Capitolo III

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Il caldo si era triplicato, rispetto a quello che c'era nel bar o forse sembrava a me, dopo quella corsa straziante. Mi feci largo tra la gente che ballava, dirigendomi nell'angolo più remoto di quel che dedussi fosse un disco-pub e lì vi trovai un altro barista, dietro al bancone. Vidi entrare anche l'uomo che mi stava inseguendo, ma non guardò nella mia direzione, quindi, mantenendo un discreto sangue freddo e approfittando del buio del locale, smorzato da luci colorate da discoteca, mi tolsi il giubbotto, sedendomi vicino ad un ragazzo che sorseggiava una bibita di fronte al barista. Il mio intento era di confondere l'inseguitore mostrandomi vestito in un modo diverso da come mi aveva visto e, inoltre, vedendomi in compagnia, con meno probabilità avrebbe posato gli occhi su di me.

Lo scorgevo ancora tra la folla, mentre mi sorreggevo la testa, appoggiato al bancone con i gomiti.

"Buonasera" mi disse quel ragazzo che avevo vicino.

Ancora in ansia e con il fiatone, cercai di parere in maniera più calma possibile: "Come va?" chiesi.

"Dovrei chiederlo a te, sembri sconvolto" ridacchiò "Hai bevuto troppo?".

"Già..." risi anche io per non sembrare scortese e lo guardai. Avrà avuto qualche anno in più di me, con gli occhi scuri, un naso adunco e i capelli neri che costringeva dietro le orecchie. Era vestito con un gilet nero e dei pantaloni eleganti.

"Vuole un drink?" mi chiese il barista, vedendomi lì. Rifiutai e ributtai gli occhi tra la folla; non vedevo più quell'uomo.

"Sei da solo? Io mi chiamo Pierre" mi tese la mano. Gliela strinsi e mi presentai, poi aggiunsi: "Ero con il mio amico. Tra poco mi raggiungerà" dissi, da una parte convincendo me stesso che fosse vero e sperando che se la fosse cavata in qualche modo. Era stato furbo a fingersi svenuto, anche se lo spavento l'avevo preso io ed era tutta colpa sua se c'eravamo trovati in quella situazione.

"Io sono da solo, vuoi compagnia?" mi sorrise.

Non capivo cosa intendesse con "compagnia" perché eravamo già vicini e stavamo parlando. Glielo chiesi senza farmi problemi e lui rise: "Insomma, non fingere di non aver capito...".

Avevo un braccio appoggiato sul bancone e mi stavo ancora tenendo la testa, ma con una mano, un po' per la stanchezza, un po' per ripararmi la faccia da sguardi.

Mise la mano sul dorso della mia e aggiunse: "Io non ho impegni".

La situazione stava iniziando ad essere scomoda e stavo perdendo il filo della comprensione degli eventi. Ero confuso per quel suo atto e ritrassi il braccio. Feci per parlare e qualcuno arrivò dalle mie spalle: "Ciao Pierre, ancora a caccia?" disse con una voce tranquilla e impertinente "Oggi non è il tuo giorno fortunato" aggiunse, sospirando subito dopo.

Vidi il ragazzo con cui stavo parlando alzarsi e andarsene senza dire nulla, con solo un'espressione arrabbiata in volto. L'altro occupò il suo posto e mi guardò, sorridendo: "Buonasera, straniero. Sei nuovo di qui" osservò.

"Di qui?" non capivo se intendesse il locale o il quartiere, anche se in ogni caso aveva ragione.

"Di qui, inteso al Blue Eyes, non ti ho mai visto".

Non gli risposi e lui parlò al barista: "Jean, per due" ordinò da bere, poi mi guardò: "Giornataccia?" mi chiese, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia.

Evidentemente avrò avuto una faccia da chi aveva avuto un esperienza poco gradita. Evitai di rispondergli e mi voltai sulla folla che ballava. Dovevo essere certo che quell'uomo se ne fosse andato, così sarei potuto uscire. Qualcosa mi distolse dai miei pensieri, una domanda mi uscì dalla bocca senza che lo volessi: "Perché in questo locale non ci sono ragazze?".

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