"È buffo come gli umani riescano a farsi una ragione delle cose adattandole alla loro versione di realtà. Chirone me lo aveva detto, tanto tempo prima. Come al solito, apprezzavo la sua saggezza solo a scoppio ritardato."
"Te lo avevo detto." Scosse la testa Chirone. Hermes rise. "Quando l'ho detto io, te la sei presa." "Detto da te, includeva anche me. Detto da me, escludeva tutti i semidei." "Ha senso!" Annuì Talia.
"Secondo i notiziari di Los Angeles, l'esplosione sulla spiaggia di Santa Monica era stata causata da un folle che aveva fatto fuoco su un'auto della polizia, colpendo accidentalmente un condotto del gas che si era danneggiato durante il terremoto. Il folle (alias Ares) era lo stesso uomo che aveva rapito me e altri due ragazzi a New York, portandoci poi a spasso per tutta la nazione durante dieci giorni di odissea del terrore. La povera piccola Percy Jackson non era un criminale internazionale, dopotutto."
"Nah, lo sei totalmente." Rise Rachel e Piper rise. "Papà ha detto che avrebbero dovuto prenderti nel mondo del teatro e delo spettacolo. Ha detto: con degli occhi come quelli, farebbe successo!" "Lo farebbe davvero!" Lo guardarono tutti. "No. Non ho nessun campo dove stare tranquillo, non mi renderete impossibile vivere anche nel mondo mortale."
"Aveva causato i disordini su quell'autobus del New Jersey cercando di scappare dal suo aguzzino (in seguito, dei testimoni avrebbero giurato di aver visto l'uomo vestito di pelle sull'autobus: "Perché non me lo sono ricordato prima?"). Era stato il folle a causare l'esplosione sull'arco di St Louis. Dopotutto, un ragazzino non ci sarebbe mai riuscita. Una sollecita cameriera di Denver aveva visto l'uomo minacciare le vittime fuori dal suo ristorante, aveva fatto scattare una foto a un amico e poi aveva informato la polizia. Alla fine, il coraggioso Percy Jackson (il ragazzo cominciava a piacermi) aveva sottratto una pistola al suo aguzzino a Los Angeles e si era battuta con lui in un duello sulla spiaggia. La polizia era arrivata appena in tempo. Ma nella spettacolare esplosione, cinque autopattuglie erano rimaste distrutte e il rapitore era fuggito. Non c'erano stati feriti. Percy Jackson e i suoi due amici erano sani e salvi sotto la custodia della polizia."
"Fondamentalmente, è quello che è successo." Disse Talia e Nico annuì. "Solo che non scappavate da un mortale, ma da mostri e dei." "Vi sembro folle se dico che preferisco i mostri?" Chiese Percy e i due annuirono, "Lo sembri sempre, però." Disse Jason.
"Furono i giornalisti a fornirci tutta la storia. Noi ci limitammo ad annuire, a sembrare piagnucolosi ed esausti (non fu difficile) e a recitare la parte delle vittime davanti alle telecamere.
— Voglio soltanto — dissi, soffocando le lacrime — rivedere il mio amato patrigno."
"Come puoi anche solo dirlo?" Afrodite si arrabbiò, Artemide digrignò i denti. "Dopo quello che ha fatto?" Apollo disse. "Perchè non fate continuare la ragazza?" Hermes annuì. "Percy non sembra il tipo da apprezzare quell'uomo o essere gentile con lui."
"Ogni volta che lo vedevo in tv e sentivo che mi chiamava "piccolo delinquente", sapevo... in qualche modo... che le cose si sarebbero aggiustate. E so che vorrà ricompensare ogni singola persona di questa meravigliosa città con un elettrodomestico del suo negozio in omaggio. Ecco il numero di telefono... "
Fissarono tutti Percy. "Che c'è?" "Quello è geniale!" Rise Hermes "Oltre il geniale!" Annuì Apollo, un sorriso colpito sul viso.
"Poliziotti e giornalisti erano così commossi che fecero una colletta, procurandoci tre biglietti sul primo volo per New York.
Grover sospirò. - Siamo in un film. -
- Nei film abbiamo la colonna sonora.- dissi."
"Colpa di Grover!" Annuirono tutti i semidei che avevano fatto almeno una missione con Percy.
"Sapevo che l'aereo era la mia unica possibilità e mi auguravo che Zeus mi desse un po' di tregua, date le circostanze. Ma non fu facile salire a bordo. Il decollo fu un incubo. Ogni minima turbolenza era più spaventosa di un mostro greco. Non staccai le mani dai braccioli finché non atterrammo sani e salvi all'aeroporto La Guardia. Nel mentre, avevo canticchiato 'Thunder' degli Imagine Dragons facendo impazzire Annabeth e Grover."
"Potevo urlare e dire che saremmo morti tutti, ma ho pensato che avrei potuto spaventare i bambini presenti." Disse Percy e Zeus sospirò. "Non mi ero immaginato la voce, allora." "Scusa, zio, ma incolpa Grover. Lui ha detto che voleva la colonna sonora." "Non l'ho detto!" "Lo hai sottinteso!"
"La stampa locale ci aspettava fuori dalla dogana, ma riuscimmo a evitarla grazie ad Annabeth, che con il berretto invisibile in testa depistò i giornalisti gridando: "Sono laggiù, alla yogurteria! Svelti!", per poi raggiungerci al ritiro bagagli. Ci separammo al posteggio dei taxi. Dissi ad Annabeth e Grover di tornare alla Collina Mezzosangue per riferire a Chirone quello che era successo. Protestarono, e fu dura lasciarli andare dopo tutto quello che avevamo passato insieme, ma sapevo che dovevo compiere l'ultima parte dell'impresa da solo. Se le cose fossero andate male, se gli dei non mi avessero creduto... volevo che Annabeth e Grover restassero vivi per raccontare a Chirone la verità."
"Piuttosto pessimista." Rise Leo e Percy alzò gli occhi al cielo. "Perchè fino a quel momento era andata così bene con gli altri dei, vero?" "In effetti."
"Saltai su un taxi e partii in direzione di Manhattan. Trenta minuti dopo, entravo nell'atrio dell'Empire State Building. Con i vestiti laceri e la faccia scorticata, dovevo proprio somigliare a un vagabondo. Non dormivo da almeno ventiquattro ore. Mi avvicinai alla reception e dissi: — Seicentesimo piano.
