PAREGGIO I CONTI

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"È  buffo  come  gli  umani  riescano  a  farsi  una  ragione  delle  cose adattandole  alla  loro  versione  di  realtà.  Chirone  me  lo  aveva  detto,  tanto tempo  prima.  Come  al  solito,  apprezzavo  la  sua  saggezza  solo  a  scoppio ritardato."
"Te lo avevo detto." Scosse la testa Chirone. Hermes rise. "Quando l'ho detto io, te la sei presa." "Detto da te, includeva anche me. Detto da me, escludeva tutti i semidei." "Ha senso!" Annuì Talia.
"Secondo  i  notiziari  di  Los  Angeles,  l'esplosione  sulla  spiaggia  di  Santa Monica  era  stata  causata  da  un  folle  che  aveva  fatto  fuoco  su  un'auto  della polizia,   colpendo   accidentalmente   un   condotto   del   gas   che   si   era danneggiato  durante  il  terremoto. Il  folle  (alias  Ares)  era  lo  stesso  uomo  che  aveva  rapito  me  e  altri  due ragazzi  a  New  York,  portandoci  poi  a  spasso  per  tutta  la  nazione  durante dieci  giorni  di  odissea  del  terrore. La  povera  piccola  Percy  Jackson  non  era  un criminale  internazionale, dopotutto."
"Nah, lo sei totalmente." Rise Rachel e Piper rise. "Papà ha detto che avrebbero dovuto prenderti nel mondo del teatro e delo spettacolo. Ha detto: con degli occhi come quelli, farebbe successo!" "Lo farebbe davvero!" Lo guardarono tutti. "No. Non ho nessun campo dove stare tranquillo, non mi renderete impossibile vivere anche nel mondo mortale."
"Aveva  causato  i  disordini  su  quell'autobus  del  New  Jersey cercando  di  scappare  dal  suo  aguzzino  (in  seguito,  dei  testimoni  avrebbero giurato  di  aver  visto  l'uomo  vestito  di  pelle  sull'autobus:  "Perché  non  me  lo sono  ricordato  prima?").  Era  stato  il  folle  a  causare  l'esplosione  sull'arco  di St   Louis.  Dopotutto,  un  ragazzino  non  ci  sarebbe  mai  riuscita.  Una sollecita  cameriera  di  Denver  aveva  visto  l'uomo  minacciare  le  vittime fuori  dal  suo  ristorante,  aveva  fatto  scattare  una  foto  a  un  amico  e  poi aveva  informato  la  polizia.  Alla  fine,  il  coraggioso Percy Jackson  (il ragazzo  cominciava  a  piacermi)  aveva  sottratto  una  pistola  al  suo  aguzzino a  Los  Angeles  e  si  era  battuta  con lui  in un duello  sulla  spiaggia.  La  polizia era  arrivata  appena  in  tempo.  Ma  nella  spettacolare  esplosione,  cinque autopattuglie  erano  rimaste  distrutte  e  il  rapitore  era  fuggito.  Non  c'erano stati  feriti.  Percy  Jackson  e  i  suoi  due  amici  erano  sani  e  salvi  sotto  la custodia  della  polizia."
"Fondamentalmente, è quello che è successo." Disse Talia e Nico annuì. "Solo che non scappavate da un mortale, ma da mostri e dei." "Vi sembro folle se dico che preferisco i mostri?" Chiese Percy e i due annuirono, "Lo sembri sempre, però." Disse Jason.
"Furono  i  giornalisti  a  fornirci  tutta  la  storia.  Noi  ci  limitammo  ad annuire,  a  sembrare  piagnucolosi  ed  esausti  (non  fu  difficile)  e  a  recitare  la parte  delle  vittime  davanti  alle  telecamere.
—  Voglio  soltanto  —  dissi,  soffocando  le  lacrime  —  rivedere  il  mio amato  patrigno.
"
"Come puoi anche solo dirlo?" Afrodite si arrabbiò, Artemide digrignò i denti. "Dopo quello che ha fatto?" Apollo disse. "Perchè non fate continuare la ragazza?" Hermes annuì. "Percy non sembra il tipo da apprezzare quell'uomo o essere gentile con lui."
"Ogni  volta  che  lo  vedevo  in  tv  e  sentivo  che  mi  chiamava "piccolo  delinquente",  sapevo...  in  qualche  modo...  che  le  cose  si  sarebbero aggiustate.  E  so  che  vorrà  ricompensare  ogni  singola  persona  di  questa meravigliosa  città  con  un  elettrodomestico  del  suo  negozio  in  omaggio. Ecco  il  numero  di  telefono... "
Fissarono tutti Percy. "Che c'è?" "Quello è geniale!" Rise Hermes "Oltre il geniale!" Annuì Apollo, un sorriso colpito sul viso.
"Poliziotti  e  giornalisti  erano  così  commossi che  fecero  una  colletta,  procurandoci  tre  biglietti  sul  primo  volo  per  New York.
Grover sospirò. - Siamo in un film. -
- Nei film abbiamo la colonna sonora.- dissi.
"
"Colpa di Grover!" Annuirono tutti i semidei che avevano fatto almeno una missione con Percy.
"Sapevo  che  l'aereo  era  la  mia  unica  possibilità  e  mi  auguravo  che  Zeus mi  desse  un  po'  di  tregua,  date  le  circostanze.  Ma  non  fu  facile  salire  a bordo. Il  decollo  fu  un  incubo.  Ogni  minima  turbolenza  era  più  spaventosa  di un  mostro  greco.  Non  staccai  le  mani  dai  braccioli  finché  non  atterrammo sani  e  salvi  all'aeroporto  La  Guardia. Nel mentre, avevo canticchiato 'Thunder' degli Imagine Dragons facendo impazzire Annabeth e Grover."
"Potevo urlare e dire che saremmo morti tutti, ma ho pensato che avrei potuto spaventare i bambini presenti." Disse Percy e Zeus sospirò. "Non mi ero immaginato la voce, allora." "Scusa, zio, ma incolpa Grover. Lui ha detto che voleva la colonna sonora." "Non l'ho detto!" "Lo hai sottinteso!"
"La  stampa  locale  ci  aspettava  fuori dalla  dogana,  ma  riuscimmo  a  evitarla  grazie  ad  Annabeth,  che  con  il berretto  invisibile  in  testa  depistò  i  giornalisti  gridando:  "Sono  laggiù,  alla yogurteria!  Svelti!",  per  poi  raggiungerci  al  ritiro  bagagli. Ci  separammo  al  posteggio  dei  taxi.  Dissi  ad  Annabeth  e  Grover  di tornare  alla  Collina  Mezzosangue  per  riferire  a  Chirone  quello  che  era successo.  Protestarono,  e  fu  dura  lasciarli  andare  dopo  tutto  quello  che avevamo  passato  insieme,  ma  sapevo  che  dovevo  compiere  l'ultima  parte dell'impresa  da  solo.  Se  le  cose  fossero  andate  male,  se  gli  dei  non  mi avessero  creduto...  volevo  che  Annabeth  e  Grover  restassero  vivi  per raccontare  a  Chirone  la  verità."
"Piuttosto pessimista." Rise Leo e Percy alzò gli occhi al cielo. "Perchè fino a quel momento era andata così bene con gli altri dei, vero?" "In effetti."
