei  tu il ladro del  solstizio  d'inverno  —  mi  accusò.  —  Tuo  padre sperava  di  farti  restare  il  suo  piccolo  segreto.  Ti  ha  guidato  lui  nella  sala del  trono,  sull'Olimpo.  E  tu  hai  preso  la  Folgore  e  il  mio  elmo.  Se  non avessi  inviato  la  mia  Furia  a  stanarti  in  quella  scuola,  forse  Poseidone sarebbe  riuscito  a  nascondere  i  suoi  piani  di guerra.  Ma  ora  sei  stato costretto a   uscire  allo  scoperto.  Sarai  smascherato come  il  ladro  di Poseidone  e  io riavrò  il  mio  elmo!
—  Ma...  —  intervenne  Annabeth.  Intuivo  che  la  sua  mente  viaggiava alla  velocità  della  luce.  — Divino  Ade, davvero  è  sparito  anche  il  suo  elmo dell'oscurità?
— Non  fare  l'innocentina  con  me,  ragazzina.  Tu  e  il  satiro  avete  aiutato questo  eroe...  siete  venuti  fin  qui  a  minacciarmi  in  nome  di  Poseidone... siete   venuti   a  consegnarmi  un  ultimatum.  Poseidone  pensa  forse  di convincermi  a  schierarmi  dalla  sua  parte  con il  ricatto?
— No!  — obiettai.  —Non ho mai letteralmente visto quel tizio!"
Poseidone guardò il figlio che stava sospirando.
"—  Non  ho  detto  nulla  della  scomparsa  dell'elmo  —  ringhiò  Ade  — perché  non  mi  illudevo  di  trovare  qualcuno  disposto  a  offrirmi  la  minima giustizia,  il  minimo  aiuto,  sull'Olimpo.  Non  posso  permettere  che  si  venga a  sapere  che  la  mia  più  potente  arma  di  terrore  è  scomparsa.  Perciò  vi  ho cercato  con  le  mie  forze,  e  quando  è  stato  chiaro  che  stavate  venendo  da me  per  minacciarmi,  non ho cercato  di  fermarvi.
— Lei  non ha  cercato  di  fermarci?  Ma...
— Restituitemi  subito  l'elmo  o  fermerò  la  morte  —  concluse.  —  Ecco  la mia  controproposta.  Squarcerò  la  terra  e  riverserò  i  morti  nel  mondo. Trasformerò  le  vostre  città  in  un  incubo.  E  tu,  Percy  Jackson!  Il  tuo scheletro  guiderà  il  mio  esercito  fuori  dall'Ade."
"Una grande offerta." Annuì Travis e Percy annuì. "Vero. Ma sono stato costretto a rifiutare." "Sei venuto comunque a trovarmi." Gli disse Ade e Percy scrollò le spalle. "Sei il mio preferito, zio!" "Che bello." Hermes fece il broncio e Apollo disse. "Perché non io! Sono come il sole!" "Devi starmi a 300 mila chilometri e passa, e guardarti mi fa male agli occhi." Disse Percy, facendo ridere Nico e Artemide.
"Tutti  i  soldati-scheletro  fecero  un passo avanti,  spianando  le  armi. A questo  punto,  probabilmente  avrei  dovuto  essere  terrorizzato.  E  invece no:  strano,  ma  mi  sentivo  offeso.  Niente  mi  fa  infuriare  di  più  di  quando mi  accusano  di  qualcosa  che  non  ho  commesso.  E  avevo  un  sacco  di esperienza  al riguardo.
—  Lei  è  malvagio  come  Zeus  —  replicai, irritata.  —  Pensa  che  io  l'abbia derubata?  È  per  questo  che  mi  ha  scatenato  contro le  Furie?"
"Non è come Zeus." Disse Travis, guardando Percy che scosse la testa. "Non lo è, decisamente migliore."
"— Naturalmente  — rispose  Ade.
— E  gli  altri  mostri?