Il portiere stava leggendo un grosso libro con l'immagine di un mago sulla copertina. Io non andavo particolarmente matto per il fantasy, ma doveva essere un buon libro, perché il tipo ci mise un po' per sollevare lo sguardo.
— Non esiste un piano del genere, giovanotto
— Ho bisogno di un'udienza con Zeus.
Mi elargì un sorriso vacuo. — Come hai detto, prego?
— Mi ha sentito.
Stavo per stabilire che il portiere era solo un mortale e che avrei fatto meglio a darmela a gambe prima che chiamasse il manicomio, quando lui rispose: — Ci vuole un appuntamento, bambino. Il Divino Zeus non riceve nessuno senza preavviso."
"Non lo stavano aspettando?" Domandò Atena e Zeus annuì. "Avevo espressamente detto di lasciarlo salire se fosse apparso." Percy scrollò le spalle. "Fa ancora finta di non conoscere nessuno di noi, quindi." "É come se non andassimo praticamente ogni volta." Si lamentò Annabeth "Percy ci è andato.. Due volte con l'ascensore?" Domandò Talia e Percy scrollò le spalle. "Yep." "Non vai al solstizio?" Chiese Leo e lui scosse la testa. "No. L'inverno lo passo con mia mamma." "Hai fatto un accordo opposto rispetto a quello suo?" Talia indicò Persefone. "No, non passo l'estate con un marito o amante. Quindi no." "Michael non era il tuo ragazzo?" "No!" Disse Percy e Michael disse. "Sembri piuttosto insultato da quello." "Lo sono."
"— Oh, io credo che farà un'eccezione. — Mi sfilai lo zaino dalle spalle e tirai la zip. La guardia sbirciò dentro e per qualche secondo osservò il cilindro metallico senza capire cosa fosse.
Poi impallidì. — Questa non è...
— Sì invece — garantii. — Vuole che la tiri fuori?"
"Credo che non voglia." Disse Talia, divertita.
"— No! No! — Scese scompostamente dalla sedia, frugò sul bancone alla ricerca di una scheda d'accesso e me la consegnò. — Inserisci questa nella serratura elettronica. Assicurati che non ci sia nessun altro in ascensore."
"Come avevo detto." Rise Talia e Hazel disse. "Nessuno avrebbe voluto che lo tirasse fuori." "In effetti. Era una scommessa vinta in partenza." Disse Jason.
"Seguii le sue istruzioni. Non appena le porte dell'ascensore si chiusero, infilai la scheda nella serratura. Un attimo dopo scomparve e sulla console apparve un nuovo pulsante, di colore rosso, con su scritto "600". Lo premetti e mi misi in attesa. Si diffuse una musica di sottofondo. "Raindrops keep falling on my head. " Poi finalmente: ding. Le porte scorrevoli si aprirono. Uscii e quasi mi prese un colpo. Mi trovavo su uno stretto vialetto di pietra sospeso in aria. Oh, un'altra violazione dell'OISHA. Sotto di me c'era Manhattan, vista dall'altezza di un aeroplano. Di fronte, una candida scalinata di marmo si attorcigliava attorno a una nuvola, librandosi verso il cielo. La seguii con lo sguardo fino in cima, e il mio cervello si rifiutò di accettare quello che gli occhi gli mostravano. "Guardate meglio" ordinò il mio cervello. "Lo stiamo facendo" insistettero gli occhi. "È davvero lì." Sopra le nuvole si ergeva il picco decapitato di una montagna, con la sommità coperta di neve. Abbarbicate lungo i versanti c'erano dozzine di eleganti palazzi — una città di ville — tutti provvisti di portici e colonnati bianchi, terrazzi dorati e bracieri di bronzo che scintillavano di migliaia di fuochi. Le strade si arrampicavano con un tragitto folle e tortuoso fino in cima, dove il palazzo più grande di tutti brillava sullo sfondo candido della neve. Qua e là, appollaiati precariamente, spuntavano giardini rigogliosi di ulivi e cespugli di rose. Riuscivo a distinguere un mercato pieno di tende colorate, un anfiteatro di pietra incastonato su un fianco della montagna, un ippodromo e un colosseo eretti su quello opposto. Era una città dell'Antica Grecia, solo che non era in rovina. Era nuova di zecca e piena di vita, come doveva essere Atene duemilacinquecento anni fa. "Questo posto non può essere qui" mi dissi. La cima di una montagna sospesa sopra il centro di New York come un gigantesco asteroide? Com'era possibile che una cosa del genere fosse ancorata sopra l'Empire State Building, esposta allo sguardo di milioni di persone, e non l'avesse notata nessuno? Ma era là. E io ero là. "
"La musica dell'ascensore fa schifo." Disse Talia e Apollo mise il broncio. "La scegli tu?!" Chiese Percy e Apollo annuì. "Hai dei gusti orrendi." "Ehy!" "Puoi aiutarlo a sceglierne altre." Propose Hermes ed Apollo sorrise al cugino. "Oppure posso scegliere con Talia e basta." "No, lo facciamo io e te! Nelle pause pranzo!" "Che bello. Passo a sentire i miei pensieri letti davanti a tutti a passare del tempo con te. Io non farei più pause pranzo." Propose Percy, e Chirone rise.
"Il mio viaggio attraverso l'Olimpo fu come un sogno. Ninfe dei boschi mi lanciarono olive dai loro giardini, in un coro di risatine. Gli ambulanti del mercato mi offrirono le loro mercanzie: lecca lecca all'ambrosia, uno scudo nuovo e una copia originale del Vello D'Oro, scintillante di Strass, "come quello visto alla Efesto-tv". Le nove muse accordavano i loro strumenti per un concerto nel parco, circondate da un capannello di spettatori: satiri, Naiadi e un gruppetto di bei ragazzi, forse delle divinità minori. Nessuno sembrava turbato per l'imminente guerra civile. In effetti, sembravano tutti allegri, come per un giorno di festa. Molti si voltarono a guardarmi, parlottando fra loro. Iniziai a inerpicarmi su per la strada principale, verso il grande palazzo che si ergeva sulla vetta del monte: una copia inversa del palazzo degli Inferi. Mentre laggiù dominavano il nero e il bronzo, qui tutto scintillava d'argento e di bianco. Capii che Ade aveva costruito il suo palazzo sulla falsariga di quello. Non era il benvenuto sull'Olimpo, tranne che nel solstizio d'inverno, perciò si era costruito il suo Olimpo personale negli Inferi. Non lo volevano nella sua casa, e se n'era costruita una lui stesso."