"Saltai  su un taxi  e  partii  in direzione  di  Manhattan. Trenta  minuti  dopo, entravo  nell'atrio  dell'Empire  State  Building. Con  i  vestiti  laceri  e  la  faccia  scorticata,  dovevo  proprio  somigliare  a  un vagabondo. Non dormivo  da  almeno  ventiquattro  ore. Mi  avvicinai  alla  reception  e  dissi:  — Seicentesimo  piano.
Il  portiere  stava  leggendo  un  grosso  libro  con  l'immagine  di  un  mago sulla  copertina.  Io  non  andavo  particolarmente  matto  per  il  fantasy,  ma doveva  essere  un  buon  libro,  perché  il  tipo  ci  mise  un  po'  per  sollevare  lo sguardo. 
 — Non esiste  un piano del  genere, giovanotto

— Ho bisogno  di  un'udienza  con Zeus.
Mi  elargì  un sorriso  vacuo. — Come  hai  detto, prego?
— Mi  ha  sentito.
Stavo  per  stabilire  che  il  portiere  era  solo  un  mortale  e  che  avrei  fatto meglio  a  darmela  a  gambe  prima  che  chiamasse  il  manicomio,  quando  lui rispose:  —  Ci  vuole  un  appuntamento,  bambino.  Il  Divino  Zeus  non riceve  nessuno senza  preavviso."
"Non lo stavano aspettando?" Domandò Atena e Zeus annuì. "Avevo espressamente detto di lasciarlo salire se fosse apparso." Percy scrollò le spalle. "Fa ancora finta di non conoscere nessuno di noi, quindi." "É come se non andassimo praticamente ogni volta." Si lamentò Annabeth "Percy ci è andato.. Due volte con l'ascensore?" Domandò Talia e Percy scrollò le spalle. "Yep." "Non vai al solstizio?" Chiese Leo e lui scosse la testa. "No. L'inverno lo passo con mia mamma." "Hai fatto un accordo opposto rispetto a quello suo?" Talia indicò Persefone. "No, non passo l'estate con un marito o amante. Quindi no." "Michael non era il tuo ragazzo?" "No!" Disse Percy e Michael disse. "Sembri piuttosto insultato da quello." "Lo sono."
"—  Oh,  io  credo  che  farà  un'eccezione.  —  Mi  sfilai  lo  zaino  dalle  spalle  e tirai  la  zip. La  guardia  sbirciò  dentro  e  per  qualche  secondo  osservò  il  cilindro metallico  senza  capire  cosa  fosse.
Poi  impallidì.  — Questa  non è...

— Sì  invece  — garantii.  — Vuole  che  la  tiri  fuori?"
"Credo che non voglia." Disse Talia, divertita.
"—  No!  No!  —  Scese  scompostamente  dalla  sedia,  frugò  sul  bancone  alla ricerca  di  una  scheda  d'accesso  e  me  la  consegnò.  —  Inserisci  questa  nella serratura  elettronica.  Assicurati  che  non ci  sia  nessun  altro  in ascensore."
"Come avevo detto." Rise Talia e Hazel disse. "Nessuno avrebbe voluto che lo tirasse fuori." "In effetti. Era una scommessa vinta in partenza." Disse Jason.
"Seguii  le  sue  istruzioni.  Non  appena  le  porte  dell'ascensore  si  chiusero, infilai  la  scheda  nella  serratura.  Un  attimo  dopo  scomparve  e  sulla  console apparve  un nuovo pulsante,  di  colore  rosso, con su  scritto  "600". Lo premetti  e  mi  misi  in attesa. Si  diffuse  una  musica  di  sottofondo.   "Raindrops  keep  falling  on  my head.  " Poi  finalmente:  ding.  Le  porte  scorrevoli  si  aprirono.  Uscii  e  quasi  mi prese  un colpo. Mi  trovavo  su  uno  stretto  vialetto  di  pietra  sospeso  in  aria. Oh, un'altra violazione dell'OISHA. Sotto  di  me c'era  Manhattan,  vista  dall'altezza  di  un  aeroplano.  Di  fronte,  una  candida scalinata  di  marmo  si  attorcigliava  attorno  a  una  nuvola,  librandosi  verso  il cielo.  La  seguii  con  lo  sguardo  fino  in  cima,  e  il  mio  cervello  si  rifiutò  di accettare  quello  che  gli  occhi  gli  mostravano. "Guardate  meglio"  ordinò  il  mio  cervello. "Lo stiamo  facendo"  insistettero  gli  occhi. "È  davvero lì." Sopra  le  nuvole  si  ergeva  il  picco  decapitato  di  una  montagna,  con  la sommità  coperta  di  neve.  Abbarbicate  lungo  i  versanti  c'erano  dozzine  di eleganti  palazzi  —  una  città  di  ville  —  tutti  provvisti  di  portici  e  colonnati bianchi,  terrazzi  dorati  e  bracieri  di  bronzo  che  scintillavano  di  migliaia  di fuochi.  Le  strade  si  arrampicavano  con  un  tragitto  folle  e  tortuoso  fino  in cima,  dove  il  palazzo  più  grande  di  tutti  brillava  sullo  sfondo  candido  della neve.  Qua  e  là,  appollaiati  precariamente,  spuntavano  giardini  rigogliosi  di ulivi  e  cespugli  di  rose.  Riuscivo  a  distinguere  un  mercato  pieno  di  tende colorate,  un  anfiteatro  di  pietra  incastonato  su  un  fianco  della  montagna, un  ippodromo  e  un  colosseo  eretti  su  quello  opposto.  Era  una  città dell'Antica  Grecia,  solo  che  non  era  in  rovina.  Era  nuova  di  zecca  e  piena di  vita,  come  doveva  essere  Atene  duemilacinquecento  anni  fa. "Questo  posto  non  può  essere  qui"  mi  dissi.  La  cima  di  una  montagna sospesa  sopra  il  centro  di  New  York  come  un  gigantesco  asteroide? Com'era  possibile  che  una  cosa  del  genere  fosse  ancorata  sopra  l'Empire State  Building,  esposta  allo  sguardo  di  milioni  di  persone,  e  non  l'avesse notata  nessuno? Ma era  là.  E  io  ero là. "
"La musica dell'ascensore fa schifo." Disse Talia e Apollo mise il broncio. "La scegli tu?!" Chiese Percy e Apollo annuì. "Hai dei gusti orrendi." "Ehy!" "Puoi aiutarlo a sceglierne altre." Propose Hermes ed Apollo sorrise al cugino. "Oppure posso scegliere con Talia e basta." "No, lo facciamo io e te! Nelle pause pranzo!" "Che bello. Passo a sentire i miei pensieri letti davanti a tutti a passare del tempo con te. Io non farei più pause pranzo." Propose Percy, e Chirone rise.
"Il  mio  viaggio  attraverso  l'Olimpo  fu  come  un  sogno.  Ninfe  dei  boschi mi  lanciarono  olive  dai  loro  giardini,  in  un  coro  di  risatine.  Gli  ambulanti del  mercato  mi  offrirono  le  loro  mercanzie:  lecca  lecca  all'ambrosia,  uno scudo  nuovo  e  una  copia  originale  del  Vello  D'Oro,  scintillante  di  Strass, "come  quello  visto  alla  Efesto-tv". Le  nove  muse  accordavano  i  loro  strumenti  per  un  concerto  nel  parco, circondate  da  un  capannello  di  spettatori:  satiri,  Naiadi  e  un  gruppetto  di bei  ragazzi,  forse  delle  divinità  minori.  Nessuno  sembrava  turbato  per l'imminente  guerra  civile.  In  effetti,  sembravano  tutti  allegri,  come  per  un giorno  di  festa.  Molti  si  voltarono  a  guardarmi,  parlottando  fra  loro. Iniziai  a  inerpicarmi  su  per  la  strada  principale,  verso  il  grande  palazzo che  si  ergeva  sulla  vetta  del  monte:  una  copia  inversa  del  palazzo  degli Inferi.  Mentre  laggiù  dominavano  il  nero  e  il  bronzo,  qui  tutto  scintillava d'argento  e  di  bianco. Capii  che  Ade  aveva  costruito  il  suo  palazzo  sulla  falsariga  di  quello. Non  era  il  benvenuto  sull'Olimpo,  tranne  che  nel  solstizio  d'inverno,  perciò si  era  costruito  il  suo  Olimpo  personale  negli  Inferi.  Non lo volevano nella sua casa, e se n'era costruita una lui stesso."
