Capitolo XVIII

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Aprii la porta. Mi tremò la mano al contatto con il pomello e mi si mostrò la figura di Antoine davanti. Era con un'altra luce negli occhi perché non pareva allegro e distratto come al solito, ma triste ed arrabbiato. Mi fece quasi paura guardarlo, ma la verità era che a mettermi a disagio era quella situazione. Sentii dei passi dietro le mie spalle e con tutto il mio autocontrollo, alzai la voce, facendola aggressiva: "Cosa sei venuto a fare?" domandai al mio amico, ancora sulla soglia della porta. Non si mosse da lì, ma mi prese il braccio: "Devo parlarti!" esclamò, disperato.

Deglutii; sentivo la presenza di qualcuno alle mie spalle. Mi sciolsi non curante dalla sua presa e intonai con rabbia un "Abbiamo già parlato" e proseguii, imponendo la mia voce con rabbia contro la sua che cercava di farsi sentire: "Non insistere, è finita!" urlai, con tono di comando. Il cuore mi batteva all'impazzata, il mio respiro era aumentato e la mia mano tremò di nuovo quando la rimisi a contatto col pomello. Antoine insistette, supplicandomi di non lasciarlo, di non rovinare tutto e io mi sentivo disperato, amareggiato, arrabbiato e un po' triste. Non perché stavo "rompendo con lui", ma per il fatto che ero obbligato a quella farsa, pur di convincere i miei genitori a credere alle mie parole. Di solito basterebbe una breve conversazione perché dovrebbe esserci fiducia in famiglia, ma, a quanto pareva nella mia non era così. Tolsi la mano dal pomello e, poggiando i palmi sul petto del mio amico, lo spinsi via dalla porta, non usando tutto la forza ma parendo credibile e al suo: "Perché mi stai rifiutando?" mi ricordai la voce di Sebastien che mi spiegava cosa avrei dovuto dire. Le parole spese al bar, il giorno prima, le avevo incise nella mente, ma non avevo il coraggio di farle uscire dalla bocca.

"Se non lo dirai non ti crederanno, dovrai essere brutalmente convincente" mi aveva detto il biondo, poi Antoine mi aveva poggiato la mano sulla spalla: "Le parole che pronuncerai non le avrai pensate tu. E' tutto una messa in scena, non ne rimarrò di certo ferito".

Consolandomi con le immagini e le decisioni del giorno prima, presi fiato e guardai fisso Antoine: "Tu non sei niente per me" affermai "La verità è che non ho mai voluto stare con te perché sei solo un...".

Il mio respiro era sempre più irregolare e i miei occhi stavano diventando lucidi. Non potevo dire quello che mi avevano imposto di pronunciare loro stessi. Era crudele e fuori dalla mia natura, nonché dalla mia portata. Non sarei mai stato così duro con nessuno e sicuramente gli insulti non mi andavano a genio, non avendoli mai apprezzati.

"Solo un... cosa?" disse il mio amico col viso arrabbiato, ma stava solo fingendo. Aveva parlato per incoraggiarmi a continuare e, chiudendo gli occhi, mi feci forza. Finsi di non star dicendo nulla e iniziai a urlargli contro: "... sei solo un brutto frocio! Aver solo pensato che mi piacevi è stato uno sbaglio. Gli uomini mi disgustano, specialmente quelli sadici come te. Se mi toccherai ancora una volta vomiterò su quella stupida faccia che ti ritrovi" aprii gli occhi, ma non lo guardai in viso e conclusi: "Voi tutti siete uno sbaglio dell'umanità, non dovreste nemmeno esistere, quindi... a-andate tutti a morire!" esclamai e presi velocemente la porta per sbattergliela in faccia e non vederlo più. Avevo l'affanno, un nodo in gola e fissavo il legno dell'anta davanti a me. Avrei voluto tornare indietro nel tempo e non essere mai andato a Pigalle, ma non era possibile. Avevo giurato che sarei stato me stesso, ma, il non voler mettere i miei amici tra me e mio padre mi aveva fatto agire così, avendo paura che li avrei intromessi in affari scomodi e che non gli appartenevano. Loro mi avevano dato il loro aiuto, capendo la mia situazione e sapendo che avrei voluto imporre ciò che ero. Avrei dovuto essere felice che da quel momento ero di nuovo etero, avrei potuto presentare la mia ragazza ai miei genitori e che loro avrebbero dimenticato Antoine. Eppure, arrivato a quell'orribile punto nel quale mi sentivo un mostro senza cuore, sottomesso al volere di altri a vivere una recita, capii che, piuttosto, avrei voluto che la mia famiglia avesse continuato a credere che io avessi preferenze sessuali opposte rispetto ad un normale ragazzo. Avevo negoziato il rispetto di mio padre e mia madre con la negazione di ciò che pensavo e dei miei amici. Mi odiavo per tutto quello che avevo detto, per aver mendicato uno sguardo di mio padre con una beffa di quel genere, facendo dire falsità ad un mio amico. Avevo una rabbia e un contrasto interno che mi facevano male.

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