"Non erano preoccupati per la guerra?" Chiese Annabeth, confusa. Poseidone disse. "Tutti gli dei sapevano che Percy stava arrivando con la Folgore. Non avevano ragione di temere, una guerra." Zeus annuì e Percy fece una smorfia. "Oh, ecco." "É vero?" Chiese Era al fratello Ade strinse le labbra. "Ovviamente. L'Olimpo era un posto che avevo salvato e aiutato a costruire anche io, sorella." Era sembrò turbata, così come Zeus, Poseidone e Demetra. Estia sorrise. "Ma anche gli Inferi adesso ti piacciono, vero?" "Ho qualcuno che non se ne va via se non per missioni e scuola." "Mi hai dato un modo per venire, zio. Sono sicuro che ti faccia piacere che sia sempre lì. E la mamma è contenta." "Motivo per cui viene. Non lo spaventa Crono, titani o giganti, ma di sua madre ha il terrore." Rise Nico. "Come è giusto." Annuì Percy, dicendo. "Non hai mai visto mia madre arrabbiata."
"L'ultima scalinata terminava su un cortile interno. Superato questo, ero nella sala del trono. Ma "sala" non era la parola giusta. In confronto a quel posto, la stazione centrale di New York sembrava lo stanzino delle scope. Massicce colonne si levavano fino a un soffitto a volta, ornato di costellazioni dorate in movimento. Dodici troni, concepiti per esseri delle dimensioni di Ade, erano disposti come una U capovolta, proprio come le capanne del Campo Mezzosangue. Un fuoco enorme crepitava nel braciere centrale. I troni erano vuoti, tranne per i due posti all'estremità: il trono principale a destra e quello immediatamente alla sua sinistra. Non ebbi bisogno di presentazioni per sapere chi fossero gli dei che li occupavano e che mi stavano aspettando."
"Dubito che li avresti ricevute." Rise Leo e Percy sbuffò divertito.
"Mi avvicinai con le gambe tremanti. Gli dei erano giganti, come lo zio, ma quasi non riuscivo a guardarli senza avvertire una specie di formicolio per tutto il corpo, come se stessi per prendere fuoco. Zeus, il Padre degli Dei, indossava un completo gessato blu scuro. Era seduto su un semplice trono di platino massiccio. Aveva una barba curata, percorsa da striature grigie e nere come una nuvola temporalesca. Il volto era fiero, bello e cupo, gli occhi di un grigio carico di pioggia. Quando gli arrivai più vicino, ci fu un crepitio nell'aria e avvertii l'odore dell'ozono."
Talia fischiò. "Bella descrizione." "Vedi? Avevo detto, nessun problema."
"Il dio seduto al suo fianco era senza dubbio suo fratello, ma era vestito in modo molto diverso. Mi ricordava un tipico turista della Florida. Indossava dei sandali di cuoio, un paio di bermuda color kaki e una camicia hawaiana straripante di pappagallini e noci di cocco. La pelle era abbronzatissima e le mani erano scorticate come quelle di un vecchio pescatore. Aveva i capelli neri, come i miei. Sul volto c'era la stessa espressione ombrosa che mi aveva sempre fatta bollare come una ribelle. Ma gli occhi, verde mare come i miei, erano circondati da piccole rughe d'espressione scavate dal sole, e capii che sorrideva spesso. Il trono era una sorta di sedia per la pesca d'altura. Era di quelle semplici, girevoli, con la seduta di pelle nera e una fondina incorporata per la canna da pesca. Invece di una canna, però, la fondina custodiva un tridente di bronzo, con le punte scintillanti di luce verde."
Poseidone sorrise. "É una bella descrizione." Percy fece una smorfia. "Non ci sono pensieri molto belli, dopo. Mi scuso in anticipo." Poseidone sospirò. Sapeva a cosa alludeva il ragazzo.
"Gli dei erano immobili e muti, ma si avvertiva una tensione nell'aria, come se avessero appena concluso una discussione."
"Non lo fanno sempre?" Demetra sospirò. Era annuì, guardando i semidei. "Siate grati che non dovete assistere a delle litigate stupide come le loro." Gli occhi di tutti si posarono su Percy e Talia. "Non so perchè ci stiate fissando." "Nessuna nostra discussione è stupida." "Avete discusso su una sedia." "Quella era la mia sedia." Disse Percy e Talia lo guardò. "Non è vero, potevo sedermi anche io lì!" "No, non potevi, e infatti non lo hai fatto." "Anche Percy e Jason hanno litigato per una sedia. Almeno finchè Percy non è tornato da... lì, e Jason non ha messo in dubbio la sedia." "Era il posto." Alzò gli occhi al cielo Annabeth e Leo rise. "La cose divertente è che si è seduto Percy comunque. Dicendo poi 'prova a buttarmi giù, dai'" Percy sorrise.
"Mi avvicinai al trono del pescatore e mi inginocchiai ai suoi piedi.
— Padre. —
Non osai alzare lo sguardo. Avevo il cuore a mille. Percepivo l'energia emanata da entrambi. Ero certo che se avessi detto la cosa sbagliata, avrebbero potuto incenerirmi sul posto."
"Non lo avremmo fatto per una frase sbagliata." Scosse la testa Zeus e Percy emise un suono dubbioso.
"Alla mia sinistra, Zeus parlò: — Non dovresti rivolgerti prima al padrone di casa, ragazzo?
Tenni la testa china e aspettai."
"Scelta saggia." Annuì Talia e Apollo approvò. "Meglio non rischiare inutilmente."
"— Pace, fratello — disse finalmente Poseidone.
La sua voce risvegliò subito i miei primi ricordi: quel bagliore caldo che avevo sentito da bambino, la sensazione della sua mano divina sulla fronte.
—Il ragazzo mostra deferenza a suo padre. Come è giusto che sia.