"Non erano preoccupati per la guerra?" Chiese Annabeth, confusa. Poseidone disse. "Tutti gli dei sapevano che Percy stava arrivando con la Folgore. Non avevano ragione di temere, una guerra." Zeus annuì e Percy fece una smorfia. "Oh, ecco." "É vero?" Chiese Era al fratello Ade strinse le labbra. "Ovviamente. L'Olimpo era un posto che avevo salvato e aiutato a costruire anche io, sorella." Era sembrò turbata, così come Zeus, Poseidone e Demetra. Estia sorrise. "Ma anche gli Inferi adesso ti piacciono, vero?" "Ho qualcuno che non se ne va via se non per missioni e scuola." "Mi hai dato un modo per venire, zio. Sono sicuro che ti faccia piacere che sia sempre lì. E la mamma è contenta." "Motivo per cui viene. Non lo spaventa Crono, titani o giganti, ma di sua madre ha il terrore." Rise Nico. "Come è giusto." Annuì Percy, dicendo. "Non hai mai visto mia madre arrabbiata."
"L'ultima  scalinata  terminava  su  un  cortile  interno.  Superato  questo,  ero nella  sala  del  trono. Ma  "sala"  non  era  la  parola  giusta.  In  confronto  a  quel  posto,  la  stazione centrale  di  New  York  sembrava  lo  stanzino  delle  scope.  Massicce  colonne si  levavano  fino  a  un  soffitto  a  volta,  ornato  di  costellazioni  dorate  in movimento. Dodici  troni,  concepiti  per  esseri  delle  dimensioni  di  Ade,  erano  disposti come  una  U  capovolta,  proprio  come  le  capanne  del  Campo  Mezzosangue. Un  fuoco  enorme  crepitava  nel  braciere  centrale.  I  troni  erano  vuoti,  tranne per   i  due  posti  all'estremità:   il   trono   principale   a   destra   e   quello immediatamente  alla  sua  sinistra.  Non  ebbi  bisogno  di  presentazioni  per sapere  chi  fossero  gli  dei  che  li  occupavano  e  che  mi  stavano  aspettando."
"Dubito che li avresti ricevute." Rise Leo e Percy sbuffò divertito.
"Mi  avvicinai  con le  gambe  tremanti. Gli  dei  erano  giganti,  come  lo zio,  ma  quasi  non  riuscivo  a  guardarli  senza avvertire  una  specie  di  formicolio  per  tutto  il  corpo,  come  se  stessi  per prendere  fuoco.  Zeus,  il  Padre  degli  Dei,  indossava  un  completo  gessato blu  scuro.  Era  seduto  su  un  semplice  trono  di  platino  massiccio.  Aveva  una barba   curata,   percorsa   da   striature   grigie   e   nere   come   una  nuvola temporalesca.  Il  volto  era  fiero,  bello  e  cupo,  gli  occhi  di  un  grigio  carico di  pioggia.  Quando  gli  arrivai  più  vicino,  ci  fu  un  crepitio  nell'aria  e avvertii  l'odore  dell'ozono."
Talia fischiò. "Bella descrizione." "Vedi? Avevo detto, nessun problema."
"Il  dio  seduto  al  suo  fianco  era  senza  dubbio  suo  fratello,  ma  era  vestito in   modo  molto  diverso.  Mi  ricordava  un  tipico  turista  della  Florida. Indossava  dei  sandali  di  cuoio,  un  paio  di  bermuda  color  kaki  e  una camicia  hawaiana  straripante  di  pappagallini  e  noci  di  cocco.  La  pelle  era abbronzatissima  e  le  mani  erano  scorticate  come  quelle  di  un  vecchio pescatore.  Aveva  i  capelli  neri,  come  i  miei.  Sul  volto  c'era  la  stessa espressione  ombrosa  che  mi  aveva  sempre  fatta  bollare  come  una  ribelle. Ma  gli  occhi,  verde  mare  come  i  miei,  erano  circondati  da  piccole  rughe d'espressione  scavate  dal  sole, e  capii  che  sorrideva  spesso. Il   trono  era  una  sorta  di  sedia  per  la  pesca  d'altura.  Era  di  quelle semplici,  girevoli,  con  la  seduta  di  pelle  nera  e  una  fondina  incorporata  per la  canna  da  pesca.  Invece  di  una  canna,  però,  la  fondina  custodiva  un tridente  di  bronzo, con le  punte  scintillanti  di  luce  verde."
Poseidone sorrise. "É una bella descrizione." Percy fece una smorfia. "Non ci sono pensieri molto belli, dopo. Mi scuso in anticipo." Poseidone sospirò. Sapeva a cosa alludeva il ragazzo.
"Gli  dei  erano  immobili  e  muti,  ma  si  avvertiva  una  tensione  nell'aria, come  se  avessero  appena  concluso una  discussione."
"Non lo fanno sempre?" Demetra sospirò. Era annuì, guardando i semidei. "Siate grati che non dovete assistere a delle litigate stupide come le loro." Gli occhi di tutti si posarono su Percy e Talia. "Non so perchè ci stiate fissando." "Nessuna nostra discussione è stupida." "Avete discusso su una sedia." "Quella era la mia sedia." Disse Percy e Talia lo guardò. "Non è vero, potevo sedermi anche io lì!" "No, non potevi, e infatti non lo hai fatto." "Anche Percy e Jason hanno litigato per una sedia. Almeno finchè Percy non è tornato da... lì, e Jason non ha messo in dubbio la sedia." "Era il posto." Alzò gli occhi al cielo Annabeth e Leo rise. "La cose divertente è che si è seduto Percy comunque. Dicendo poi 'prova a buttarmi giù, dai'" Percy sorrise.
"Mi  avvicinai  al  trono  del  pescatore  e  mi  inginocchiai  ai  suoi  piedi. 
 — Padre.  — 
Non  osai  alzare  lo  sguardo.  Avevo  il  cuore  a  mille.  Percepivo l'energia   emanata  da  entrambi.  Ero  certo  che  se  avessi  detto  la  cosa sbagliata,  avrebbero potuto  incenerirmi  sul  posto.
"
"Non lo avremmo fatto per una frase sbagliata." Scosse la testa Zeus e Percy emise un suono dubbioso.
"Alla  mia  sinistra,  Zeus  parlò:  —  Non  dovresti  rivolgerti  prima  al padrone  di  casa, ragazzo?
Tenni  la  testa  china  e  aspettai."
"Scelta saggia." Annuì Talia e Apollo approvò. "Meglio non rischiare inutilmente."
"— Pace,  fratello  —  disse  finalmente  Poseidone. 
La  sua  voce  risvegliò subito  i  miei  primi  ricordi:  quel  bagliore  caldo  che  avevo  sentito  da bambino,  la  sensazione  della  sua  mano  divina  sulla  fronte. 