Ade  contrasse  le  labbra.  — Con loro  non ho  avuto niente  a  che  fare.  Non volevo  regalarti  una  morte  rapida,  volevo  che  ti  portassero  vivo  al  mio cospetto,  per  riservarti  tutte  le  torture  dei  Campi  della  Pena.  Perché  credi che  ti  abbia  lasciato  entrare  nel  mio  regno così  facilmente?
—  Facilmente!
— Restituiscimi  la  mia  proprietà!
— Ma io non ho il  suo  elmo! E nemmeno la  Folgore.
— Quella  è  già  nelle  tue  mani!  —  gridò  Ade.  —  Te  la  sei  portata  dietro fin  qui, piccolo sciocco,  pensando di  potermi  minacciare!
— Ma non è  vero!
— Apri  il  tuo zaino,  allora.
A  quel  punto  ebbi  un  orribile  presentimento.  Lo  zaino  che  pesava  come una  palla  da  bowling.  Impossibile... Me  lo  sfilai  dalle  spalle  e  tirai  la  zip.  Dentro  c'era  un  cilindro  metallico lungo  una  sessantina  di  centimetri,  con  le  estremità  appuntite,  ronzante  di energia.
— Percy  — fece  Annabeth. — Come...
— Non lo  so. Non capisco.
— Voi  eroi  siete  tutti  uguali  —  intervenne  Ade.  —  L'orgoglio  vi  rende sciocchi.  Pensare  di portare  un'arma  del  genere  al  mio  cospetto!  Non  ho mai  chiesto  la  Folgore  di  Zeus,  ma  dal momento  che  è  qui,  la  cederai  a  me. Sono  sicuro  che  sarà  un  ottimo  strumento  di  trattativa.  E  adesso...  il  mio elmo.  Dov'è?"
"Non potevi tenere la mia Folgore!" "Non mi interessava la tua Folgore!" Disse Ade e Poseidone annuì. Talia parlò. "Nessuno commenterà il fatto che Percy continuasse a reputare Ade il suo preferito nonostante volesse riservargli le torture dei Campi della Pena?" Tutti si fermarono, ripensando a quello che era appena stato letto. Poi spostarono lo sguardo su un Percy imbronciato. "Dovevi proprio farlo notare, eh?" "Senti, sei tu quello strano in questo caso." Gli fece notare Talia e Percy scrollò le spalle.
"Ero  senza  parole.  Non  avevo  nessun  elmo.  Non  avevo  idea  di  come  la Folgore  fosse  finita  nel  mio  zaino.  All'improvviso  il mondo  si  capovolse.  Capii  che  mi  avevano  usato.  Era  stato  qualcun  altro ad  aizzare  la  lite  fra  Zeus,  Poseidone  e  Ade.  La  Folgore  era  nel  mio  zaino  e io  avevo ricevuto  lo zaino  da...
— Divino Ade, aspetti  — dissi.  — È  tutto  un errore.
— Un errore?  — tuonò  Ade. Gli  scheletri  puntarono  le  loro  armi.  Dall'alto  si  udì  un  battito  di  ali  di pipistrello  e  le  tre  Furie  piombarono  giù,  appollaiandosi  sullo  schienale  del trono  del  loro  padrone.  Quella  con  la  faccia  della  Dodds  mi  rivolse  un ghigno,  facendo schioccare  la  frusta.
— Non  c'è  nessun  errore  — esclamò  Ade.  —  So  perché  sei  venuto... conosco  la  vera  ragione  per  cui  hai  portato  la  Folgore.  Sei  venuto  a scambiarla  con lei.
Ade  liberò  una  sfera  di  fuoco  dorato  dalla  mano.  Esplose  sui  gradini  di fronte  a  me  e  comparve  mia  madre,  immobilizzata  in  una  pioggia  d'oro, colta  nell'istante  in  cui  il  Minotauro  aveva  iniziato  a  strangolarla  a  morte. Non riuscivo  a  parlare.  Cercai  di  toccarla,  ma  la  luce  scottava  come  un falò."
Era, Demetra e Estia fissarono Ade. "Come hai potuto usare sua madre in questo modo?" Gli chiese Era e Ade sospirò. Percy disse. "Se non l'avesse presa, sarebbe stata uccisa dal Minotauro."