— Insisti a riconoscerlo, dunque? — chiese Zeus, minaccioso. — Riconosci questo figlio che hai generato rompendo la nostra sacra promessa?
— Ho già ammesso la mia infrazione — rispose Poseidone. — Ora vorrei sentirlo parlare."
"Ahia." Anfitrite rabbrividì, mentre Tritone faceva una smorfia.
"Dannazione, sei stato peggio di me. E ho minacciato di ucciderlo." Disse Ade, guardando il fratello che emise un sospiro.
"Un'infrazione. Mi salì un groppo in gola. Tutto qui? Ero soltanto questo: un'infrazione? Il risultato dell'errore di un dio?"
"Oh, Percy. Non intendevo così. Non volevo rischiare la tua vita per un favore dimostrato nei tuoi confronti." Percy annuì. Leggere questi libri stava riportando vecchie insicurezze che pensava di aver superato. Evidentemente, le aveva solo messe da parte.
"— L'ho già risparmiato una volta — brontolò Zeus. — Azzardarsi a volare nel mio dominio... bah! Avrei dovuto fulminarlo per la sua impudenza.
— E rischiare di distruggere la tua stessa Folgore? — chiese Poseidone, calmo. — Ascoltiamo ciò che ha da dire, fratello.
Zeus brontolò ancora un po'. — Lo ascolterò — decise infine. — Poi deciderò se scaraventarlo o meno giù dall'Olimpo.
— Perseus — mi chiamò Poseidone. — Guardami. "
"Devo dire che è un ottimo modo per rassicurare un dodicenne!" Demetra urlò vero Zeus, indicando poi Percy. "É un bambino persino adesso, ma aveva dodici anni! Non è difficile mostrare un minimo di decenza!"
"Ubbidii, e non avrei saputo dire che cosa leggessi sul suo viso. Non c'era nessun segno di affetto o di approvazione. Niente che mi infondesse coraggio. Era come guardare l'oceano: certi giorni capivi di che umore fosse. La maggior parte delle volte, però, era insondabile, misterioso. Ebbi la sensazione che Poseidone in realtà non si fosse fatto un'idea precisa sul mio conto. Non sapeva se era felice di avermi come figlio oppure no. È strano, ma in un certo senso ero sollevato che fosse così distaccato. Se avesse tentato di scusarsi, di dirmi che mi voleva bene o anche solo di sorridere, sarebbe sembrato falso. Come un padre umano che inventa scuse per giustificare la sua assenza. La distanza invece riuscivo a sopportarla. Dopotutto, nemmeno io mi sentivo ancora sicuro nei suoi confronti."
Poseidone abbassò lo sguardo, ma non poteva dire niente per convincere il figlio. Dopotutto era stato assente dalla sua vita per dodici anni, comparendo solo nel momento del bisogno.
"— Rivolgiti al Divino Zeus, ragazzo— mi ordinò. — Raccontagli la tua storia.
Così spiegai tutto a Zeus, per filo e per segno. A un certo punto, mi ero reso conto di aver chiamato Ade zio tutto il tempo, ma nessuno mi aveva detto niente, quindi lo ignorai anche io. E non era deprimente che avevo zero famiglia dalla parte mortale, e un padre che mi usava e due zii che mi volevano morto?"
Ade rise. "Secondo me, era geloso che io fossi zio e lui Divino Zeus." Zeus sospirò, dicendo. "Non è affatto vero." "Eri incredibilmente geloso, mi hai infastidita per non so quanto tempo." Rise Era.
"Tirai fuori il cilindro metallico, che cominciò a mandare scintille alla presenza del dio del cielo, e lo poggiai ai suoi piedi. Ci fu un lungo silenzio, interrotto solamente dal crepitio del fuoco. Zeus allargò la mano e la Folgore volò dal suo padrone. Quando serrò il pugno, le punte metalliche si accesero di elettricità, finché non sembrò che stringesse in mano qualcosa di più simile alla folgore classica, un giavellotto di sibilante energia lungo sei metri, che mi fece drizzare i capelli sulla testa.
— Sento che il ragazzo dice la verità — mormorò Zeus. — Ma che Ares fosse capace di una cosa del genere... non è da lui.
— È orgoglioso e impulsivo — intervenne Poseidone. — È un fattore ereditario.
— Signore?
Entrambi risposero: — Sì?
— Ares non ha agito da solo. Qualcun altro... qualcos'altro... ha avuto l'idea."
"Grazie, Percy." Disse Ares e Percy scrollò le spalle. "Quello che è giusto è giusto. E poi pensavo che la ferita alla caviglia fosse sufficiente." Ares scosse la testa, ridendo.
"Descrissi i miei sogni e la sensazione che avevo provato sulla spiaggia, quel momentaneo alito di malvagità che sembrava aver fermato il mondo e che aveva impedito ad Ares di uccidermi.
— In sogno — dissi — la voce mi ordinava di portare la Folgore negli Inferi. Anche Ares ha accennato a dei sogni. Penso che sia stato usato, proprio come me, per scatenare una guerra.
— E così accusi Ade, dopotutto? — chiese Zeus."
"Non è quello che ha detto!" Si arrabbiò Persefone, ed Estia scosse la testa. "Non dovreste dubitare tra di voi. È solo triste. Mi mancano i tempi in cui eravamo più uniti come fratelli. Una famiglia." Zeus, Ade e Poseidone la guardarono tristi.
"— No — risposi. — Divino Zeus, sono stato al cospetto dello zio. Ma la sensazione che ho avuto sulla spiaggia era diversa. Era la stessa che ho provato vicino al baratro. E quello era l'ingresso del Tartaro, non è vero? Qualcosa di potente e di malvagio si agita laggiù... qualcosa di più antico perfino degli dei.
Poseidone e Zeus si scambiarono uno sguardo. Ebbero una breve e intensa discussione in greco antico. Riuscii a cogliere una parola sola: "padre". Poseidone espresse un suggerimento, ma Zeus lo interruppe. Poseidone cercò di obiettare, ma Zeus lo fermò con un gesto stizzito della mano.
— Non ne parliamo più — disse. — Devo andare a purificare personalmente la mia Folgore nelle acque di Lemno, per cancellare le tracce dell'onta mortale dal metallo." "Non dovevi purificare un bel niente." Disse Era, fissando Zeus. Estia sorrise. "Hai lasciato a Percy un momento con suo padre, fratello?" Percy guardò Zeus, che scosse la testa. "Certo che no. Non infrangerei le mie leggi in maniera così eclatante."
