Capitolo XX

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"Un Panaché" dissi al barista; una persona alta e magrissima con la barba rasa, i capelli neri brizzolati e gli occhi semi chiusi. Avevo solo sentito nominare quel cocktail, ma, da quelle poche informazioni che avevo, ossia che fosse fatto da birra e gazzosa, pensai fosse abbastanza forte da farmi ubriacare. Ciò non mi turbava, perché era proprio quello che volevo ottenere e non pensavo che potessi stare peggio, nemmeno se la mia testa avesse preso a girare e mi sarei messo a vomitare l'anima. L'uomo mi guardò come se diffidasse del fatto che potessi bere alcolici, ma, per fortuna, si limitò a fare il suo lavoro e mi portò la bevanda. Non la osservai nemmeno per molto; notai solo che fosse un liquido giallo sbiadito con molte bollicine che scappavano dal fondo dello stretto bicchiere in vetro e creavano uno spesso strato di schiuma in superficie. Mandai giù il primo sorso, chiudendo gli occhi e cominciando a sentire un leggero fastidio alla gola. Ero seduto su un cuscinetto rosso di uno scomodo sgabello in acciaio e avevo affianco un vecchietto con la barba lunga, che sarà stato al terzo bicchiere. Ricominciai a bere e il mio sorso durò di più, lasciando solo un fine strato di bibita sul fondo. Non avrei nemmeno saputo descrivere il sapore, ma sapevo solo fosse amaro e le bollicine mi solleticavano la gola, lasciandomi un fastidio sulla lingua. Ero impaziente che quel miscuglio facesse effetto e finì fino all'ultima goccia. Il vecchio affianco a me tossì, mi guardò e cercò di sorridere, mostrandomi i suoi pochi denti. Io tentai di ricambiare, svogliato, e mi voltai da un'altra parte, intento a guardare l'orologio, esposto al lato destro del piccolo pub. Era posizionato poco sopra un tavolo, dove c'erano delle persone che era già da più di dieci minuti che parlavano a voce alta e ridevano tra di loro. Erano le dieci di sera, mi trovavo nel quartiere a luci rosse, ma avevo trovato un posto tranquillo, diverso dal bar della truffa, dove c'era solo una ragazza che ballava attorno ad un lungo tubo in ferro. I suoi vestiti erano molto provocanti, come quelli che indossava Camille il giorno che la incontrai, ma non avevo pagato per lo spettacolo, essendo un pub libero a tutti. Non temevo quindi di incappare in truffe e, a dire la verità, in quel momento era l'ultima delle mie preoccupazioni. Non avevo dato spiegazioni a mia madre su dove mi trovavo, ma le avevo mandato un messaggio con scritto che probabilmente tardavo.

Notai, appesa sulla parete alla mia destra, una mazza da baseball con affianco un cartello in sfondo bianco con una scritta blu "Per piccoli problemi" e una vecchia pistola nera, da esposizione, sperai, con un'altra indicazione a sfondo nero, con scritto in rosso: "Per grossi problemi". Le mattonelle rosso scuro del locale gli davano un'aria calda e accogliente, ma non potevo dire lo stesso per la gente all'interno che, da qualche minuto era diventata più euforica e isterica. Chiamai ancora il barista, chiedendo la stessa bevanda e, la buttai giù quasi tutta d'un fiato. Riguardai il bicchiere, ancora pieno poco meno di metà e feci un altro sorso. Non mi diedi tregua e lo finii, prendendo fiato subito dopo. Avevo sempre pensato che tutti quelli che si buttavano nell'alcool per evitare le cose brutte della vita fossero solo stupidi ed incoscienti, ma i miei principi erano svaniti, messi da parte come i miei pensieri. Non volevo far funzionare il mio cervello o la mia coscienza perché desideravo sentirmi spensierato, pur sapendo le conseguenze che avrei raggiunto entro fine serata. Erano passati sei minuti scarsi e posai sul bancone il terzo bicchiere vuoto, cercando di chiamare il barista. Stava servendo altri clienti, mischiando varie bevande a me sconosciute e buttando, un po' alla volta, le bottiglie vuote.

"Mi scusi?" cercai di attirare la sua attenzione per l'ennesima volta, alzando la mano come un bambino.

Lo vidi fare un sospiro, poi venne da me e mi sorrise a forza: "Un altro drink?".

"Un altro" affermai, non avendone alcun dubbio. Appena mi arrivò la bevanda, avvertii un giramento di testa e, nel momento in cui mi voltai da una parte, tutto mi sembrò andare più lentamente, ma era il movimento dei miei occhi a rallentare.

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