"— Sì  — disse  Ade  con  soddisfazione.  —  L'ho  presa  io.  Sapevo,  Percy Jackson,  che  saresti  venuto  a  contrattare  con  me, alla  fine.  Restituiscimi l'elmo  e  forse  la  lascerò  andare.  Non  è  morta,  sai.  Non  ancora.  Ma  se  non mi  accontenterai,  le  cose  cambieranno."
"E continui a minacciarla?" Era si infuriò. Afrodite scosse la testa. "Ho sentito da sempre l'amore che Percy ha verso sua madre. Come hai potuto fare una cosa del genere?"
"Pensai  alle  perle  che  avevo  in  tasca.  Forse  potevano  tirarmi  fuori  di  lì. Se  solo  fossi  riuscito a  liberare  mia  madre...
—  Ah,  le  perle  —  aggiunse  Ade,  e  mi  si  gelò  il  sangue.  —  Sì,  mio fratello  e  i  suoi  trucchetti.  Mostramele,  Percy Jackson.
La  mia  mano  si  mosse  contro  la  mia  volontà  e  tirai  fuori  le  perle.
—  Solo  tre  —  fece  Ade.  —  Che  peccato.  Ti  rendi  conto,  vero,  che ciascuna  di  esse  può  proteggere  una  sola  persona?  Prova  a  prendere  tua madre,  allora,  piccolo  dio.  E  quale  dei  tuoi  amici  lascerai  qui  a  trascorrere l'eternità  con  me?  Coraggio.  Scegli.  O  consegnami  lo  zaino  e  accetta  le mie  condizioni."
Ade disse agli sguardi infuriati che stava ricevendo. "Non potete prendervela con me. Poseidone avrebbe potuto mandare quattro perle."
Percy guardò il padre che non fece in tempo a distogliere lo sguardo. Il senso di colpa che vi lesse fece soffocare Percy. "Mi hai messo alla prova per la profezia. Ecco perché hai garantito per me." Poseidone sussultò ma Percy gli voltò le spalle prima che lui potesse parlare, accettando l'abbraccio che Talia gli offrì.
"Guardai  Annabeth e  Grover. Avevano la  faccia  cupa.
— Siamo  stati  ingannati  — dissi  loro. — Ci  hanno incastrato.
— Sì, ma  perché?  — chiese  Annabeth.  — E  quella  voce  nel  baratro...
— Ancora  non lo so — risposi.  — Ma  ho intenzione  di  chiederlo.
— Deciditi,  ragazzino!  — incalzò  Ade."
"Dagli più tempo!" "Pensavo avesse il mio elmo! Non sapevo che non lo aveva!" Si difese Ade da Demetra.
"—  Percy...  —  Grover  mi  mise  una  mano  sulla  spalla.  —  Non  puoi consegnargli  la  Folgore.
— Questo  lo so.
— Lasciami  qui  — si  offrì.  — Usa  la  terza  perla  per  tua  madre.
— No!
— Sono  un  satiro  —  insistette  Grover.  —  Non  abbiamo  un'anima  come gli   umani.  Può  torturarmi  a  morte,  ma  non  mi  avrà  per  sempre.  Mi reincarnerò  in  un fiore  o roba  del  genere.  È  la  cosa  migliore.
— No. — Annabeth  estrasse  il  suo  coltello  di  bronzo.  —  Voi  due  andate avanti.  Grover,  tu  devi  proteggere  Percy.  Devi  ottenere  la  tua  licenza  e andare  alla  ricerca  di  Pan.  Porta  sua  madre  fuori  di  qui.  Vi  copro  io.  Conto di  cadere  in battaglia.
— Neanche  per  idea  — protestò  Grover. — Resto  io.
— Riflettici,  ragazzo-capra  — disse  Annabeth.
— Piantatela!  —  Era  come  se  mi  stessero  strappando  il  cuore  in  due."
"Eri disposto  a restare negli Inferi?" Chiese Reyna, stupita. "Percy è mio amico. E dovevi vederlo parlare di sua madre." "E tu Annabeth?" Domandò Gwen, sorridendo alla figlia di Atena. "Se fossi stata nella sua posizione, so che Percy si sarebbe offerto per me."