—Il ragazzo mostra  deferenza  a  suo padre.  Come  è  giusto  che  sia.

—  Insisti  a  riconoscerlo,  dunque?  —  chiese  Zeus,  minaccioso.  — Riconosci   questo   figlio che   hai   generato   rompendo   la  nostra   sacra promessa?
—  Ho  già  ammesso  la  mia  infrazione  —  rispose  Poseidone.  —  Ora vorrei  sentirlo parlare."
"Ahia." Anfitrite rabbrividì, mentre Tritone faceva una smorfia.
"Dannazione, sei stato peggio di me. E ho minacciato di ucciderlo." Disse Ade, guardando il fratello che emise un sospiro.
"Un'infrazione. Mi  salì  un  groppo  in  gola.  Tutto  qui?  Ero  soltanto  questo:  un'infrazione? Il  risultato  dell'errore  di  un dio?"
"Oh, Percy. Non intendevo così. Non volevo rischiare la tua vita per un favore dimostrato nei tuoi confronti." Percy annuì. Leggere questi libri stava riportando vecchie insicurezze che pensava di aver superato. Evidentemente, le aveva solo messe da parte.
"—  L'ho  già  risparmiato  una  volta  —  brontolò  Zeus.  —  Azzardarsi  a volare   nel  mio  dominio...  bah!  Avrei  dovuto  fulminarlo per  la  sua impudenza.
— E rischiare  di  distruggere  la  tua  stessa  Folgore?  —  chiese  Poseidone, calmo.  — Ascoltiamo  ciò che  ha  da  dire,  fratello.
Zeus  brontolò  ancora  un  po'.  —  Lo  ascolterò  —  decise  infine.  —  Poi deciderò  se  scaraventarlo o meno  giù  dall'Olimpo.
— Perseus —  mi  chiamò  Poseidone.  —  Guardami. "
"Devo dire che è un ottimo modo per rassicurare un dodicenne!" Demetra urlò vero Zeus, indicando poi Percy. "É un bambino persino adesso, ma aveva dodici anni! Non è difficile mostrare un minimo di decenza!"
"Ubbidii,  e  non  avrei saputo  dire  che  cosa  leggessi  sul  suo  viso.  Non  c'era  nessun  segno  di affetto  o  di  approvazione.  Niente  che  mi  infondesse  coraggio.  Era  come guardare  l'oceano:  certi  giorni  capivi  di  che  umore  fosse.  La  maggior  parte delle  volte,  però, era  insondabile,  misterioso. Ebbi  la  sensazione  che  Poseidone  in  realtà  non  si  fosse  fatto  un'idea precisa  sul  mio  conto.  Non  sapeva  se  era  felice  di  avermi  come  figlio oppure  no.  È  strano,  ma  in  un  certo  senso  ero  sollevato  che  fosse  così distaccato.  Se  avesse  tentato  di  scusarsi,  di  dirmi  che  mi  voleva  bene  o anche  solo  di  sorridere,  sarebbe  sembrato  falso.  Come  un  padre  umano  che inventa  scuse  per  giustificare  la  sua  assenza.  La  distanza  invece  riuscivo  a sopportarla.  Dopotutto,  nemmeno  io  mi  sentivo  ancora  sicuro nei  suoi confronti."
Poseidone abbassò lo sguardo, ma non poteva dire niente per convincere il figlio. Dopotutto era stato assente dalla sua vita per dodici anni, comparendo solo nel momento del bisogno.
"— Rivolgiti  al  Divino  Zeus,  ragazzo—  mi  ordinò.  —  Raccontagli  la  tua storia.
Così  spiegai  tutto  a  Zeus,  per  filo  e  per  segno. A un certo punto, mi ero reso conto di aver chiamato Ade zio tutto il tempo, ma nessuno mi aveva detto niente, quindi lo ignorai anche io. E non era deprimente che avevo zero famiglia dalla parte mortale, e un padre che mi usava e due zii che mi volevano morto?
Ade rise. "Secondo me, era geloso che io fossi zio e lui Divino Zeus." Zeus sospirò, dicendo. "Non è affatto vero." "Eri incredibilmente geloso, mi hai infastidita per non so quanto tempo." Rise Era.
"Tirai  fuori  il  cilindro metallico,  che  cominciò  a  mandare  scintille  alla  presenza  del  dio  del  cielo, e  lo  poggiai  ai  suoi  piedi. Ci  fu un lungo  silenzio,  interrotto  solamente  dal  crepitio  del  fuoco. Zeus  allargò  la  mano  e  la  Folgore  volò  dal  suo  padrone.  Quando  serrò  il pugno,  le  punte  metalliche  si  accesero  di  elettricità,  finché  non  sembrò  che stringesse   in   mano  qualcosa  di  più  simile  alla  folgore  classica,  un giavellotto  di  sibilante  energia  lungo  sei  metri,  che  mi  fece  drizzare  i capelli  sulla  testa.
— Sento che il ragazzo dice  la  verità  — mormorò  Zeus. — Ma che  Ares  fosse  capace  di  una  cosa  del  genere... non è  da  lui.

— È  orgoglioso  e  impulsivo  — intervenne  Poseidone. — È  un fattore  ereditario.
— Signore?
Entrambi  risposero:  — Sì?
— Ares  non  ha  agito  da  solo.  Qualcun  altro...  qualcos'altro...  ha  avuto l'idea."
"Grazie, Percy." Disse Ares e Percy scrollò le spalle. "Quello che è giusto è giusto. E poi pensavo che la ferita alla caviglia fosse sufficiente." Ares scosse la testa, ridendo.
"Descrissi  i  miei  sogni  e  la  sensazione  che  avevo  provato  sulla  spiaggia, quel  momentaneo  alito  di  malvagità  che  sembrava  aver  fermato  il  mondo  e che  aveva  impedito  ad Ares  di  uccidermi.
— In  sogno  —  dissi  —  la  voce  mi  ordinava  di  portare  la  Folgore  negli Inferi.  Anche  Ares  ha  accennato  a  dei  sogni.  Penso  che  sia  stato  usato, proprio  come  me,  per  scatenare  una  guerra.
— E  così  accusi  Ade, dopotutto?  — chiese  Zeus."
"Non è quello che ha detto!" Si arrabbiò Persefone, ed Estia scosse la testa. "Non dovreste dubitare tra di voi. È solo triste. Mi mancano i tempi in cui eravamo più uniti come fratelli. Una famiglia." Zeus, Ade e Poseidone la guardarono tristi.
"— No — risposi.  —  Divino  Zeus,  sono  stato  al  cospetto  dello zio.  Ma  la sensazione  che  ho  avuto  sulla  spiaggia  era  diversa.  Era  la  stessa  che  ho provato  vicino  al  baratro.  E  quello  era  l'ingresso  del  Tartaro,  non  è  vero? Qualcosa  di  potente  e  di  malvagio  si  agita  laggiù...  qualcosa  di  più  antico perfino  degli  dei.
Poseidone  e  Zeus  si  scambiarono  uno  sguardo.  Ebbero  una  breve  e intensa  discussione  in  greco  antico.  Riuscii  a  cogliere  una  parola  sola: "padre". Poseidone  espresse  un  suggerimento,  ma  Zeus  lo  interruppe.  Poseidone cercò  di  obiettare,  ma  Zeus  lo  fermò  con  un  gesto  stizzito  della  mano. 