"Si alzò in piedi e mi guardò. La sua espressione si era addolcita impercettibilmente. — Mi hai reso un servizio, ragazzo. Pochi eroi sarebbero riusciti nell'impresa.
— Sono stata aiutato, signore — replicai. — Grover Underwood e Annabeth Chase..." Annabeth lo guardò. "Hai nominato anche me e Grover?" "Era stato un lavoro di squadra." Disse Percy, scrollando le spalle. Clarisse alzò gli occhi al cielo. "Nessun altro avrebbe nominato alcun aiuto. Avrebbe preso il complimento per se stesso e fine della storia." "Ma Percy è una classe a sè stante." Disse Jason e Frank annuì. "É incredibilmente buono. E leale. Non sorprende che non abbia cercato di prendersi tutto il merito."
"— Per mostrarti la mia gratitudine, ti risparmierò la vita. Non mi fido di te, Perseus Jackson. Non mi piacciono le implicazioni del tuo arrivo per il futuro dell'Olimpo. Ma per amore della pace in famiglia, ti lascerò vivere.
— Ehm... grazie, signore.
— Ma guai a te se oserai di nuovo volare. E fa' che non ti trovi qui al mio ritorno. Altrimenti assaggerai il gusto di questa folgore. E sarà la tua ultima sensazione.
Un tuono scosse il palazzo e Zeus scomparve con un lampo accecante. Ero rimasto solo con mio padre, nella sala del trono."
"Non era necessario minacciarlo. Era già spaventato dai viaggi aerei, non avrebbe preso il volo di nuovo. Era stata solo una necessità." Piper rise, e la guardarono tutti. "Quando lui e Jason stavano arrivando in volo, Percy si è letteralmente fatto cadere, dicendo. 'Non sopravvivo al Tartaro per essere fatto a pezzi da tuo padre!'" Percy la fissò. "Mi sembrava un modo stupido di morire." "Era diviso in greco e romano." Alzò gli occhi al cielo Annabeth. "Sono sicuro che per uccidermi, avrebbe recuperato l'equilibrio, mi avrebbe ucciso, e poi sarebbe tornato alla sua crisi." "L' hai reso ansioso!" Disse Estia, indicando Percy, rivolgendosi al fratello.
"Poseidone sospirò. — Tuo zio ha sempre avuto un gran talento per le uscite di scena. Avrebbe fatto un figurone come dio del teatro.
Un silenzio imbarazzante.
— Signore — chiesi — che cosa c'era in quel baratro?
Poseidone mi guardò intensamente. — Non l'hai intuito?
— Crono — risposi. — Il re dei Titani.
Perfino nella sala del trono dell'Olimpo, lontanissimi dal Tartaro, il nome di Crono oscurò l'ambiente, smorzando il calore del fuoco alle mie spalle. Poseidone impugnò il suo tridente. — Nella Prima guerra, Percy, Zeus ha smembrato nostro padre Crono in migliaia di pezzi, come lui aveva fatto con suo padre, Urano. Poi ha gettato i suoi resti nell'abisso più oscuro del Tartaro. L'esercito dei Titani è stato sbaragliato, la loro fortezza sull'Etna è stata distrutta, i loro mostruosi alleati sono stati scacciati negli angoli più remoti della terra. E tuttavia i Titani non possono morire, proprio come gli dei. In qualche orribile forma, Crono è ancora vivo, ancora cosciente nel suo eterno dolore, ancora avido di potere.
— Sta guarendo — dissi. — Sta tornando.
Poseidone scosse la testa. — Di tanto in tanto, nel corso dei secoli, Crono ha dato segni di vita. Entra negli incubi degli uomini e vi inietta pensieri malvagi. Risveglia mostri inquieti dagli abissi. Ma da qui a suggerire che stia per risorgere dal baratro...
— Ma sono queste le sue intenzioni, Padre. È quello che ha detto.
Poseidone rimase a lungo in silenzio. — Il Divino Zeus ha chiuso la discussione. Non consentirà che si parli di Crono. Hai completato la tua impresa, figliolo. Non ti si chiede altro."
"Che belle conversazioni." Scosse la testa Ade. Percy fece una smorfia, concorde. Poseidone sospirò. "Non avevo mai avuto un figlio mortale in tempi recenti. Non avevo idea di come parlargli."
"— Ma... — mi fermai.
Discutere non sarebbe servito a niente. Con ogni probabilità avrebbe fatto arrabbiare l'unico dio che avevo dalla mia parte. Probabilmente, dalla mia parte. Che non mi voleva uccidere sicuramente, almeno. Forse. — Come... come volete, Padre."
"Non avrei mai voluto ucciderti! Anche nei miti antichi, non ho mai ferito un mio figlio!" "Ma non c'era un patto per non avere figli." Rispose Percy, a bassa voce.
"Un lieve sorriso comparve sulle sue labbra. — L'obbedienza non ti viene naturale, vero?
— No... signore.
— Immagino che sia un po' colpa mia. Il mare non ama essere limitato. — Si alzò in tutta la sua altezza e sollevò il tridente. Poi, in un tremolio luminoso, assunse le dimensioni di un uomo normale e me lo ritrovai davanti. — Devi andare, figliolo. Ma prima, sappi che tua madre è tornata.
Lo guardai sbalordito. — Mia madre?
— La troverai a casa. Ade l'ha restituita quando hai recuperato il suo elmo. Perfino il Signore dei Morti paga i suoi debiti."
"Persino? Pago sempre i miei debiti, Poseidone." Disse Ade e Poseidone annuì. "Generalmente, i semidei non hanno una buona opinione di te. Come potevo sapere che mio figlio ti adorava?"
"Il cuore mi martellava in petto. La zia aveva ragione, lo zio era davvero un brav'uomo. Dio, qualunque cosa."
Ade rise. "Va bene uomo. È il senso della frase che conta, nipote." Percy sorrise impertinente.
"— Vuole... vorrebbe...