"Ne avevamo  passate  così  tante,  insieme.  Ripensai  a  Grover  che  si  lanciava  in picchiata  su  Medusa  nel  giardino  delle  statue,  e  ad  Annabeth  che  ci salvava  da  Cerbero;  eravamo  sopravvissuti  al  Tunnel  dell'Amore  di  Efesto, all'arco  di  St  Louis,  al  Casinò  Lotus.  Per  tutta  la  strada  mi  ero  preoccupato del  tradimento  di  un  amico,  ma  quegli  amici  non  mi  avrebbero  mai  tradito. Non  avevano  fatto  altro  che  salvarmi,  in  continuazione,  e  adesso  erano pronti  a  sacrificare  la  propria  vita  per  mia  madre.
—  So  che  cosa  fare  —  conclusi.  —  Prendete  queste. 
Consegnai  una perla  ciascuno. Annabeth  disse:  — Ma, Percy...
Mi  voltai  a  guardare  mia  madre.  Avrei  voluto  disperatamente  sacrificare me  stesso  e  usare  l'ultima  perla  su  di  lei,  ma  sapevo  cosa  mi  avrebbe  detto. Non  me  lo  avrebbe  mai  permesso.  Dovevo  riportare  la  Folgore  sull'Olimpo e  dire  a  Zeus  la  verità.  Dovevo  fermare  la  guerra.  Non  mi  avrebbe  mai perdonato  se  avessi  scelto  di  salvare  lei. Ripensai  alla  profezia  ricevuta  alla  Collina  Mezzosangue,  quel  giorno che  adesso  sembrava  lontanissimo.  E  alla  fine  non  riuscirai  a  salvare  ciò che  più  conta.
— Mi dispiace  —  le  dissi.  —  Tornerò.  Troverò  un  modo."
"Deve essere stato difficile, fare un sacrificio del genere. Visto il tuo difetto fatale." Percy annuì verso Atena. "Avrei preferito morire in quel momento."
"L'espressione compiaciuta  sul  volto di  Ade  si  spense.
Disse:  — Piccolo  dio, cosa...?
— Troverò  il  suo  elmo,  zio  —  gli  dissi.  —  E  glielo  restituirò. Glielo giuro. Si  ricordi di  aumentare  lo stipendio  a  Caronte.
— Non sfidarmi...
—  E  dovrebbe  giocare  un  po'  con  Cerbero,  di  tanto  in  tanto.  Gli piacciono  le  palle  di  gomma  rosse.
— Percy  Jackson,  tu non..."
"Lo avrai sconvolto." Rise Apollo e Ade disse. "Non quanto ha fatto quando mi ha detto che mi avrebbe sempre garantito giustizia. Anche se non potevo trovarla tra i miei fratelli." Zeus, Poseidone, Demetra ed Era fissarono Percy ed Estia gli sorrise. "Avevo detto che vi sareste trovati bene insieme."
"Gridai:  — Ora, ragazzi!
Infrangemmo  le  perle  ai  nostri  piedi.  Per  un  attimo  spaventoso,  non successe  nulla. Ade  ordinò:  — Distruggeteli!
L'esercito  di  scheletri  si  precipitò  in  avanti,  le  spade  sguainate,  i  colpi  in canna. Le  Furie  si  tuffarono  verso di  noi,  le  fruste  che  si  infuocavano. Nell'istante  in  cui  gli  scheletri  aprirono  il  fuoco,  i  frammenti  di  perla  ai miei  piedi  esplosero  in  uno  scoppio  di  luce  verde,  liberando  un  soffio  di fresca  brezza  marina.  Una  candida  sfera  lattiginosa  mi  inghiottì  e  si  staccò da  terra,  leggera. Annabeth  e  Grover  erano  alle  mie  spalle.  Lance  e  proiettili  scintillavano innocui  sulle  nostre  bolle  perlacee  mentre  fluttuavamo  verso  l'alto.  Ade gridò  con  una  tale  rabbia  che  l'intera  fortezza  tremò,  e  capii  che  Los Angeles  non avrebbe  avuto una  notte  tranquilla.