— Non  ne  parliamo  più  —  disse.  —  Devo  andare  a  purificare  personalmente la  mia  Folgore  nelle  acque  di  Lemno,  per  cancellare  le  tracce  dell'onta mortale  dal  metallo." "Non dovevi purificare un bel niente." Disse Era, fissando Zeus. Estia sorrise. "Hai lasciato a Percy un momento con suo padre, fratello?" Percy guardò Zeus, che scosse la testa. "Certo che no. Non infrangerei le mie leggi in maniera così eclatante."
"Si  alzò  in  piedi  e  mi  guardò.  La  sua  espressione  si  era  addolcita impercettibilmente.   —  Mi  hai  reso  un  servizio,  ragazzo.  Pochi  eroi sarebbero  riusciti  nell'impresa.
—  Sono  stata  aiutato,  signore  —  replicai.  —  Grover  Underwood  e Annabeth Chase..." Annabeth lo guardò. "Hai nominato anche me e Grover?" "Era stato un lavoro di squadra." Disse Percy, scrollando le spalle. Clarisse alzò gli occhi al cielo. "Nessun altro avrebbe nominato alcun aiuto. Avrebbe preso il complimento per se stesso e fine della storia." "Ma Percy è una classe a sè stante." Disse Jason e Frank annuì. "É incredibilmente buono. E leale. Non sorprende che non abbia cercato di prendersi tutto il merito."
"— Per  mostrarti  la  mia  gratitudine,  ti  risparmierò  la  vita.  Non  mi  fido  di te,  Perseus Jackson.  Non  mi  piacciono  le  implicazioni  del  tuo  arrivo  per  il futuro  dell'Olimpo.  Ma  per  amore  della  pace  in famiglia,  ti  lascerò  vivere.
— Ehm...  grazie,  signore.
— Ma guai  a  te  se  oserai  di  nuovo  volare.  E  fa'  che  non  ti  trovi  qui  al mio  ritorno.  Altrimenti  assaggerai  il  gusto  di  questa  folgore.  E  sarà  la  tua ultima  sensazione.
Un tuono  scosse  il  palazzo  e  Zeus  scomparve  con un lampo  accecante. Ero rimasto solo con mio  padre, nella  sala  del  trono."
"Non era necessario minacciarlo. Era già spaventato dai viaggi aerei, non avrebbe preso il volo di nuovo. Era stata solo una necessità." Piper rise, e la guardarono tutti. "Quando lui e Jason stavano arrivando in volo, Percy si è letteralmente fatto cadere, dicendo. 'Non sopravvivo al Tartaro per essere fatto a pezzi da tuo padre!'" Percy la fissò. "Mi sembrava un modo stupido di morire." "Era diviso in greco e romano." Alzò gli occhi al cielo Annabeth. "Sono sicuro che per uccidermi, avrebbe recuperato l'equilibrio, mi avrebbe ucciso, e poi sarebbe tornato alla sua crisi." "L' hai reso ansioso!" Disse Estia, indicando Percy, rivolgendosi al fratello.
"Poseidone  sospirò.  —  Tuo  zio  ha  sempre  avuto  un  gran  talento  per  le uscite  di  scena. Avrebbe  fatto  un figurone  come  dio  del  teatro.
Un silenzio  imbarazzante.
— Signore  —  chiesi  —  che  cosa  c'era  in  quel  baratro? 
Poseidone  mi guardò  intensamente.  — Non l'hai  intuito?
— Crono — risposi.  — Il  re  dei  Titani.
Perfino  nella  sala  del  trono  dell'Olimpo,  lontanissimi  dal  Tartaro,  il nome  di  Crono  oscurò  l'ambiente,  smorzando  il  calore  del  fuoco  alle  mie spalle. Poseidone  impugnò  il  suo  tridente.  —  Nella  Prima  guerra,  Percy,  Zeus ha  smembrato  nostro  padre  Crono  in  migliaia  di  pezzi,  come  lui  aveva fatto  con  suo  padre,  Urano.  Poi  ha  gettato  i  suoi  resti  nell'abisso  più  oscuro del  Tartaro.  L'esercito  dei  Titani  è  stato  sbaragliato,  la  loro  fortezza sull'Etna  è  stata  distrutta,  i  loro  mostruosi  alleati  sono  stati  scacciati  negli angoli  più  remoti  della  terra.  E  tuttavia  i  Titani  non  possono  morire, proprio  come  gli  dei.  In  qualche  orribile  forma,  Crono  è  ancora  vivo, ancora  cosciente  nel  suo eterno  dolore,  ancora  avido di  potere.
— Sta  guarendo — dissi.  — Sta  tornando.
Poseidone  scosse  la  testa.  —  Di  tanto  in  tanto,  nel  corso  dei  secoli, Crono  ha  dato  segni  di  vita.  Entra  negli  incubi  degli  uomini  e  vi  inietta pensieri   malvagi.  Risveglia  mostri  inquieti  dagli  abissi.  Ma  da  qui  a suggerire  che  stia  per  risorgere  dal  baratro...
— Ma sono queste  le  sue  intenzioni,  Padre.  È  quello  che  ha  detto.
Poseidone  rimase  a  lungo in  silenzio. — Il  Divino  Zeus  ha  chiuso  la  discussione.  Non consentirà  che  si  parli  di Crono. Hai  completato  la  tua  impresa,  figliolo.  Non ti  si  chiede  altro."
"Che belle conversazioni." Scosse la testa Ade. Percy fece una smorfia, concorde. Poseidone sospirò. "Non avevo mai avuto un figlio mortale in tempi recenti. Non avevo idea di come parlargli."
"— Ma...  —  mi  fermai. 
Discutere  non  sarebbe  servito  a  niente.  Con  ogni probabilità  avrebbe  fatto  arrabbiare  l'unico  dio  che  avevo  dalla  mia  parte. Probabilmente, dalla mia parte. Che non mi voleva uccidere sicuramente, almeno. Forse. — Come...  come  volete,  Padre."
"Non avrei mai voluto ucciderti! Anche nei miti antichi, non ho mai ferito un mio figlio!" "Ma non c'era un patto per non avere figli." Rispose Percy, a bassa voce.
"Un  lieve  sorriso  comparve  sulle  sue  labbra.  —  L'obbedienza  non  ti  viene naturale,  vero?
— No... signore.
— Immagino  che  sia  un  po'  colpa  mia.  Il  mare  non  ama  essere  limitato. — Si  alzò  in  tutta  la  sua  altezza  e  sollevò  il  tridente.  Poi,  in  un  tremolio luminoso,  assunse  le  dimensioni  di  un  uomo  normale  e  me  lo  ritrovai davanti.  —  Devi  andare,  figliolo.  Ma  prima,  sappi  che  tua  madre  è  tornata.
Lo guardai  sbalordito.  — Mia  madre?
— La  troverai  a  casa.  Ade  l'ha  restituita  quando  hai  recuperato  il  suo elmo.  Perfino  il  Signore  dei  Morti  paga  i  suoi  debiti."
"Persino? Pago sempre i miei debiti, Poseidone." Disse Ade e Poseidone annuì. "Generalmente, i semidei non hanno una buona opinione di te. Come potevo sapere che mio figlio ti adorava?"
"Il  cuore  mi  martellava  in  petto.  La zia aveva ragione, lo zio era davvero un brav'uomo. Dio, qualunque cosa."
Ade rise. "Va bene uomo. È il senso della frase che conta, nipote." Percy sorrise impertinente.
"—  Vuole... vorrebbe...