Stavo per chiedere a Poseidone se voleva venire a trovarla con me, ma poi capii che era ridicolo. Mi immaginai mentre caricavo il dio del mare su un taxi e lo portavo sull'Upper East Side. Se in tutti questi anni avesse avuto voglia di vedere mia madre, lo avrebbe fatto. E poi bisognava fare i conti con Gabe il Puzzone. Gli occhi di Poseidone si rattristarono un po'. — Quando sarai a casa, Percy, dovrai compiere una scelta importante. Troverai un pacco che ti aspetta nella tua stanza.
— Un pacco?
— Capirai quando lo vedrai. Nessuno può scegliere la tua strada per te, Percy. Devi essere tu a decidere.
Annuii, anche se non sapevo che cosa intendesse dire.
— Tua madre è una vera regina — continuò Poseidone con rimpianto. — Non incontravo una donna mortale alla sua altezza da migliaia di anni. Eppure... mi dispiace che tu sia nato, figliolo. Ti ho condannato al destino di un eroe, e il destino di un eroe non è mai facile. È sempre e soltanto un destino tragico."
"Stai peggiorando di molto, Poseidone." Lo avvertì Zeus e Ade annuì. "Sei quasi peggio di Zeus. Quasi, perchè Zeus è il minimo raggiungibile." Talia e Jason annuirono.
"Cercai di non offendermi. Ma non era facile: ecco mio padre, il mio vero padre, che si diceva dispiaciuto della mia nascita. Forse Gabe aveva ragione, Dopotutto. — A me non dispiace, Padre.
— Non ancora — replicò lui. — Non ancora. Ma è stato un errore imperdonabile da parte mia. "
"Niente di quello che Gabe dice è vero." Disse Grover, un tono gentile. "Parti da quello e vai avanti." Percy gli sorrise, grato.
"— Allora me ne vado. — Mi inchinai goffamente. — Non... non vi disturberò più.
Mi allontanai di pochi passi, ma lui mi richiamò. — Perseus.
Mi voltai. Aveva una luce diversa negli occhi, una sorta di orgoglio impetuoso. — Sei stato bravo, Perseus. Non fraintendermi. Qualunque altra cosa tu faccia, sappi che sei mio. Sei un vero figlio del dio del mare."
"Ah ecco." Annuì Tritone. Suo padre iniziava sempre male con i suoi figli, ma poi diceva qualche frase che sistemava in qualche modo tutto. Poseidone sorrise al figlio. "Lo penso anche adesso. Sono orgoglioso e ti amo molto."
"Mentre attraversavo la città degli dei sulla via del ritorno, tutti smisero di parlare. Le muse interruppero il loro concerto. Uomini, satiri e Naiadi si voltarono a guardarmi, i volti pieni di rispetto e di gratitudine, e quando passai si inginocchiarono come se fossi chissà quale eroe."
"Sei un grande eroe, Percy." Gli disse Talia e Percy scrollò le spalle.
"Quindici minuti dopo, ancora in trance, ero di nuovo sulle strade di Manhattan. Presi un taxi fino all'appartamento di mia madre, suonai il campanello ed eccola là, la mia bellissima mamma, profumata di menta e liquirizia, la stanchezza e la preoccupazione che evaporarono dal suo viso non appena mi vide.
— Percy! Oh, grazie al cielo. Oh, il mio bambino.
Mi stritolò fra le braccia. Eravamo in piedi nell'ingresso, con lei che piangeva e mi passava le mani fra i capelli. Okay, lo ammetto... stavo piangendo anche io. Tremavo dal sollievo di rivederla. Ero stato terrorizzato al pensiero di averla persa per tutto il tempo, al Campo e nell'impresa."
Era annuì. "Deve essere stata un'esperienza difficile." Percy annuì e Poseidone lo guardò. "Anche Sally doveva essere stata preoccupata per te, Percy." "Lo so."
"Mi raccontò che si era materializzata nell'appartamento quel mattino stesso, spaventando Gabe a morte. Non ricordava nulla dopo il Minotauro ed era rimasta di stucco quando Gabe le aveva detto che ero un criminale ricercato, uno che se ne andava in giro a demolire i monumenti nazionali. Era impazzita dalla preoccupazione per tutto il giorno, perché non aveva sentito i notiziari. Gabe l'aveva costretta ad andare al lavoro, dicendo che doveva recuperare un mese di stipendio e che era meglio che cominciasse subito. Ingoiai la rabbia e le raccontai la mia storia. Cercai di farla suonare meno spaventosa di quanto non fosse, ma non era facile. Ero quasi arrivato al duello con Ares quando la voce di Gabe mi interruppe dal soggiorno. — Ehi, Sally! Questo polpettone arriva oppure no?"
"Perché non si è liberata di lui?" Domandò Talia ed Era rispose. "Aveva paura che avrebbe perso anche Percy nel farlo. E sopportare lui valeva la pena se teneva il figlio." Percy annuì e Talia alzò un sopracciglio. "Ma ormai sapevano tutti che esistevi." "Sì, ma l'odore di Gabe avrebbe potuto coprire ancora il mio." Spiegò Percy e Talia annuì.
"Lei chiuse gli occhi. — Non sarà felice di vederti, Percy. Il negozio ha avuto un milione di telefonate da Los Angeles, oggi... per non so che elettrodomestici in omaggio.
— Ah, già, quelli...
Si sforzò di sorridere. — Non farlo arrabbiare di più, va bene? Vieni.
Nel mese in cui ero stato via, l'appartamento si era trasformato in Gabeland. La spazzatura sparsa sulla moquette mi arrivava alle caviglie. Il divano era tappezzato di lattine di birra. Calzini e biancheria sporca pendevano dai paralumi. Il mio patrigno era seduto al tavolo del poker con quei tre gonzi dei suoi amici. Quando mi vide, gli cadde il sigaro di bocca. La faccia che fece era più incandescente della lava.
— Hai del coraggio a presentarti qui, teppistello. Pensavo che la polizia... "
"Che schifo!" Esclamò Drew e Silena annuì. "Davvero disgustoso." "Non immagino l'odore che c'era in quella casa." "Ecco, non farlo." Disse Percy, prima di dire. "Ci abbiamo messo secoli a pulirla." "Non è vero. L'hai allagata." Disse Michael, che l'aveva chiamato in quel momento con un IM e aveva visto il casino che c'era. "Bene, l'odore era davvero orrendo, mi sono agitato, ed i tubi sono esplosi. Le cose non sono collegate tra loro." Negò Percy. "Lo sono." Disse Talia. "No, la polizia ha detto che c'era un problema di manutenzione." Rispose Percy e tutti lo guardarono. "L'ha detto la polizia." Ripetè lui, senza mostrare alcun dubbio.
