Capitolo XII

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"Non credo che ci farò mai l'abitudine..." disse Paul, guardando il Blue Eyes con le sue luci e i suoi manifesti espliciti.

Nel tragitto notai che davanti agli altri locali c'era la fila per pagare, a volte. In quello la gestione avrà preferito dare un'entrata libera con pagamento a consumazione, per mia fortuna, dato che se non mi avessero fatto entrare la prima volta sarei stato nei guai.

"Nemmeno io" ammisi, pensando che, entrare in un posto di quel genere fosse strano per due come noi, ma la compagnia di Antoine ci era molto gradita. Per quel motivo, anche quella volta ci trovammo lì davanti, addentrandoci nella folla di soli uomini, mentre la musica ci entrava nelle orecchie. Alcuni saltavano, muovevano il busto, alzavano le mani e buttavano sguardi decisi e sorrisi accattivanti, altri, invece, erano seri e ondeggiavano solo col corpo. Paul cercava di muoversi a ritmo, ma si teneva alla larga da qualsiasi contatto e non guardava neppure quegli uomini a petto nudo che non facevano altro che ricordare dove eravamo. La calca si sfoltì arrivando al bar: "Hai visto Antoine, da qualche parte?" chiesi, girandomi intorno.

"Ho solo visto tanti uomini, molto sudore e tanto schifo".

"Vai a prendere da bere, io darò un'occhiata al piano di sopra" dissi e lui mi ascoltò. Si sedette su uno sgabello, affianco ad un'altra persona, aspettando l'attenzione del barista. Guardai la porta infondo a destra. Mi ricordavo che Antoine mi accennò che il piano superiore non mi sarebbe piaciuto, ma cosa avrei mai potuto vedere? Qualche bacio magari e quello non mi avrebbe di certo spaventato. Nemmeno il vedere qualche uomo nudo avrebbe influito sulla mia persona; infondo, essendo dello stesso sesso, avevo già visto e rivisto i miei attributi, per quello non mi sarei scandalizzato.

Spostai i capelli a lato, ormai mi coprivano e superavano le sopracciglia, dandomi fastidio agli occhi e presi un respiro, andando verso la porta. Un lungo corridoio mi si presentò davanti. Potevano passarci tre persone, una affianco all'altra, ma a me pareva strettissimo. Forse per l'aria viziata che si respirava o per le persone appoggiate ai muri che occupavano spazio. Era tutto più buio e c'erano delle luci a intermittenza azzurre. Mi addentrai, accorgendomi che il muro alla mia destra era spoglio, mentre quello alla mia sinistra aveva una serie di porte non troppo distanti tra loro fatte in legno. Alcuni le aprivano, occupando ciò che intravidi essere una piccola stanzetta spoglia e non c'era bisogno di capire per cosa la usassero perché sentivo mugolii e versetti di godimento, anche se facevo finta che le mie orecchie non li captassero. Erano, insomma, delle cabine private dove chiudersi all'interno col partner e, seppur credendo nella privacy che ogni persona aveva bisogno, trovai quel modo di fare molto sporco, privo di intensità e significato. Passai abbastanza velocemente, dopo essere sfuggito a qualche sguardo, arrivando alle scale. Non feci fatica a salire i gradini perché la mia vista si stava abituando a quell'atmosfera; la stessa che trovai al piano superiore. Nel buio, elettrizzato da luci azzurre come lampi c'era una stanza almeno grande quanto il piano terra, pieno di gente.

Mi sentii accaldato, l'aria iniziava a diventare pesante e percepivo la musica di poco prima, ma lontana, come se mi trovassi assopito. Nel vuoto completo del posto, senza alcun mobile o oggetto di decorazione, vidi affianco a me solo un distributore di profilattici, per il resto solo tanti maschi. Probabilmente, a dispetto da quanto detto da me prima, quell'ambiente non mi fece assolutamente sentire a mio agio. Da quanto mostravano i lampi di luce, c'erano uomini in intimità a terra, contro le pareti, uno addosso all'altro, uno dietro l'altro, in piedi in mezzo alla stanza...

Insomma erano tutti nudi o seminudi che mostravano e adoperavano i loro attributi e nessuno conversava, ma versi e mugolii si sentivano chiaramente, più forti e energici di quanto avessi notato in corridoio. Mi spostai solo a lato della scala per far passare una coppia, ma, fosse stato per me, non mi sarei mosso. Era tutto così strano, mai visto e fuori dal comune che mi fece incuriosire. Ero con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, scioccato da ciò che vedevo; poi notai dei capelli biondi e un profilo del viso delicato, non marcato. Riconobbi quella figura dai contorni confusi e poi più marcati di Sebastien. Le mani forti e affusolate appoggiate al muro, le braccia piegate, le spalle larghe spinte un po' più indietro del corpo che facevano curvare la schiena e sporgere il bacino in avanti. Era sprovvisto di abiti, almeno fino alle caviglie, dove ricadevano la biancheria e i pantaloni. Un uomo o un ragazzo che non vidi bene, era schiacciato tra il suo corpo e il muro, con la faccia rivolta ad esso.