Stavo  per  chiedere  a  Poseidone  se  voleva  venire  a  trovarla  con  me,  ma poi  capii  che  era  ridicolo.  Mi  immaginai  mentre  caricavo  il  dio  del  mare  su un  taxi  e  lo  portavo  sull'Upper  East  Side.  Se  in  tutti  questi  anni  avesse avuto  voglia  di  vedere  mia  madre,  lo  avrebbe  fatto.  E  poi  bisognava  fare  i conti  con Gabe  il  Puzzone. Gli  occhi  di  Poseidone  si  rattristarono  un  po'.  —  Quando  sarai  a  casa, Percy,  dovrai  compiere  una  scelta  importante.  Troverai  un  pacco  che  ti aspetta  nella  tua  stanza.
— Un pacco?
— Capirai  quando  lo  vedrai.  Nessuno  può  scegliere  la  tua  strada  per  te, Percy. Devi  essere  tu  a  decidere.
Annuii,  anche  se  non sapevo  che  cosa  intendesse  dire.
— Tua  madre  è  una  vera  regina  —  continuò  Poseidone  con  rimpianto. — Non  incontravo  una  donna  mortale  alla  sua  altezza  da  migliaia  di  anni. Eppure...  mi  dispiace  che  tu  sia  nato,  figliolo.  Ti  ho  condannato  al  destino di  un  eroe,  e  il  destino  di  un  eroe  non  è  mai  facile.  È  sempre  e  soltanto  un destino  tragico."
"Stai peggiorando di molto, Poseidone." Lo avvertì Zeus e Ade annuì. "Sei quasi peggio di Zeus. Quasi, perchè Zeus è il minimo raggiungibile." Talia e Jason annuirono.
"Cercai  di  non  offendermi.  Ma  non  era  facile:  ecco  mio  padre,  il  mio  vero padre,  che  si  diceva  dispiaciuto  della  mia  nascita. Forse Gabe aveva ragione, Dopotutto.  —  A  me  non  dispiace, Padre.
—  Non  ancora  —  replicò  lui.  —  Non  ancora.  Ma  è  stato  un  errore imperdonabile  da  parte  mia. "
"Niente di quello che Gabe dice è vero." Disse Grover, un tono gentile. "Parti da quello e vai avanti." Percy gli sorrise, grato.
"—  Allora  me  ne  vado.  —  Mi  inchinai  goffamente.  —  Non...  non  vi disturberò  più.
Mi  allontanai  di  pochi  passi,  ma  lui  mi  richiamò.  — Perseus.
Mi  voltai. Aveva  una  luce  diversa  negli  occhi,  una  sorta  di  orgoglio  impetuoso.  — Sei  stato  bravo,  Perseus.  Non  fraintendermi.  Qualunque  altra  cosa  tu faccia,  sappi  che  sei  mio.  Sei  un vero figlio del  dio del  mare."
"Ah ecco." Annuì Tritone. Suo padre iniziava sempre male con i suoi figli, ma poi diceva qualche frase che sistemava in qualche modo tutto. Poseidone sorrise al figlio. "Lo penso anche adesso. Sono orgoglioso e ti amo molto."
"Mentre  attraversavo  la  città  degli  dei  sulla  via  del  ritorno,  tutti  smisero  di parlare.  Le  muse  interruppero  il  loro  concerto.  Uomini,  satiri  e  Naiadi  si voltarono  a  guardarmi,  i  volti  pieni  di  rispetto  e  di  gratitudine,  e  quando passai  si  inginocchiarono  come  se  fossi  chissà  quale  eroe."
"Sei un grande eroe, Percy." Gli disse Talia e Percy scrollò le spalle.
"Quindici  minuti  dopo,  ancora  in  trance,  ero  di  nuovo  sulle  strade  di Manhattan. Presi  un taxi  fino all'appartamento  di  mia  madre,  suonai  il  campanello  ed eccola  là,  la  mia  bellissima  mamma,  profumata  di  menta  e  liquirizia,  la stanchezza  e  la  preoccupazione  che  evaporarono  dal  suo  viso  non  appena mi  vide.
— Percy!  Oh, grazie  al  cielo.  Oh, il mio  bambino.
Mi  stritolò  fra  le  braccia. Eravamo  in  piedi  nell'ingresso,  con  lei  che piangeva  e  mi  passava  le  mani  fra  i  capelli. Okay,  lo  ammetto... stavo piangendo anche io. Tremavo dal  sollievo  di  rivederla. Ero stato terrorizzato al pensiero di averla persa per tutto il tempo, al Campo e nell'impresa."
Era annuì. "Deve essere stata un'esperienza difficile." Percy annuì e Poseidone lo guardò. "Anche Sally doveva essere stata preoccupata per te, Percy." "Lo so."
"Mi  raccontò  che  si  era  materializzata  nell'appartamento  quel  mattino stesso,  spaventando  Gabe  a  morte.  Non  ricordava  nulla  dopo  il  Minotauro ed  era  rimasta  di  stucco  quando  Gabe  le  aveva  detto  che  ero  un  criminale ricercato,  uno  che  se  ne  andava  in  giro  a  demolire  i  monumenti  nazionali. Era  impazzita  dalla  preoccupazione  per  tutto  il  giorno,  perché  non  aveva sentito  i  notiziari.  Gabe  l'aveva  costretta  ad  andare  al  lavoro,  dicendo  che doveva  recuperare  un  mese  di  stipendio  e  che  era  meglio  che  cominciasse subito. Ingoiai  la  rabbia  e  le  raccontai  la  mia  storia.  Cercai  di  farla  suonare meno  spaventosa  di  quanto  non  fosse,  ma  non  era  facile.  Ero  quasi  arrivato al  duello  con  Ares  quando  la  voce  di  Gabe  mi  interruppe  dal  soggiorno.  — Ehi, Sally!  Questo  polpettone  arriva  oppure  no?"
"Perché non si è liberata di lui?" Domandò Talia ed Era rispose. "Aveva paura che avrebbe perso anche Percy nel farlo. E sopportare lui valeva la pena se teneva il figlio." Percy annuì e Talia alzò un sopracciglio. "Ma ormai sapevano tutti che esistevi." "Sì, ma l'odore di Gabe avrebbe potuto coprire ancora il mio." Spiegò Percy e Talia annuì.
"Lei  chiuse  gli  occhi.  —  Non  sarà  felice  di  vederti,  Percy.  Il  negozio  ha avuto  un  milione  di  telefonate  da  Los  Angeles,  oggi...  per  non  so  che elettrodomestici  in omaggio.
— Ah, già,  quelli...
Si  sforzò  di  sorridere.  — Non farlo  arrabbiare  di  più, va  bene?  Vieni.
Nel  mese  in  cui  ero  stato  via,  l'appartamento  si  era  trasformato  in Gabeland.  La  spazzatura  sparsa  sulla  moquette  mi  arrivava  alle  caviglie.  Il divano  era  tappezzato  di  lattine  di  birra.  Calzini  e  biancheria  sporca pendevano dai  paralumi. Il  mio  patrigno  era  seduto  al  tavolo  del  poker  con  quei  tre  gonzi  dei  suoi amici. Quando  mi  vide,  gli  cadde  il  sigaro  di  bocca.  La  faccia  che  fece  era  più incandescente  della  lava. 