"— Non è un fuggiasco, a quanto pare — intervenne mamma. — Non è meraviglioso, Gabe?
Gabe guardava ora me, ora mia madre. Non sembrava che trovasse il mio ritorno tanto meraviglioso.
— Già mi è toccato restituire i soldi della tua assicurazione sulla vita, Sally — grugnì. — Prendimi il telefono. Chiamo la polizia.
— Gabe, no!
Lui inarcò le sopracciglia. — Hai appena detto "no" per caso? Pensi che sia disposto a sopportare ancora questo teppistello? Posso ancora denunciarlo per aver distrutto la mia Camaro.
— Ma...
Alzò una mano e mia madre sussultò."
"La picchiava?" Chiese Talia e Ade rispose. "Ha pagato per tutti i crimini che ha commesso." Poseidone guardò il figlio, la domanda sulla punta della lingua.
"Per la prima volta, mi resi conto che Gabe aveva picchiato mia madre. Non sapevo quando, o quanto. Ma l'aveva fatto, ne ero certo. Mi ricordavo di quando avevo cinque anni e mi aveva colpito. Non dirlo a nessuno, e non lo farò a tua madre. E avevo tenuto la bocca chiusa. Probabilmente anche a mia madre diceva la stessa cosa. Una bolla di rabbia cominciò a crescermi nel petto. Mi avvicinai a Gabe, pensando che avrei tanto voluto poterlo colpire con Riptide."
Lo fissarono tutti. Talia deglutì. "Lo sai che è un abuso?" "No, non lo era." Scosse la testa Percy e Talia disse, dolcemente. "Quello che ha fatto Gabe era un abuso. Fisico e mentale. Ti ha fatto sentire inferiore e inadeguato. E ha peggiorato la situazione iniziando a colpirti." Percy scosse la testa, spostando lo sguardo verso gli altri. Ignorò gli sguardi di compassione e pena sul viso di alcuni semidei. Il padre, la sua famiglia sottomarina, Zeus, Demetra ed Era sembravano assassini. Lo zio stava spiegando loro tutte le pene che Gabe aveva dovuto sopportare, e offrivano suggerimenti casuali. Estia aveva le lacrime agli occhi, ferendo Percy. Hermes, Apollo e Efesto lo guardavano tristemente. Artemide e Ares, invece lo fissavano con una sorta di rispetto e orgoglio. Forse era per il fatto che aveva combattuto e non si era arreso.
"Lui scoppiò a ridere. — Che c'è, teppistello? Vuoi picchiarmi? Toccami e ti faccio sbattere in galera per sempre, capito? "
"Sarebbe andato lui, in galera. Di certo non tu." Disse Hermes, disgustato. Percy scrollò le spalle, come per dire 'Cosa ci vuoi fare?'
"— Ehi, Gabe — lo interruppe il suo amico Eddie. — È solo un ragazzino.
Gabe lo guardò stizzito e gli rifece il verso in falsetto: "Solo un ragazzino." Gli altri due risero come degli idioti.
— Voglio essere generoso con te, teppistello. — Gabe mi mostrò i denti ingialliti dal tabacco. — Ti do cinque minuti per prendere i tuoi stracci e filare via di qui. Dopodiché, chiamerò la polizia.
— Gabe! — lo supplicò mia madre.
— È scappato di casa — le disse Gabe. — Che ci resti, fuori di casa.
Morivo dalla voglia di prendere Riptide ma, anche se lo avessi fatto, la lama non feriva gli esseri umani. E Gabe, a essere generosi, era un essere umano."
"Spregevole, ma lo è." Disse Artemide. Poi guardò Percy. Con la situazione familiare che aveva avuto, un padre assente e poco capace nel comunicare, Percy aveva tutte le carte in regola per diventare una delle sue Cacciatrici, se fosse stato una ragazza. Aveva avuto una vita peggiore di molte di loro. Eppure rimaneva fedele alle persone che lo circondavano, senza risentirsi con il mondo per la sua sofferenza. Questo era un altro tipo di forza.
"Mia madre mi prese per il braccio. — Per favore, Percy. Vieni. Andiamo in camera tua.
Lasciai che mi portasse via, le mani che mi tremavano ancora di rabbia. La mia stanza era stata completamente invasa dalle schifezze di Gabe. C'erano pile di batterie di automobili usate, un bouquet di fiori ammuffito con un biglietto inviato da qualcuno che aveva visto la sua intervista con Barbara Walters.
— Gabe è solo arrabbiato, tesoro — mi disse mamma. — Gli parlerò dopo. Sono sicura che le cose si aggiusteranno.
— Mamma, le cose non si aggiusteranno mai. Non finché Gabe è qui.
Lei si torse le mani per l'agitazione. — Posso... ti porterò al lavoro con me per il resto dell'estate. In autunno forse c'è un altro collegio...
— Mamma.
Abbassò gli occhi. — Ci sto provando, Percy. Mi serve solo... mi serve solo un po' di tempo."
Talia strinse le labbra. Amava Sally, ma aveva messo in pericolo continuo il figlio. E questo non le piaceva per niente.
"Un pacco comparve sul mio letto. O almeno, avrei giurato che fino a un attimo prima non ci fosse. Era una scatola di cartone piuttosto malconcia, adatta a contenere un pallone. L'indirizzo sulla targhetta di spedizione era scritto con la mia calligrafia:
Gli Dei
Monte Olimpo
600esimo
Empire State Building
New York, NY
Cordiali saluti,
Percy Jackson
Sul coperchio, scritto col pennarello nero in una nitida e decisa calligrafia maschile, c'era l'indirizzo del nostro appartamento e le parole: RESTITUIRE AL MITTENTE. A un tratto capii quello che Poseidone mi aveva detto sull'Olimpo. Un pacco. Una decisione. "Qualunque altra cosa tu faccia, sappi che sei mio. Sei un vero figlio del dio del mare."
Guardai mia madre. — Mamma, vuoi che Gabe sparisca?
— Percy, non è così semplice. Io...