Mi spostai verso la scala, intento ad andarmene, ma mi bloccai ancora una volta, fulminato dagli occhi di Sebastien che mi fecero salire un brivido al petto. Era un po' più lontano da me, ma distinguevo il suo movimento di bacino, il sudore sulla schiena e sulla fronte e immaginavo il respiro dalla sua bocca che apriva in certi attimi. Non si fermò alla mia vista e non si arrese dal fissarmi. D'altro canto ero io il ficcanaso, ma mi tremavano le gambe, sentivo ondate di calore nel mio corpo e capii che stavo sudando quando una goccia mi percorse vicino all'orecchio; perciò riuscii a riprendermi da quel momento di confusione solo da un uomo che mi si presentò davanti. Non parlò, ma capii che mi stava chiaramente incitando a far qualcosa con lui dall'espressione che aveva in viso. Negai con la testa e scesi per le scale, pieno di vergogna, di eccitazione, di paura, di disgusto, ma nessuna domanda. Non stavo pensando a nulla, avevo tanta confusione per la mente, senza che io sapessi perché; quindi non cercai nemmeno Paul che uscii dal locale. Camminai per quella via per prendere un po' d'aria, con l'incomprensione nella mia reazione di fuga e disagio. Respiravo come se avessi l'affanno e mi sentivo la faccia bollente, come se stesse per esplodere.

"Adesso non parli più? Brutto frocio?".

Sentii una voce che mi riportò alla realtà; ossia che avevo superato già quattro o cinque traverse e mi trovavo in un posto con meno luci e locali. Delle parole che non percepii come quelle prima, perché dette più piano, provenivano dalla via perpendicolare alla mia.

Non sapevo dire cosa mi spinse a farlo, ma camminai lentamente, avvicinandomi fino a vedere le sagome di quelle persone che sentivo. Erano tre persone in piedi che circondavano una quarta figura, accasciata a terra. Mi voltai per andarmene e chiamare la polizia, ma mi fermai di scatto, sentendo la voce del ragazzo preso di mira, dopo un suo ansimare per un calcio alle costole: "Non pensate di farmi paura" fece fatica a dire.

Era assolutamente la voce di Antoine; solo in quel momento mi spiegai il perché della sua assenza al locale e, nel farlo, mi avvicinai a loro, senza tener conto della pericolosità del mio gesto. Non avrei potuto fare molto contro tre persone e non ero di certo il tipo di ragazzo che sapeva come comportarsi in situazioni come quelle o che era bravo a fare a botte.

"E tu chi sei? Un amichetto?" mi chiese uno, mentre l'altro scherzava a bassa voce: "O più di un amichetto?".

Ci fu una risata generale e io mi feci forza, stringendo i pugni. Arrivai abbastanza vicino da vedere i volti dei tre. Avranno avuto massimo trent'anni a testa ed erano con un fisico ben messo. Mi vennero i brividi, ma, vedendo il corpo mal ridotto di Antoine a terra che stentava a muoversi e sentendolo parlare con voce tremante cose che non percepii, imitando le tipiche frasi dei film, dissi: "L-Lasciatelo stare!" con tono di comando, ma io stesso non mi sarei preso sul serio.

"Vattene, Mathis!" mi urlò con forza Antoine, che, ormai, era diventato mio amico. Almeno, io lo consideravo tale e non avevo intenzione di lasciarlo lì. Se avessi chiamato la polizia, forse, sarebbe stato troppo tardi. Il tipo mi si avvicinò: "Ne vuoi un po' anche tu?" mi chiese e io, preso dalla paura e dalla serie di eventi, mandai la mia mano verso di lui con tutta la potenza che avevo, colpendolo in viso con un pugno. Lui non ce la fece a ripararsi con le mani, ma per difesa mi rispedì il colpo indietro, sulla guancia. Persi l'equilibrio talmente era forte la botta, finendo a respirare il terreno, sbattendo la testa e graffiandomi i palmi. Mi bruciava la faccia, quasi non me la sentivo per il male e il mio cuore batteva all'impazzata.

"Mathis!" gridò Antoine, ma la sua voce mi arrivava lontana, le orecchie mi fischiavano e sentivo il mio respiro profondo. Fui colpito da un calcio in pancia che mi fece così male che mi voltai di lato, portando la mani ad essa. Strizzai gli occhi per qualche secondo e quando li riaprii pensai alla fine che potevo fare, ossia all'ospedale se non peggio. Sperai che i miei non ne sarebbero venuti a conoscenza, ma quello sarebbe stato impossibile se non il minore dei miei problemi. Spensi il cervello guardando il viso sorridente di quella persona, l'ultima che avrei visto prima di risvegliarmi in un altro posto, dato che non riuscivo a reagire, non ero forte abbastanza, quindi un altro colpo non l'avrei retto.

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