—  Hai  del  coraggio  a  presentarti  qui,  teppistello. Pensavo  che  la  polizia... "
"Che schifo!" Esclamò Drew e Silena annuì. "Davvero disgustoso." "Non immagino l'odore che c'era in quella casa." "Ecco, non farlo." Disse Percy, prima di dire. "Ci abbiamo messo secoli a pulirla." "Non è vero. L'hai allagata." Disse Michael, che l'aveva chiamato in quel momento con un IM e aveva visto il casino che c'era. "Bene, l'odore era davvero orrendo, mi sono agitato, ed i tubi sono esplosi. Le cose non sono collegate tra loro." Negò Percy. "Lo sono." Disse Talia. "No, la polizia ha detto che c'era un problema di manutenzione." Rispose Percy e tutti lo guardarono. "L'ha detto la polizia." Ripetè lui, senza mostrare alcun dubbio.
"— Non  è  un  fuggiasco,  a quanto  pare  —  intervenne  mamma.  —  Non  è meraviglioso,  Gabe?
Gabe  guardava  ora  me,  ora  mia  madre.  Non  sembrava  che  trovasse  il mio  ritorno  tanto  meraviglioso.
— Già  mi  è  toccato  restituire  i  soldi  della  tua  assicurazione sulla  vita, Sally  — grugnì.  — Prendimi  il  telefono.  Chiamo  la  polizia.
— Gabe, no!
Lui  inarcò  le  sopracciglia.  —  Hai  appena  detto  "no"  per  caso?  Pensi  che sia   disposto   a   sopportare   ancora   questo  teppistello?   Posso   ancora denunciarlo per  aver  distrutto  la  mia  Camaro.
— Ma...
Alzò una  mano  e  mia  madre  sussultò."
"La picchiava?" Chiese Talia e Ade rispose. "Ha pagato  per tutti i crimini che ha commesso." Poseidone guardò il figlio, la domanda sulla punta della lingua.
"Per  la  prima  volta,  mi  resi  conto  che  Gabe  aveva  picchiato  mia  madre. Non  sapevo  quando,  o  quanto.  Ma  l'aveva  fatto,  ne  ero  certo. Mi ricordavo di quando avevo cinque anni e mi aveva colpito. Non dirlo a nessuno, e non lo farò a tua madre. E avevo tenuto la bocca chiusa. Probabilmente anche a mia madre diceva la stessa cosa. Una  bolla  di  rabbia  cominciò  a  crescermi  nel  petto. Mi  avvicinai  a  Gabe, pensando che avrei tanto voluto poterlo colpire con Riptide."
Lo fissarono tutti. Talia deglutì. "Lo sai che è un abuso?" "No, non lo era." Scosse la testa Percy e Talia disse, dolcemente. "Quello che ha fatto Gabe era un abuso. Fisico e mentale. Ti ha fatto sentire inferiore e inadeguato. E ha peggiorato la situazione iniziando a colpirti." Percy scosse la testa, spostando lo sguardo verso gli altri. Ignorò gli sguardi di compassione e pena sul viso di alcuni semidei. Il padre, la sua famiglia sottomarina, Zeus, Demetra ed Era sembravano assassini. Lo zio stava spiegando loro tutte le pene che Gabe aveva dovuto sopportare, e offrivano suggerimenti casuali. Estia aveva le lacrime agli occhi, ferendo Percy. Hermes, Apollo e Efesto lo guardavano tristemente. Artemide e Ares, invece lo fissavano con una sorta di rispetto e orgoglio. Forse era per il fatto che aveva combattuto e non si era arreso.
"Lui  scoppiò  a  ridere.  —  Che  c'è,  teppistello?  Vuoi  picchiarmi? Toccami  e  ti  faccio sbattere  in galera  per  sempre,  capito? "
"Sarebbe andato lui, in galera. Di certo non tu." Disse Hermes, disgustato. Percy scrollò le spalle, come per dire 'Cosa ci vuoi fare?'
"—  Ehi,  Gabe  —  lo  interruppe  il  suo  amico  Eddie.  —  È  solo  un ragazzino.
Gabe  lo  guardò  stizzito  e  gli  rifece  il  verso  in  falsetto:  "Solo  un ragazzino." Gli  altri  due  risero  come  degli  idioti.
— Voglio  essere  generoso  con  te,  teppistello.  —  Gabe  mi  mostrò  i  denti ingialliti  dal  tabacco.  —  Ti  do  cinque  minuti  per  prendere  i  tuoi  stracci  e filare  via  di  qui.  Dopodiché,  chiamerò  la  polizia.

— Gabe!  — lo supplicò  mia  madre.
— È  scappato di  casa  — le  disse  Gabe. — Che  ci  resti,  fuori  di  casa.

Morivo  dalla  voglia  di  prendere   Riptide  ma,  anche  se  lo avessi  fatto,  la  lama  non  feriva  gli  esseri  umani.  E  Gabe,  a  essere  generosi, era  un essere  umano."
"Spregevole, ma lo è." Disse Artemide. Poi guardò Percy. Con la situazione familiare che aveva avuto, un padre assente e poco capace nel comunicare, Percy aveva tutte le carte in regola per diventare una delle sue Cacciatrici, se fosse stato una ragazza. Aveva avuto una vita peggiore di molte di loro. Eppure rimaneva fedele alle persone che lo circondavano, senza risentirsi con il mondo per la sua sofferenza. Questo era un altro tipo di forza.
"Mia  madre  mi  prese  per  il  braccio.  —  Per  favore,  Percy. Vieni.  Andiamo in  camera  tua.
Lasciai  che  mi  portasse  via, le  mani  che  mi  tremavano  ancora  di  rabbia. La  mia  stanza  era  stata  completamente  invasa  dalle  schifezze  di  Gabe. C'erano  pile  di  batterie  di  automobili  usate,  un  bouquet  di  fiori  ammuffito con  un  biglietto  inviato  da  qualcuno  che  aveva  visto  la  sua  intervista  con Barbara  Walters.
— Gabe  è  solo  arrabbiato,  tesoro  —  mi  disse  mamma.  —  Gli  parlerò dopo. Sono sicura  che  le  cose  si  aggiusteranno.
— Mamma,  le  cose  non si  aggiusteranno  mai.  Non finché  Gabe  è  qui.
Lei  si  torse  le  mani  per  l'agitazione.  —  Posso...  ti  porterò  al  lavoro  con me  per  il  resto  dell'estate.  In  autunno forse  c'è  un altro  collegio...
— Mamma.
Abbassò  gli  occhi.  —  Ci  sto  provando,  Percy.  Mi  serve  solo...  mi  serve solo  un po'  di  tempo."
Talia strinse le labbra. Amava Sally, ma aveva messo in pericolo continuo il figlio. E questo non le piaceva per niente.
"Un  pacco  comparve  sul  mio  letto.  O  almeno,  avrei  giurato  che  fino  a  un attimo  prima  non ci  fosse. Era  una  scatola  di  cartone  piuttosto  malconcia,  adatta  a  contenere  un pallone.  L'indirizzo  sulla  targhetta  di  spedizione  era  scritto  con  la  mia calligrafia:
Gli  Dei
Monte  Olimpo
600esimo
Empire  State  Building
New  York,  NY
Cordiali  saluti,
Percy  Jackson

Sul   coperchio,   scritto   col   pennarello   nero  in   una  nitida  e  decisa calligrafia  maschile,  c'era  l'indirizzo  del  nostro  appartamento  e  le  parole: RESTITUIRE  AL  MITTENTE. A un tratto  capii  quello  che  Poseidone  mi  aveva  detto  sull'Olimpo. Un pacco. Una  decisione. "Qualunque  altra  cosa  tu  faccia,  sappi  che  sei  mio.  Sei  un  vero figlio  del dio  del  mare."