— Guardate  su!  — gridò Grover. — Stiamo  per  schiantarci!
Alzai  lo  sguardo  e  vidi  che  stavamo  salendo  a  tutta  birra  verso  le stalattiti:  rischiavamo  di  finire  infilzati  allo  scoppio delle  bolle.
— Come  si  fa  a  controllare  questi  affari?  — chiese  Annabeth."
"Non si può." Disse Tritone ed Anfitrite annuì. "Non puoi controllare niente che sia del mare." "Ma a quanto pare lo puoi manipolare." Disse Percy, amaramente, dando uno sguardo al padre, che aveva il capo chino.
"—  Non  credo  che  sia  possibile!  —  risposi. 
Quando  le  perle  si schiantarono  sul  soffitto,  strillammo  a  squarciagola,  poi... il  buio.
Eravamo  morti?
No,   avvertivo   ancora  la  sensazione  della  corsa.  Stavamo  salendo, attraversando  la  roccia  massiccia  come  una  bolla  d'aria  nell'acqua.  Dunque era  questo il  potere  delle  perle...
"Ciò che  appartiene  al  mare,  al  mare  farà  sempre  ritorno."
Per  qualche  momento,  non  riuscii  a  vedere  nulla  al  di  fuori  delle  pareti levigate  della  mia  sfera,  poi  la  mia  perla  sbucò  sul  fondo  dell'oceano.  Le altre  due  sfere  lattiginose,  Annabeth  e  Grover,  tennero  il  passo  con  la  mia mentre  ci  libravamo  verso  l'alto  nell'acqua. 
Finché...  blam!
Esplodemmo  in  superficie,  nel  bel  mezzo  della  baia  di  Santa  Monica, buttando  giù  un tizio  dal  surf  e  beccandoci  un indignato:  — Ehi, bello!"
"Povero surfista." Rise Connor e Travis annuì. "Lui si stava solo facendo gli affari propri ed è stato buttato nel mare."
"Afferrai  Grover  e  lo  trascinai  fino  a  un  salvagente,  poi  presi  Annabeth  e aiutai  anche  lei.  Uno  squalo  curioso  prese  a  girarci  attorno,  un  bestione bianco  lungo oltre  tre  metri.
— Smamma!  — gli  dissi. 
Lo squalo  si  girò e  filò  via. Il  surfista  biascicò  qualcosa  a  proposito  di  certi  funghi  andati  a  male  e schizzò  via  nuotando  sulla  sua  tavola."
"Scelta saggia." Annuì Connor e Travis concordo. "Quando c'è Percy coinvolto, è meglio filarsela." "Siete cattivi con me." Disse loro Percy e i due sorrisero.
"In  qualche  modo,  sapevo  che  ora  fosse:  era  il  primo  mattino  del  ventun giugno,  il  giorno del  solstizio  d'estate."
"Nel mare ha un fantastico orientamento. Spaziale e temporale." Sorrise Grover e Percy annuì. "Vero. Utile, anche se mi sento un GPS" I semidei risero.
"In  lontananza  si  vedeva  Los  Angeles  in  fiamme,  con i  pennacchi  di  fumo che  si  levavano  da  tutti  i  quartieri  della  città.  E  va  bene,  c'era  stato  un terremoto  ed  era  stata  colpa  di  Ade.  Probabilmente  mi  stava  inviando contro  un esercito  di  morti  perfino  in  quello stesso  istante. Ma in quel  momento,  gli  Inferi  non erano il  mio  problema  più  grosso. Dovevo  arrivare  sulla  costa.  Dovevo  riportare  la  Folgore  di  Zeus sull'Olimpo.  Ma,  soprattutto,  dovevo  fare  una  seria  chiacchierata  con  il  dio che  mi  aveva  ingannato."
