𝟎𝟕.

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𝐈𝐌𝐏𝐑𝐄́𝐕𝐈𝐒𝐈𝐁𝐋𝐄
© 𝗅𝖺𝗉𝗂𝗅𝗅𝗐𝗌

san's pov

Accadde tutto così in fretta. Un lampo di luce che gli accecava gli occhi, il caldo del sole cocente, il prato verde sotto di lui. Una radura. Un bosco.

Il conto alla rovescia finì ancora prima che San avesse avuto il tempo di guardare in faccia gli altri tributi. Riuscì solo a vedere il sorriso del diamante di stagione allo scoccare dell'inizio dei giochi, poi iniziò a correre.

L'intera radura sembrava avvolta da una frenesia interminabile. C'era chi si era lanciato in avanti sin da subito, chi schivava colpi e chi era rimasto fermo sulla propria pedana in uno stato di trance. Inutile dire che quelli furono i primi ad essere tranciati via da quella confusione.

San prese uno degli zaini più vicini a sè e se la diede a gambe levate. Non era codardia, bensì semplice istinto di sopravvivenza. Chiunque avesse un minimo di cervello sapeva che buttarsi nel bagno di sangue del primo giorno significava essere alla mercè dei favoriti. I quattro, infatti, sembravano già pregustare il banchetto di cadaveri davanti a loro.

Stavolta non aveva tempo per fermarsi ad osservare – come era solito fare nell'arena di prova – perciò cercò sin da subito di creare più distanza possibile tra lui e gli altri tributi, scegliendo sentieri e direzioni che nessuno sembrava aver preso. Si inoltrò nella fitta vegetazione, salì uno dei piccoli colli che costernavano la radura e, dopo essersi allontanato il più possibile, si sedette all'ombra di un albero.

Doveva immediatamente fare un inventario di ciò che aveva recuperato e trovare un posto per la notte. «Il giorno dopo penserai al resto», gli aveva raccomandato Zuho. Lasciò cadere a terra lo zaino che aveva recuperato, sollevato dal sentire finalmente le proprie spalle libere da quel peso che, dopo ore di camminata, era diventato esorbitante.

Aprì la zip e, con sua grande sorpresa, trovò qualcosa che effettivamente gli sarebbe stato vitale. Qualche provvista, un distillatore rudimentale – il che gli indicava, implicitamente, che l'acqua del ruscello non era potabile – e un coltello da caccia. Ma, più di tutti, ringraziò il cielo per l'ascia che aveva trovato sul fondo. Non l'avrebbe certo usata come arma, dato che non ne era poi così capace, ma c'era da ricordarsi che proveniva dal sette. Con uno strumento del genere e la varietà di alberi che lo circondava avrebbe potuto fabbricarsi qualsiasi cosa.

Mentre euforia e timore per il passare della prima giornata si mischiavano, raccolse alcuni pezzi di legna da un tronco che pendeva verso il terreno. Gli sarebbero sicuramente stati utili per fabbricarsi un'arma quando ne avrebbe avuto il tempo. Si spostò ancora di un paio di chilometri per essere sicuro che nessuno l'avrebbe sentito, poi cercò un albero che poteva fare al caso suo. Quando trovò una grande quercia con rami abbastanza spessi da reggerlo per la notte si lasciò scivolare ai suoi piedi, esausto.

Non aveva un'imbragatura, ma dormire in basso lo spaventava più dell'idea di una caduta di un paio di metri. Così si inerpicò lentamente, facendo attenzione a dove metteva mani e piedi, e issò lo zaino accanto a sè.

Proprio mentre si adagiava al tronco dell'albero, percependo lo sbalzo di temperatura, vide il sole abbassarsi all'orizzonte. Banchi di nuvole rossastre e violacee creavano un'atmosfera quasi fiabesca sul paesaggio circostante, in contrasto con il motivo per cui era lì e con ciò che quel luogo rappresentava veramente. Una carneficina con un bel tramonto, pensò.

Per giorni aveva creduto che la prima notte non avrebbe dormito. Che sarebbe rimasto all'erta ogni secondo, incapace di chiudere occhio per paura di essere colto di sorpresa. Eppure non ricordò nemmeno di averci provato. Un sonno profondo arrivò ancor prima di realizzarlo.

₊ ⊹ rend the dollDove le storie prendono vita. Scoprilo ora