Guardai  mia  madre.  — Mamma,  vuoi  che  Gabe  sparisca?

— Percy,  non è  così  semplice.  Io...
—  Mamma,  basta  che  tu  me  lo  dica.  Quell'idiota  ti  mette  le  mani addosso.  Vuoi  che  sparisca  oppure  no?"
"Lo hai pietrificato?" Chiese eccitato Leo. "Non io." Disse Percy, un enorme sorriso sul viso.
"Lei  esitò,  poi  annuì,  quasi  impercettibilmente.  —  Sì,  Percy.  Lo  voglio.  E sto  cercando  di  raccogliere  il  coraggio  per  dirglielo.  Ma  non  puoi  farlo  tu al  posto mio.  Non puoi  risolvere  tu i  miei  problemi.
Guardai  la  scatola. Io   potevo   risolvere  i  suoi  problemi.  Avevo  voglia  di  strappare  il coperchio,  mollare  il  pacco  sul  tavolo  del  poker  e  tirare  fuori  quello  che c'era  dentro.  Potevo  cominciare  il  mio  giardino  di  statue  personale  proprio là,  in soggiorno. "Ecco  cosa  farebbe  un  eroe  greco  nelle  storie"  pensai.  "Ecco  quello  che si  merita  Gabe." Ma  la  storia  di  un  eroe  finiva  sempre  in  tragedia.  Poseidone  me  lo  aveva detto. Ripensai  agli  Inferi.  Immaginai  lo  spirito  di  Gabe  che  vagava  per l'eternità  nelle  Praterie  degli  Asfodeli  o  che  veniva  sottoposto  a  qualche orribile  tortura  oltre  il  filo  spinato  dei  Campi  della  Pena:  una  partita  di poker  eterna,  immerso  nell'olio  bollente  fino  alla  vita  e  costretto  ad ascoltare  l'opera.  Avevo  il  diritto  di  mandare  qualcuno  laggiù?  Perfino  se quel  qualcuno era  Gabe? Un mese  prima,  non avrei  esitato.  Adesso..."
Percy stava scuotendo la testa. Non aveva alcun diritto. Artemide disse. "Ti aveva ferito. Avevi il diritto di ottenere la tua giustizia." "E che giustizia poteva esserci nella vendetta?" Chiese Percy, guardando la dea. "Tua madre l'ha presa." "Mia madre ha sofferto molto più di me in un desiderio di tenermi vicino a se stessa." Disse Percy, guardando Atena.
"— E invece  posso  —  le  dissi.  —  Un'occhiata  dentro  questa  scatola,  e non ti  darà  mai  più  fastidio.
Lei  guardò  il  pacco  e  capì  al  volo.  —  No,  Percy  —  esclamò,  arretrando. — Non puoi.
— Poseidone  ti  ha  chiamata  regina  —  le  raccontai.  —  Ha  detto  che  non incontrava  una  donna  come  te  da  migliaia  di  anni.
Arrossì.  — Percy...
— Meriti  di  meglio,  mamma.  Dovresti  andare  all'università,  prendere  la laurea.  Puoi  scrivere  il  tuo  romanzo,  incontrare  un  brav'uomo,  vivere  in una  bella  casa.  Non  devi  più  proteggermi  restando  con  Gabe.  Lascia  che mi  liberi  di  lui.
Si  asciugò  una  lacrima  dalla  guancia.  —  Parli  proprio  come  tuo  padre  — disse.  —  Una  volta  si  è  offerto  di  fermare  la  marea  per  me.  Di  costruirmi un  palazzo  sul  fondo  del  mare.  Pensava  di  poter  risolvere  tutti  i  miei problemi  con un gesto della  mano."
"Lo hai davvero offerto?" Chiese Zeus, fissando Poseidone. "Sally è una donna molto speciale." Disse Poseidone. Anfitrite lo fissò. "E se non fossi stata incline ad accettarla?" "Ho supposto che una volta conosciuto lei e la sua storia, avresti accettato la situazione." "Probabilmente lo avrei fatto." Ammise Anfitrite.
"— E  che  male  c'è?
I  suoi  occhi  multicolori  mi  scrutarono  a  fondo.  —  Credo  che  tu  lo sappia,  Percy.  Credo  che  tu  mi  somigli  abbastanza  da  capire.  Se  voglio  che la  mia  vita  abbia  un  senso,  devo  viverla  in  prima  persona.  Non  posso  farmi proteggere  da  un  dio...  o da  mio figlio.  Devo trovare  il  coraggio  da  sola.  La tua  impresa  me  l'ha  ricordato.
Ascoltammo  i  suoni  che  provenivano  dal  salotto:  le  fiches  del  poker,  le imprecazioni,  il  canale  dello  sport.
—  Ti  lascio  la  scatola  —  dissi.  —  Se  ti  minaccia... 

Lei  impallidì  ma annuì.  — Dove  andrai,  Percy?
— Alla  Collina  Mezzosangue.
— Per  l'estate  o per  sempre?
— Non lo  so.
Ci  guardammo  intensamente  e  sentii  che  avevamo  stretto  un  patto. Avremmo  visto  come  stavano  le  cose  alla  fine  dell'estate.
Mi  baciò  sulla  fronte.  — Sarai  un eroe, Percy.  Sarai  il  più grande  di  tutti."
"E lo sei diventato." Disse Estia, un dolce sorriso sul viso. Percy la guardò sorridendo. "Grazie zia."
"Diedi  un'ultima  occhiata  alla  mia  stanza,  con  la  sensazione  che  non l'avrei  più  rivista.  Poi  mia  madre  mi  accompagnò  alla  porta.
—  Te  ne  vai  già,  teppistello?  —  mi  gridò  dietro  Gabe.  —  Che liberazione!
Ebbi  un  ultimo  barlume  di  dubbio.  Come  potevo  rinunciare  all'occasione perfetta  per  vendicarmi?  Me  ne  stavo andando senza  salvare  mia  madre.
— Ehi,  Sally  —  sbraitò  lui.  —  Allora,  questo  polpettone? 
Una  gelida espressione  di  rabbia  passò  negli  occhi  di  mia  madre,  e  pensai  che  forse, dopotutto,  la  stavo  lasciando  in buone  mani.  Le  proprie.
—  Il  polpettone  arriva  subito,  caro  —  gli  rispose.  —  Polpettone  a sorpresa."
"Cosa ha fatto con la statua? L'ha fatta a pezzi?" Domandò Talia. Percy scosse la testa, dando una gomitata nel fianco della cugina. "No Spoiler."
"Mi  guardò  e  mi  fece  l'occhiolino. L'ultima  cosa  che  vidi  prima  che  la  porta  si  richiudesse,  fu  mia  madre che  scrutava  Gabe,  con  l'aria  di  chiedersi  che  aspetto  avrebbe  avuto  come statua  da  giardino."
"Orrenda. Come ogni altro possibile aspetto." Disse Era e Afrodite annuì. "Nemmeno io potrei salvare qualcosa in lui."
"Manca... credo un capitolo. Chi legge?" Domandò Talia. Frank prese il libro.

Angolo autrice
Ho reso peggiore l'abuso di Gabe. E ho un amico con l'ADHD che mi ha controllato il lavoro fino ad adesso per vedere se può essere coerente con qualcuno che ha quel tipo di disturbo.

Alla prossima
By rowhiteblack

THE FATES' QUEST: READING PERCY JACKSONDove le storie prendono vita. Scoprilo ora