— Mamma, basta che tu me lo dica. Quell'idiota ti mette le mani addosso. Vuoi che sparisca oppure no?"
"Lo hai pietrificato?" Chiese eccitato Leo. "Non io." Disse Percy, un enorme sorriso sul viso.
"Lei esitò, poi annuì, quasi impercettibilmente. — Sì, Percy. Lo voglio. E sto cercando di raccogliere il coraggio per dirglielo. Ma non puoi farlo tu al posto mio. Non puoi risolvere tu i miei problemi.
Guardai la scatola. Io potevo risolvere i suoi problemi. Avevo voglia di strappare il coperchio, mollare il pacco sul tavolo del poker e tirare fuori quello che c'era dentro. Potevo cominciare il mio giardino di statue personale proprio là, in soggiorno. "Ecco cosa farebbe un eroe greco nelle storie" pensai. "Ecco quello che si merita Gabe." Ma la storia di un eroe finiva sempre in tragedia. Poseidone me lo aveva detto. Ripensai agli Inferi. Immaginai lo spirito di Gabe che vagava per l'eternità nelle Praterie degli Asfodeli o che veniva sottoposto a qualche orribile tortura oltre il filo spinato dei Campi della Pena: una partita di poker eterna, immerso nell'olio bollente fino alla vita e costretto ad ascoltare l'opera. Avevo il diritto di mandare qualcuno laggiù? Perfino se quel qualcuno era Gabe? Un mese prima, non avrei esitato. Adesso..."
Percy stava scuotendo la testa. Non aveva alcun diritto. Artemide disse. "Ti aveva ferito. Avevi il diritto di ottenere la tua giustizia." "E che giustizia poteva esserci nella vendetta?" Chiese Percy, guardando la dea. "Tua madre l'ha presa." "Mia madre ha sofferto molto più di me in un desiderio di tenermi vicino a se stessa." Disse Percy, guardando Atena.
"— E invece posso — le dissi. — Un'occhiata dentro questa scatola, e non ti darà mai più fastidio.
Lei guardò il pacco e capì al volo. — No, Percy — esclamò, arretrando. — Non puoi.
— Poseidone ti ha chiamata regina — le raccontai. — Ha detto che non incontrava una donna come te da migliaia di anni.
Arrossì. — Percy...
— Meriti di meglio, mamma. Dovresti andare all'università, prendere la laurea. Puoi scrivere il tuo romanzo, incontrare un brav'uomo, vivere in una bella casa. Non devi più proteggermi restando con Gabe. Lascia che mi liberi di lui.
Si asciugò una lacrima dalla guancia. — Parli proprio come tuo padre — disse. — Una volta si è offerto di fermare la marea per me. Di costruirmi un palazzo sul fondo del mare. Pensava di poter risolvere tutti i miei problemi con un gesto della mano."
"Lo hai davvero offerto?" Chiese Zeus, fissando Poseidone. "Sally è una donna molto speciale." Disse Poseidone. Anfitrite lo fissò. "E se non fossi stata incline ad accettarla?" "Ho supposto che una volta conosciuto lei e la sua storia, avresti accettato la situazione." "Probabilmente lo avrei fatto." Ammise Anfitrite.
"— E che male c'è?
I suoi occhi multicolori mi scrutarono a fondo. — Credo che tu lo sappia, Percy. Credo che tu mi somigli abbastanza da capire. Se voglio che la mia vita abbia un senso, devo viverla in prima persona. Non posso farmi proteggere da un dio... o da mio figlio. Devo trovare il coraggio da sola. La tua impresa me l'ha ricordato.
Ascoltammo i suoni che provenivano dal salotto: le fiches del poker, le imprecazioni, il canale dello sport.
— Ti lascio la scatola — dissi. — Se ti minaccia...
Lei impallidì ma annuì. — Dove andrai, Percy?
— Alla Collina Mezzosangue.
— Per l'estate o per sempre?
— Non lo so.
Ci guardammo intensamente e sentii che avevamo stretto un patto. Avremmo visto come stavano le cose alla fine dell'estate.
Mi baciò sulla fronte. — Sarai un eroe, Percy. Sarai il più grande di tutti."
"E lo sei diventato." Disse Estia, un dolce sorriso sul viso. Percy la guardò sorridendo. "Grazie zia."
"Diedi un'ultima occhiata alla mia stanza, con la sensazione che non l'avrei più rivista. Poi mia madre mi accompagnò alla porta.
— Te ne vai già, teppistello? — mi gridò dietro Gabe. — Che liberazione!
Ebbi un ultimo barlume di dubbio. Come potevo rinunciare all'occasione perfetta per vendicarmi? Me ne stavo andando senza salvare mia madre.
— Ehi, Sally — sbraitò lui. — Allora, questo polpettone?
Una gelida espressione di rabbia passò negli occhi di mia madre, e pensai che forse, dopotutto, la stavo lasciando in buone mani. Le proprie.
— Il polpettone arriva subito, caro — gli rispose. — Polpettone a sorpresa."
"Cosa ha fatto con la statua? L'ha fatta a pezzi?" Domandò Talia. Percy scosse la testa, dando una gomitata nel fianco della cugina. "No Spoiler."
"Mi guardò e mi fece l'occhiolino. L'ultima cosa che vidi prima che la porta si richiudesse, fu mia madre che scrutava Gabe, con l'aria di chiedersi che aspetto avrebbe avuto come statua da giardino."
"Orrenda. Come ogni altro possibile aspetto." Disse Era e Afrodite annuì. "Nemmeno io potrei salvare qualcosa in lui."
"Manca... credo un capitolo. Chi legge?" Domandò Talia. Frank prese il libro.Angolo autrice
Ho reso peggiore l'abuso di Gabe. E ho un amico con l'ADHD che mi ha controllato il lavoro fino ad adesso per vedere se può essere coerente con qualcuno che ha quel tipo di disturbo.
Alla prossima
By rowhiteblack
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THE FATES' QUEST: READING PERCY JACKSON
FanfictionDopo Eroi dell'olimpo, quando Zeus deve decidere la punizione di Apollo, semidei e dei si ritrovano nella Sala del Trono per leggere dieci libri dall'aria innocua. Leggere la vita dei loro figli renderà più dolci gli immortali e darà più senso a Zeu...