"Non puoi aver sconfitto Ares." Scosse la testa Atena e Michael rise. "Non ti ha mai sconfitto perchè non l'hai sfidato." "É un bambino sciocco." "Non è nessuna delle due cose! É più saggio di molti dei tuoi figli, e anche di te!" Esclamò Talia e Nico annuì. "Dimostrazione: non crea nemici per i suoi parenti. Li elimina, non li aggiunge." Atena arrossì, ma Percy si era alzato e aveva lasciato la stanza.
Poseidone, spinto da uno sguardo del fratello maggiore, la seguì.
"Percy..." "Vattene. Non voglio parlare con te." "Percy... Non..."
Percy si girò, fissando il padre. "Mi sono fatto convincere dalle parole dello zio e della zia. Ma forse dovevo ascoltare Annabeth e Talia: a voi non importa dei vostri figli." "Percy..."
Il semidio si era avvicinato al padre, gli occhi privi di rabbia, ma anche dell'affetto che solitamente il dio vedeva, facendolo gelare. "Mi hai preso in considerazione quando ti serviva e certo, non mi hai fatto uccidere perchè tanto noi semidei siamo utili solo per capire quanto è potente il genitore divino. Annabeth è intelligente e ha fatto cose che nessun altro ha mai fatto, e il merito è di Atena. Ercole? Merito di Zeus, è suo padre. Siamo utili solo per paragonare voi dei e i vostri poteri e talenti!"
Poi scosse la testa. "Luke non aveva tutti i torti. Siamo giocattoli per voi."
Prima di rientrare, Percy disse. "Potevi non votare per risparmiarmi la vita. L'unico motivo per cui ho accettato era evitare di far morire Nico." "Percy, aspetta un attimo."
Poseidone si mise davanti al figlio. "Sì, volevo essere sicuro che avresti saputo compiere il sacrificio. Ma conoscevo la profezia e sapevo che tua madre sarebbe stata al sicuro. Ade non le avrebbe mai fatto del male, è più qualcosa che Zeus farebbe. Sei mio figlio, e ti amo. Ti amavo quando prendevi a pugni i ragazzi più grandi di te per difendere un amico, quando hai offerto la cabina a Nico, anche se non era mio figlio. Mi è dispiaciuto che ti sentissi più in sintonia con Ade che con me. Lo hai chiamato con un messaggio Iride, mentre con me non avevi il coraggio di fare nessuna chiamata." Percy allontanò lo sguardo, non volendo guardare gli occhi del padre. "Non hai detto niente ad Era." "Non sapevo del piano di Era. Quando l'ho scoperto... Zeus ha dovuto proteggere Era pesantemente per evitare la sua scomparsa prematura."
Percy guardò il padre. "E di mamma non ti importava?" "Avrei condotto le trattative con mio fratello subito. Ma non ero a conoscenza del furto del suo elmo, o avrei fornito quattro perle. Nonostante la profezia."
Percy annuì.
"Per favore, credimi." "Non ne sono sicuro. Però, va bene. Andiamo dentro, manca poco alla fine del libro, penso."
"Un momento... Dopo che hai affrontato la Chimera... I tuoi pensieri..." "Per dodici anni della mia vita ho avuto solo mia mamma. Io... Non pensavo valesse la pena vivere dopo averla persa due volte." "Mi dispiace. Non avrei dovuto mandare lei, ma... Ho pensato che saresti stato più ben disposto verso qualcuno di vagamente familiare." "Forse l'ho fatto. Ma... Ha fatto male comunque." "Mi dispiace.. Ti direi che farò più attenzione la prossima volta, ma spero di non trovarmi mai nella condizione." "Nemmeno io. Dai torniamo dentro, papà."
I due rientrarono nella stanza proprio mentre Leo si preparava a leggere. "Ci siete?"
Percy si era riseduto tra i cugini, venendo subito stretto da Talia in un feroce abbraccio. "Sicuro, Super Hot Leo. Leggi!" "Super Hot Leo?" Chiese Clarisse, fissando Leo. Hazel rise. "Perchè io e Percy siamo Team Leo." Leo rise, aprendo il libro alla pagina giusta e iniziando a leggere.

Angolo autrice
Alla prossima
By rowhiteblack

THE FATES' QUEST: READING PERCY JACKSONDove le storie prendono vita. Scoprilo ora